In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, quando è possibile ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza?

(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 448, c. 2-bis)

Il fatto

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nocera Inferiore applicava all’imputato la pena concordata dalle parti ex art. 444 cod. proc. pen. in relazione ai reati di cui agli artt. 73, comma 1, TU Stup., (capo 1), 2 I. n. 895 del 1967 (capo 2) e 648 cod. pen. (capo 3). 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Ricorreva per Cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, che chiedeva l’annullamento del provvedimento impugnato deducendo il vizio della motivazione con riguardo all’erronea qualificazione giuridica del fatto di cui ai capi 2) e 3) che dovevano essere qualificati, a suo avviso, ex art. 678 cod. pen..

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

 

Il Supremo Consesso osservava come il ricorso dovesse essere definito senza udienza nelle forme «de plano», ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., trattandosi di impugnazione proposta avverso una sentenza di applicazione della pena che a sua volta doveva essere dichiarata inammissibile perché proposta al di fuori dei casi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. e comunque per manifesta infondatezza e genericità dei motivi.

La Corte di Cassazione, difatti, addiveniva a tale conclusione rilevando che è inammissibile il motivo di ricorso sulla qualificazione giuridica del fatto avendo la giurisprudenza precisato che, «in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato» (Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, omissis, Rv. 272619), mentre il ricorso era sul punto, ad avviso della Suprema Corte, generico.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui chiarisce quando è possibile ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza.

Difatti, in tale pronuncia, viene affermato che l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto mentre gli errori valutativi in diritto comportano l’inammissibilità del ricorso proposto salvo che essi risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché fa chiarezza su tale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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