Il fatto
La Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza di primo grado, escludeva la pena inflitta per il reato sub C) e, per il resto, confermava la declaratoria di responsabilità di J. I. C. in ordine ai reati di cui ai capi A) e B) di cui agli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen., per avere cagionato, per violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, la morte di L. S. e V. G. e lesioni personali gravi a I. P. e V. C.
In particolare, veniva accertato che l’imputato, nel porsi alla guida in stato di ebbrezza (tasso alcolemico 3,14 g/1) e nel percorrere la SS 202 contromano, nel marciare a una velocità compresa tra i 110 e 120 Km/h in centro urbano in cui vigeva il limite dei 50 Km/h, urtava violentemente il veicolo tg …, a bordo del quale si trovavano le persone offese dianzi indicate (fatto commesso a Trieste il …).
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato lamentando vizio di motivazione in ordine alla erronea valutazione della perizia in atti atteso che, una volta dedotto che la Corte territoriale aveva ritenuto valide le formule matematiche utilizzate dai periti in relazione al risultato dell’alcool contenuto nel sangue dell’imputato, ancorché prive di attendibilità scientifica in quanto conseguenti a sperimentazioni effettuate su appena 354 persone di cui nulla era dato sapere, non sarebbe stato rispettato il criterio di valutazione della prova scientifica enunciato nei noti insegnamenti della Corte di cassazione n. 43786/2010 e, sul valore del tasso alcolemico in capo al prevenuto al momento del sinistro, i periti avrebbero errato, nell’utilizzare lo stesso coefficiente nell’ambito della curva di Widmark, equiparando la fase di assorbimento da quella di eliminazione dell’alcool nonostante la differenza esistente fra le due fasi mentre, a fronte di ciò, nessun accenno era presente in motivazione in ordine alle critiche difensive circa l’inattendibilità della formula matematica utilizzata dai periti per convertire il dato clinico a quello tossicologico-forense.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
La Suprema Corte stimava infondate le argomentazioni prospettate nel ricorso alla stregua delle seguenti considerazioni.
A tal proposito si evidenziava prima di tutto come, dalla motivazione della sentenza impugnata, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, si evincesse chiaramente che la Corte territoriale aveva tenuto conto dei risultati raggiunti dai consulenti di parte e dai periti di ufficio dando atto che, nonostante la mancanza di dati certi su alcune circostanze di fatto (orario esatto dell’ultima assunzione, numero e tipo di bevande assunte, condizioni dello stomaco pieno/vuoto), i periti avevano offerto un intervallo entro il quale collocare il tasso alcolemico al momento del sinistro, comprendendolo tra 2,29 g/I e 3,25 g/I (nel sangue).
Oltre a ciò, si rilevava come i giudici di merito avessero valutato i suddetti dati unitamente alle ulteriori emergenze processuali idonee a corroborarli avendo tenuto conto del fatto, indiscusso, che quella sera l’imputato aveva bevuto a casa di amici, e ritenendo plausibilmente che l’alcool, dato il tempo trascorso, fosse, al momento della guida, in fase di eliminazione, rilevando un valore comunque superiore a 1,5 g/I (vale a dire 2,29 g/l secondo quanto precisato dai periti e secondo la ricostruzione più favorevole all’imputato), tasso alcolemico che, fra l’altro ben poteva spiegare la sconsiderata condotta di guida dell’imputato.
Si denotava in secondo luogo che i prelievi ematici svolti nell’ambito delle normali terapie di pronto soccorso fossero utilizzabili ai fini dell’accertamento del tasso alcolemico (Sez. F, n. 52877 del 25/08/2016, omissis, Rv. 26880701; Sez. 4, n. 26108 del 16/05/2012, omissis, Rv. 25359601; Sez. 4, n. 1827 del 04/11/2009 – dep. 2010, omissis, Rv. 24599701) e, sotto questo profilo, ad avviso della Corte, si palesavano inconsistenti le censure del ricorrente dirette ad evidenziare che l’esame di laboratorio fosse stato effettuato sul plasma (e non sul sangue) del prevenuto, e che non vi fosse idonea dimostrazione scientifica della validità della percentuale di riduzione applicata dai periti che avevano ridotto il valore accertato di 3,14 g/I, giungendo ad un valore di 2,75 g/I sulla scorta di una formula matematica che prevede un errore medio del 20% nei risultati espletati ai fini clinici.
Si sottolineava oltre tutto come l’obiezione prospettata dal ricorrente non considerasse il pacifico orientamento della Suprema Corte che aveva già più volte avallato il metodo enzimatico utilizzato per l’esame sul plasma trattandosi di componente del sangue in cui sono sospese le cellule sanguigne ed in cui sono presenti i prodotti del metabolismo organico, come tale idoneo a fungere da liquido biologico per l’espletamento degli accertamenti alcolimetrici, salvo considerare la potenziale discordanza percentuale in ribasso – scientificamente accertata in un massimo del 20% – tra i risultati del metodo enzimatico e di quello gascromatografico, ai fini dell’esatto accertamento del tasso alcolemico (cfr. Sez. 4, n. 48284 del 26/09/2017, omissis.; Sez. 4, n. 34875 del 08/06/2017, omissis) e dunque, alla stregua di ciò, nel caso in disamina, l’abbattimento del 20% operato sul valore riscontrato con metodo enzimatico (3,14 g/I) aveva condotto ad un risultato (2,75 g/I, poi ulteriormente ridotto a 2,29 g/l) comunque penalmente rilevante in quanto superiore a 1,5 g/I e, come tale, idoneo a configurare la ritenuta aggravante di aver causato l’omicidio e le lesioni stradali per cui è causa alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186, comma 2, lett. c), cod. strada.
Posto ciò, si stigmatizzava la tesi sostenuta dal ricorrente anche nei termini della sua specificità stante il fatto che le doglianze prospettate da costui si sarebbero limitate a contestare i risultati della perizia, senza fornire una documentata spiegazione alternativa idonea a disarticolare il percorso logico-argomentativo della sentenza impugnata mentre, come rilevato in sede nomofilattica, in tema di controllo sulla motivazione, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio senza ignorare le argomentazioni del consulente e dunque, in ragione di ciò, può ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen., solo qualora risulti che queste ultime siano tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali recepite dal giudice (Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, omissis, Rv. 26990901),
Invece, a detta dei giudici di legittimità ordinaria, siffatta evenienza non era ravvisabile nel caso di specie.
Si osservava tra l’altro, a conferma dell’infondatezza del ricorso proposto, come la Corte di Cassazione avesse già avuto modo di affermare il principio per cui, in tema di guida in stato di ebbrezza, in presenza di un accertamento del tasso alcolemico conforme alla previsione normativa, grava sull’imputato l’onere di dare dimostrazione di circostanze in grado di privare quell’accertamento di valenza dimostrativa della sussistenza del reato fermo restando che non integra circostanza utile a tal fine il solo intervallo temporale intercorrente tra l’ultimo atto di guida e l’espletamento dell’accertamento (Sez. 4, n. 24206 del 04/03/2015, omissis, Rv. 26372501) rilevandosi al contempo che non può essere accolta una prova a discarico basata soltanto su valutazioni teorico-scientifiche che costituiscono espressione della soggettiva dinamica metabolica della curva alcolennica rispetto al momento di assunzione della sostanza alcolica, tanto più in assenza di adeguati riferimenti al momento esatto di tale assunzione.
Tal che, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, come accennato anche prima, se ne faceva discendere la reiezione dell’impugnazione proposta innanzi al Supremo Consesso.
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Conclusioni
La sentenza in questione è sicuramente interessante nella parte in cui, da un lato, si affronta la tematica connessa al modo con cui il giudice deve valutare la perizia, dall’altro, si tratta la questione dell’onere probatorio a carico dell’imputato nel caso in cui, qualora ricorra la guida in stato di ebbrezza, sia stato acclarato un tasso alcolemico conforme alla normativa per cui si risponde penalmente.
Infatti, da un lato, si afferma che in tema di controllo sulla motivazione, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità delle seconde dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio senza ignorare le argomentazioni del consulente, dall’altro, si postula che, in tema di guida in stato di ebbrezza, in presenza di un accertamento del tasso alcolemico conforme alla previsione normativa, grava sull’imputato l’onere di dare dimostrazione delle circostanze in grado di privare quell’accertamento di valenza dimostrativa della sussistenza del reato fermo restando che non integra circostanza utile a tal fine il solo intervallo temporale intercorrente tra l’ultimo atto di guida e l’espletamento dell’accertamento.
Va da sé dunque che tale decisione si appalesa assai utile sia per comprendere come e in che termini il giudice sia tenuto a motivare ove costui ritenga di dover aderire alla conclusioni formulate dal consulente tecnico d’ufficio in dissonanza con quanto rilevato da quello di parte, sia quale onere incombe all’imputato allorchè, in materia di guida in stato di ebbrezza, sia accertato un tasso alcolemico tale da far emergere a suo carico una responsabilità penale,
Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, dunque, non può che essere positivo.
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