In tema di misure di prevenzione patrimoniali, quando può essere confiscato un immobile lecitamente acquisito ma ampliato o migliorato con l’impiego di disponibilità economiche prive di giustificazione

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

Il fatto

La Corte d’Appello di Napoli confermava un decreto emesso dal Tribunale di Napoli che aveva rigettato una istanza rivolta da una terza intestataria ad ottenere la revocazione della confisca di un immobile disposta con decreto del Tribunale di Napoli.

In particolare, con la domanda di revocazione, l’istante aveva assunto come l’immobile in questione non fosse riconducibile al proposto e, a dimostrazione di ciò, l’istante aveva dedotto le testimonianze della venditrice e del mediatore nella compravendita, supportate da documentazione bancaria, fermo restando come tali prove sarebbero emerse a seguito dell’espletamento di indagini difensive successive alla definitività del decreto di confisca.

La Corte d’Appello di Napoli, dal canto suo, aveva disatteso la tesi dell’istante ritenendo non provata la legittima provenienza della somma utilizzata per l’acquisto del terreno e, soprattutto, della ben più consistente somma necessaria alla realizzazione, sullo stesso, di ben tre appartamenti – a fronte di una pericolosità manifestatasi già nel 1994, laddove gli appartamenti erano stati costruiti successivamente a tale data, tanto che non erano ancora completi di finiture nel 2007.

 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

 

Contro il provvedimento suddetto veniva proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore, deducendosi i seguenti motivi: 1) violazione degli artt. 28 e 117 del d.lgs. n. 159 del 6 settembre 2011 e dell’art. 630 cod. proc. pen. per il fatto che l’istanza di revocazione era stata esaminata e trattata dal Tribunale, ai sensi dell’art. 7, comma 2, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, invece che ai sensi dell’art. 28 d.lgs. 159/2011 cit. e, quindi, da giudice incompetente sottolineandosi al contempo che il decreto di confisca era stato confermato dalla Corte d’Appello e, quindi, dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 159/2011, che aveva riordinato la materia e previsto l’apposito rimedio della revocazione; 2) plurime violazioni legge, ordinaria e costituzionale per il fatto che – come sarebbe stato provato nel procedimento di revocazione – la misura di prevenzione patrimoniale era stata emessa in mancanza dei presupposti oggettivi e soggettivi richiesti dalla legge non essendo stato argomentato in ordine alle prove nuove, versate in atti le quali avrebbero dimostrato che il bene oggetto di confisca non era ricollegabile al proposto, bensì al padre che lo aveva intestato formalmente alla sorella in guisa tale che tali circostanze, per la difesa, avrebbero contribuito a neutralizzare in maniera rilevante la dichiarata sproporzione tra il valore dei beni posseduti e i redditi dichiarati; 3) violazioni della legge 1423/56, della legge 575/1965 e del d.lgs. 159/2011 e vizi motivazionali in relazione alla perimetrazione della pericolosità del proposto poiché i giudici di merito avevano – indebitamente – fatto risalire al 1994, laddove sarebbero risultati in atti che quest’ultimo era stato arrestato nel 2005 per reati commessi nel 2002, e quindi in epoca lontana dall’acquisto del terreno, avvenuto nel 1993, e dalla edificazione degli appartamenti, effettuata nei due anni successivi.

Da ultimo, si faceva presente che, ad avviso del difensore, in maniera arbitraria, i giudici avrebbero attribuito al complesso immobiliare il valore di E. 470.000 euro, sulla base della stima dell’amministratore giudiziario, laddove una stima effettuata da un geometra, depositata nel procedimento di prevenzione, avrebbe dimostrato di come si fosse trattato di un valore decisamente inferiore.

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

 

Tutti i motivi di censure veniva reputati infondati per le seguenti ragioni.

Si osservava prima di tutto come sia giurisprudenza pacifica della Cassazione che il rimedio della revocazione della confisca di prevenzione, attribuito dall’art.28 del d.lgs. 6 settembre 2011, n.159, alla competenza della Corte di Appello, non si applica con riferimento ai provvedimenti adottati prima del 13 ottobre 2011 (data di entrata in vigore del citato d.lgs.), per i quali la competenza per la revoca spetta all’organo che aveva disposto la confisca, ai sensi dell’art.7 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Cass., sez. 6, n. 17854 del 27/5/2020; sez. 1, n. 2945 del 2014; sez. 1, n. 45278 del 2013; sez. 1, n. 33782 del 8/4/2013).

Ciò posto, da tale giurisprudenza, mai contraddetta in sede giudiziaria, la Suprema Corte riteneva di non dovesse discostarsene nel caso di specie giacché il tradizionale principio “tempus regit actum” non ha, come è noto, carattere assoluto ma conosce deroghe espresse (Sez. U, n. 16101 del 27/03/2002, per la quale le impugnazioni sono soggette alla disciplina vigente all’epoca di definizione dell’iter formativo del provvedimento impugnabile), nello specifico per l’appunto individuabili nella previsione della disposizione transitoria di cui all’art. 117 d.lgs. 159/2011, secondo cui le nuove disposizioni – tra cui, indiscutibilmente, l’art. 28 – non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del decreto, sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione posto che, in tali casi, è stato ribadito, continuano ad applicarsi le norme previgenti.

Il primo motivo veniva, pertanto, considerato manifestamente infondato.

Manifestamente infondato veniva reputato pure il secondo motivo di ricorso, col quale – sulla base delle nuove testimonianze e della documentazione bancaria, ignorate, si diceva, dal giudicante – viene contestata la riferibilità dell’immobile al proposto.

La semplice lettura del provvedimento impugnato dimostrava, invece, ad avviso degli Ermellini, come la Corte d’Appello avesse specificamente considerato ciò che era stato dichiarato per rilevare che nessuna prova era stata fornita circa l’origine lecita della provvista suddetta; dimostrazione che, almeno sotto forma di allegazione, andava – per il disposto dell’art. 2/ter della legge 575/65 – data dal proposto (e in questo procedimento dalla ricorrente), trattandosi di somma proveniente da soggetto legato da stretti vincoli di parentela (paternità) a quello destinatario della misura di prevenzione.

Soprattutto, sempre ad avviso della Suprema Corte, la Corte d’Appello aveva considerato che la parte principale del “valore” confiscato fosse costituita da appartamenti realizzati sul terreno suddetto in ordine al quale nulla era stato dedotto per dimostrare l’origine, lecita, delle somme necessarie all’edificazione.

A nulla valeva, pertanto, per i giudici di piazza Cavour, insistere sulla prova fornita dalla difesa dal momento che i loro testimoni avevano reso dichiarazioni in ordine alle modalità di trasferimento del terreno ma nulla avevano potuto dire in ordine alla provenienza delle somme necessarie alla realizzazione del fabbricato il che, per la Corte, assumeva particolare rilevo alla luce della giurisprudenza nomofilattica secondo cui, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, quando risulti che un immobile lecitamente acquisito sia stato ampliato o migliorato con l’impiego di disponibilità economiche prive di giustificazione, la confisca può investire il bene nella sua interezza allorché le trasformazioni e le addizioni abbiano natura e valore preminente, tale da non consentire una effettiva separazione di distinti valori “pro quota (Cass., n. 27933 del 15/3/2019; N. 29186 del 2013).

Orbene, nella specie, il valore preminente dell’immobile, per la Cassazione, era dato sicuramente dal fabbricato per la cui edificazione nulla avevano potuto dire i nuovi testi esaminati, né elementi altrimenti favorevoli alla ricorrente erano stati dedotti in ricorso, salva la riproposizione della tesi (quella della spendita di risorse proprie del genitore) già ampiamente confutata nel procedimento originario.

 

Conclusioni

 

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui si spiega, per quanto concerne le misure di prevenzione patrimoniali, quando può essere confiscato un immobile lecitamente acquisito ma ampliato o migliorato con l’impiego di disponibilità economiche prive di giustificazione.

Difatti, in tale pronuncia, citandosi giurisprudenza conforme, si afferma che, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, quando risulti che un immobile lecitamente acquisito sia stato ampliato o migliorato con l’impiego di disponibilità economiche prive di giustificazione, la confisca può investire il bene nella sua interezza allorché le trasformazioni e le addizioni abbiano natura e valore preminente, tale da non consentire una effettiva separazione di distinti valori “pro quota“.

Tale provvedimento, dunque, deve essere preso nella dovuta considerazione ove si verifichi una situazione di questo genere.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta decisione, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, quindi, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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