Indice/ Abstract:
Cosa si intende per adempimento e per inadempimento secondo quanto statuito dal IV libro del codice civile.
Il raffronto tra l’articolo 1176, 2° co. ed il 1218 del codice civile. Quest’ ultimo articolo viene collocato a distanza dall’art. 1173 c.c. nonostante sia fonte di obbligazione.
La teoria soggettiva, quella oggettiva e la mediana. L’orientamento della dottrina (G. Osti) e la liberazione del debitore prevista all’art. 1256 del c.c.
L’irrisarcibilità del danno sancita dal 2°co. e la gravità della colpa ex art. 1°co. dell’ art.1227 c.c.
L’imputabilità al creditore della causa ignota artt. 40 e 41 c.p. in cui la diligenza sussiste, ma la responsabilità contrattuale è per colpa, ex art. 1218 del c.c., la non rimproverabilità viene oggi fortemente discussa in quanto non coerente con l’art. 1218 c.c.
Come la giurisprudenza affronta la problematica della causa impeditiva ignota: Cassazione, sez. III, sentenza n°17143 del 9.10.2012;. Cassazione Civ. sez. III, n°10297 del 28.5.2004; Cassaz. Civ. sez. III, n°8826 del 13.4.2007 e Cassaz. Civ., sez III n° 20904 del 12.9.2013.
Il libro IV del codice civile disciplina le modalità secondo le quali l’adempimento esatto consente al debitore di liberarsi dalla prestazione. Si ha adempimento laddove vengono rispettati i termini, i modi ed il luogo stabiliti dalla fonte dell’obbligazione.
Questa può derivare sia da fatto illecito o da ogni altro fatto idoneo a produrle oltre che, in via prevalente, derivare da contratto. L’art. 1218 del cod.civ. , che stabilisce la responsabilità del debitore per le obbligazioni in generale, viene collocato solo dopo vari articoli al capo III, avendo stabilito appunto quali siano le fonti delle obbligazioni con l’art. 1173 c.c. Affinché si abbia adempimento nell’accezione generale prevista dalla legislazione vigente e’ necessaria l’accortezza prevista dal 1176 c.c., ovvero la diligenza del buon padre di famiglia.
Al 2° comma l’art. 1176 del cod. civ. però, aggiunge una ulteriore accortezza da dover usare, considerando la specificità inerente l’esercizio di un’ attività professionale, cioè che tale diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.
Sino a questo punto nulla questio sulla regolamentazione dell’adempimento, ma cambia nel momento in cui interviene il 1218 c.c. per stabilire quando l’attività posta in essere dal debitore debba essere considerata inadempimento e quali le sue esimenti.
Difatti, l’articolo in questione, al fine di stabilire la responsabilità afferma che e’ tenuto al risarcimento del danno il debitore che non prova l’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
La dottrina (Natoli), a tal proposito ha elaborato una ipotesi prevalente in sede di stesura del codice stesso, come risulta dalla documentazione dei lavori preparatori.
La c.d. teoria oggettiva per cui, al fine di assicurare la maggior correttezza possibile ai traffici economici ha accolto una concezione particolarmente rigida dalla responsabilità contrattuale.
L’inadempimento sussiste per il solo fatto che la prestazione dovuta sia rimasta ineseguita e conseguentemente il debitore può liberarsi solo provando l’oggettiva impossibilità della prestazione. L’art. 1176 c.c., secondo tale concezione, risulta una mera regola di condotta. Il 1° co. dell’art. 1176 c.c. fa riferimento alle obbligazioni non determinate nel contenuto come quelle di mezzo, il 2° co. riguarda l’attività professionale per cui deve valutarsi la natura stessa dell’ attività svolta.
L’inadempimento imputabile ai sensi dell’art. 1218 c.c. si ha per effetto della mancata e inesatta esecuzione che implica la responsabilità del debitore per il risarcimento dei danni patiti dal creditore.
L’inadempimento non imputabile consente la liberazione del debitore ai sensi dell’ art. 1256 c.c. L’inadempimento e’ imputabile al debitore non solo quando e’ conseguenza di una sua scelta volontaria ma anche quando discende da una sua incapacità finanziaria o tecnica, ovvero da negligenza o da mora nella preparazione dell’adempimento per colposa inettitudine iniziale del debitore e nella esecuzione della prestazione.
Dal 2° com. dell’art. 1227 del cod. civ. emerge in modo evidente che è irrisarcibile il danno evitabile da parte del creditore, mentre il 1° comma stabilisce una gradazione differenziata del risarcimento in base alla gravità della colpa e l’entità delle conseguenze derivate.
La causa impeditiva ignota nell’ambito dell’ inadempimento contrattuale e della sua relativa imputabilità, pertanto, viene posto sempre a carico del creditore qualora dal combinato disposto tra l’art. 1227 e 1218 sia stata portata innanzi una condotta impeditiva dell’evento-inadempimento contrattuale, in armonia con gli art. 40 e 41 c.p. riguardo il concorso di colpa del danneggiato.
Si ha rilevanza della causa ignota quando si rende impossibile la prestazione e non e’ individuabile dal debitore ovvero l’ipotesi in cui il debitore dimostra di aver tenuto un comportamento conforme al modello di diligenza, dimostrando di fatto di averla posta in essere per quel determinato rapporto obbligatorio che lo richiedeva. Tuttavia, non riesce ad individuare quella che e’ la causa specifica che determinato l’impossibilità della prestazione e quando la mancata esecuzione il debitore dimostra, da parte sua, tutto quello che sapeva e poteva fare; e’ stato diligente, ma la causa rimane ignota. La responsabilità contabile rimane, comunque, responsabilità per colpa per il 1218 c.c. Se la diligenza dimostra la non imputabilità ed il fatto che la causa ignota grava sul creditore.
Questi non riceve la prestazione esatta e non sa perché ciò sia accaduto e dall’altra parte un debitore che sa di essersi comportato conformemente agli standard di diligenza e ciò lo salva da responsabilità. L’equazione responsabilità contrattuale uguale responsabilità per colpa solleva il debitore che non ha l’onere di indagare sulla causa determinativa dell’impedimento, e’ oggi fortemente discussa perché non coerente con la formazione letterale del 1218 c.c.
Alla base del 1218 la responsabilità contrattuale e diversamente concepita, a prescindere dal ruolo della colpa, comunque non e’ in discussione la causa ignota e quindi inadempimento grava sul debitore e mai sul creditore.
Occorre distinguere nell’ambito del 1218 c.c. due distinti profili: da un lato l’impossibilità della prestazione e dall’altro la non imputabilità della causa che ha determinato l’impossibilità.
Il 1218 del cod. civ. afferma che il debitore e’ responsabilità dell’inadempimento a meno che l’inadempimento deriva da impossibilita’ della prestazione a lui non imputabile.
E’ onere del debitore questa dimostrazione. Ciò significa che l’onere probatorio del debitore dovrebbe essere scomposto in due momenti: da un lato individuare specificatamente quel fattore che ha determinato l’impossibilità della prestazione e quindi e’ da definire bene cosa si intenda per impossibilità della prestazione, così ad esempio per impossibilita’ oggettiva e assoluta, oppure per impossibilità relativa, o da verificare sotto la luce del criterio della buona fede.
Al di là del contenuto della impossibilità, il 1218 c.c. si impone di determinare la causa di questa stessa.
La causa rimane un fattore specifico dell’ impossibilità, anzi è un fattore ascrivibile alla diligenza.
Causa ignota vorrà dire impossibilità nel dimostrarne la non rimproverabilità di questa causa né estranea, né fattore di rischio dell’organizzazione prevista, quindi la causa ignota rimarrebbe sempre a carico del debitore in caso di inadempimento contrattuale.
La Corte di Cassazione, sez. III, sentenza n°17143 del 9.10.2012, intervenuta in materia di responsabilità medica c.d. “strutturata”e specialistica, ritiene che la responsabilità professionale vada esaminata con maggior rigore, dovendosi aver riguardo alla peculiare specializzazione richiesta e alla necessità di adeguare la condotta alla natura ed al livello di pericolosità della prestazione.
La soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, richiede notevole abilità specie se nuovi o di speciale complessità, con largo margine di rischio in presenza di ipotesi non ancora adeguatamente studiate o sperimentate, ed è il medico, in caso di insuccesso, che deve dare la prova della particolare difficoltà della prestazione.
La giurisprudenza consolidata e maggioritaria ritiene che il creditore (paziente) deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto allegandola, invece è il debitore (medico) a dover dimostrare la prova del fatto estintivo dell’avvenuto inadempimento.
Nelle cause di responsabilità medico-professionale è il paziente che agisce in giudizio provando l’inesatto inadempimento dell’obbligazione sanitaria, mentre il medico deve dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente e che l’impedimento non era prevedibile né prevenibile con la diligenza dovuta, ex multis Cassaz. n°15993 del 21.7.2011.
Il danneggiato è tenuto a provare il contratto e allegare la difformità della prestazione ricevuta ed al danneggiato incombe l’onere di provare che l’inesattezza della prestazione dipende da causa a lui non imputabile, ovvero la prova del fatto impeditivo. Nel caso in cui tale prova non si riesca a dare, ex art. 1218 e 2697 c.c. , il debitore rimane soccombente per causa impeditiva ignota.
Nelle cause di responsabilità medica, è evidente che rimane a carico del medico la prova che la prestazione sia stata eseguita con la dovuta diligenza e che l’esito peggiorativo sia stato determinato da un evento imprevedibile, così come affermato dalla Cassaz. Civ. sez. III, n°10297 del 28.5.2004.
La questione che si pone all’interprete è quello di definire l’esatto contenuto di tale ultima prova: si dovrà stabilire se il debitore possa limitarsi a provare la diligenza spiegata nella esecuzione della prestazione o se, al contrario, lo stesso sia tenuto a fornire la ben più difficile prova dello specifico fattore causale che ha prodotto l’esito infausto.
La dottrina risalente ha sempre fatto riferimento alla distinzione mezzi-risultato, sul presupposto che conservi una sua utilità ai fini descrittivi, pur avendo perso ogni rilievo sul piano probatorio.
Nelle obbligazioni di comportamento, come quella del medico, il debitore ha il dovere di agire diligentemente in vista di uno scopo che resta fuori dall’oggetto dell’obbligazione, pur coincidente con l’interesse finale del creditore. Si esige che il medico abbia rispettato i canoni di diligenza, prudenza e perizia, nonché, secondo il Tribunale di Milano, 22.4.2008, “i protocolli e le linee-guida più accreditate nel proprio settore di competenza”. Il creditore, fornita tale dimostrazione, non potrebbe invocare l’art.1218 c.c., pretendendo la prova della specifica causa impeditiva. Infatti tale norma presuppone un inadempimento, che non sussiste quando risulti provata la condotta diligente.
Una corrente dottrinale ( Cappai e Izzo) ha giustamente rilevato come la varietà che connota le prestazioni sanitarie impedisca di dare una soluzione univoca alla questione. All’interno di tale vasta area di riferimento, è possibile distinguere prestazioni caratterizzate da diversi gradi di aleatorietà. Si è così ritenuto di individuare il discrimen della diversa modulazione della prova liberatoria proprio nell’incertezza del risultato.
Si è osservato come nelle prestazioni dall’esito più incerto, il debitore, a fronte della prova del danno che può consistere in un peggioramento o mancato miglioramento delle condizioni di salute, abbia una duplice alternativa di difesa. Lo stesso potrebbe liberarsi mediante la prova dell’agire diligente oppure tramite quella causa non imputabile.
Nelle prestazioni con elevate probabilità di successo e margini di rischio prossimi allo zero, al contrario, il medico non potrà liberarsi che dimostrando il fatto imprevedibile e inevitabile che ha ostacolato la realizzazione del risultato convenuto.
Il maggior rigore verso quest’ultimo ordine di ipotesi si spiega con la natura altamente vincolata delle prestazioni di routine, che, è risaputo, consentono di inferire la negligenza dal risultato fallimentare dell’atto terapeutico, “con un grado di probabilità prossima alla certezza” (Cappai). Tale presunzione, non potrebbe, di fatto, essere superata che con l’individuazione del fattore causale eccezionale.
Nelle prestazioni ad esito più incerto, diversamente, in cui entrano in gioco molteplici fattori estranei alla sfera di controllo del debitore, la prova del danno induce a ritenere la sua derivazione causale da un errore medico, con un grado di probabilità molto più contenuto. In una simile situazione risulta più semplice per il professionista convincere il giudice della certezza del proprio operato e,quindi dell’esatto adempimento, non rendendosi a tal fine necessaria l’individuazione della causa impeditiva.
La dottrina (Izzo) ha messo in luce come il consolidamento dei ragionamenti presuntivi, applicati nelle ipotesi di interventi routinari, è reso possibile dal progresso della medicina, che consente di diminuire drasticamente il rischio iatrogeno e la percentuale di insuccesso.
Si rinviene traccia dell’ipotesi ricostruttiva appena delineata nella casistica giurisprudenziale. In molte decisioni, in effetti, in cui la prova del fatto impeditivo risulta posta a carico del medico, vengono in considerazione ipotesi in cui risulta provata la condotta inadempiente, come nelle sentenze n°8826, Cassaz. Civ. sez. III, 13.4.2007 e Cassaz. Civ., sez III n° 20904 del 12.9.2013.
E’ evidente che una volta accertato l’inadempimento, anche per presunzioni, come nel caso di routine, il debitore non possa andare esente da responsabilità se non provando il fatto eziologico, estraneo alla sua capacità di controllo.
Non sembra, invece, sostenibile una tesi che addossasse sistematicamente al convenuto la prova dell’evento non imputabile, a fronte della mera allegazione di parte attorea del danno derivato dall’intervento. Quando i fattori di rischio sono molteplici, infatti, imporre un simile onere al medico avrebbe l’effetto pratico di imputargli una automatica responsabilità, stante l’impossibilità, spesso, di individuare la specifica causa impeditiva.
Appare dunque equo ed idoneo all’equilibrio del sistema Giustizia il non applicare una simile regola ad ambiti di rischio totalmente differenti.
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