Inammissibile il ricorso in Cassazione avverso i provvedimenti che definisco il procedimento ex articolo 591 ter c.p.c.

 

Focus della Cassazione sul reclamo avverso gli atti del professionista delegato

“È inammissibile il ricorso avverso l’ordinanza che definisce il gravame proposto contro gli atti del professionista delegato, in quanto provvedimento privo di natura decisoria e di definitività”

Questo il principio di diritto processuale desumibile dalla Sentenza numero 12236  pubblicata dalla terza sezione civile della Corte di in data 09.05.2019

Il Caso

La parte, lamentando che il professionista delegato avesse proceduto all’aggiudicazione di un lotto nonostante:

  1. il prezzo offerto dall’aggiudicatario fosse notevolmente inferiore al valore reale del bene;
  2. l’avviso di vendita, nell’indicare i beni secondo una numerazione differente da quella adottata dall’esperto estimatore, avesse sviato i possibili interessati facendo si che all’asta partecipasse un unico offerente;
  3. nelle more della procedura fosse deceduto il debitore principale ed ai suoi eredi non fosse stato dato avviso della pendenza della procedura esecutiva;
  4. l’aggiudicatario avesse offerto un importo (offerta minima) inferiore al prezzo a base d’asta e ciò in violazione al regime transitorio previsto dal D.L.83/2015.

proponeva ricorso al giudice dell’esecuzione avverso l’atto del professionista, quindi, reclamo avverso il provvedimento di rigetto adottato dal giudice monocratico e, infine, ricorso in Cassazione avverso il provvedimento del Collegio, articolato sui seguenti motivi:

  1. Violazione del disposto dell’articolo 23, comma 9, del D.L.83/2015, per avere il giudice consentito l’aggiudicazione ad un prezzo inferiore alla “base d’asta”, nonostante l’ordinanza di delega delle operazioni di vendita fosse anteriore all’entrata in vigore della D.L. citato;
  2. Violazione del disposto dell’articolo 586 c.p.c., in particolare, per non avere il giudice sospeso l’aggiudicazione ed ordinato un nuovo incanto sia in considerazione del prezzo di aggiudicazione “vile” sia perché il giorno successivo all’asta era stata presentata un’offerta in aumento di circa 20.000,00 euro;
  3. Violazione di legge sulla trasparenza della pubblicità, per non avere il tribunale rilevato il vizio dell’avviso di vendita che, nell’indicare i beni secondo una numerazione differente da quella adottata dall’esperto estimatore, aveva sviato i possibili interessati;
  4. Violazione degli articoli 569 c.p.c. e 78 d.p.r. 602/73, per non essere stato notificato l’avviso di vendita al debitore;
  5. Violazione dell’articolo 567, comma terzo, c.p.c., perché il giudice avrebbe concesso ai creditori un termine ulteriore, rispetto a quello concesso dall’articolo 567 c.p.c., per il deposito della documentazione ipocatastale.

Con la sentenza in commento la terza sezione civile della Corte, senza entrare nel merito dei motivi di doglianza sollevati dalla parte, dichiara inammissibile il ricorso perché proposto avverso un atto non ricorribile né ai sensi dell’articolo 360 c.p.c. né ai sensi dell’art.111, comma settimo, Cost.

Il rigoroso iter motivazionale adottato dalla Corte si svolge attraverso pochi ma chiari passaggi così sintetizzabili

Lo scopo della procedura

La Corte si interroga, preliminarmente, sullo scopo della procedura delineata dall’articolo 591 ter c.p.c. giungendo ad affermare, sia in ragione della sua collocazione sistematica che della formulazione letterale, come il procedimento in esame abbia il solo scopo di “risolvere difficoltà pratiche e superare celermente le fasi di empasse dovute ad incertezze operative o difficoltà materiali incontrate dal professionista delegato”, costituendo espressione del più generale “potere di direzione” attribuito al giudice.

Per approfondire leggi anche “Nuovo formulario commentato del processo civile” di Lucilla Nigro

Gli atti impugnabili

Individuata la finalità della procedura, la Corte esamina, quindi, quali atti possano formare oggetto del procedimento di cui all’articolo 591 ter c.p.c., concludendo che il ricorso potrà avere ad oggetto soltanto tre tipologie di atti, ovvero:

  1. tutti gli atti del professionista delegato, “reclamabili” con “ricorso al giudice dell’esecuzione”;
  2. i decreti emessi dal giudice dell’esecuzione su istanza del professionista delegato, anch’essi “reclamabili” innanzi il medesimo giudice dell’esecuzione;
  3. le ordinanze emesse dal giudice dell’esecuzione in esito ai ricorsi presentati dalle parti nei casi che precedono le quali, ove non condivise, potranno essere reclamate innanzi al collegio ai sensi dell’articolo 669 terdecies p.c..

Termini di impugnazione

La Corte rileva, preliminarmente, come la legge non preveda alcun termine entro il quale reclamare al giudice dell’esecuzione gli atti del professionista delegato” ovvero i decreti adottati dal giudice dell’esecuzione su sollecitazione del professionista delegato, e come proprio l’inesistenza di un termine per l’impugnazione sia un chiaro indice dell’inidoneità del provvedimento impugnato ad acquisire definitività, a “far stato” tra le parti.

Natura del provvedimento che definisce il reclamo

Quindi, conclude la Corte, qualunque sia il provvedimento adottato dal giudice dell’esecuzione o dallo stesso collegio chiamato al controllo sull’operato del giudice monocratico, tali statuizioni, in quanto espressioni del potere ordinatorio di “impulso, coordinamento e controllo” attribuito al giudice sull’attività del delegato:

  • non hanno contenuto decisorio, in quanto non sono dirette a risolvere definitivamente una controversia ma ad impartire ordini per rimuovere gli ostacoli incontrati dal professionista delegato;
  • sono prive del carattere della definitività in quanto, osserva la Corte, non può ritenersi inibito al professionista o al giudice dell’esecuzione “nell’ulteriore corso della procedura e con riferimento agli atti ancora da compiere” chiedere nuove istruzioni o adottare soluzioni differenti;

e conseguentemente, non sono assimilabili ad una sentenza in quanto non suscettibili di statuire sui diritti con efficacia di giudicato, considerazione che porta ad escluderne la ricorribilità ex articolo 360 c.p.c., né ad altro provvedimento ricorribile ai sensi dell’art.111, comma settimo, Cost., in quanto provvedimenti privi di natura decisoria e di definitività.

Ulteriori gravami

La Corte rileva, infine, come la “non ricorribilità” diretta degli atti e dei provvedimenti in esame non esclude che le “eventuali nullità verificatesi nel corso delle operazioni delegate” possano ripercuotersi sul successivo atto di procedura compiuto dal giudice determinandone la nullità, da far valere nei limiti ed alle condizioni di cui all’articolo 617 c.p.c.

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Avv, Giovanni Campisi

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