Inammissibile il ricorso se ci si limita a copiare gli atti processuali

In punto di diritto va dichiarato inammissibile il ricorso per la cassazione di una sentenza quando il ricorrente, in luogo di una esposizione sommaria e sintetica dei fatti, si sia limitato a ricopiare integralmente, nella prima parte del ricorso, una serie di atti processuali omettendo qualsiasi sintesi della vicenda per cui è causa.

È il principio stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione II Civile, con la sentenza del 25 luglio 2017, n. 18273, mediante la quale ha accolto l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal Procuratore Generale.

 

La vicenda

La pronuncia traeva origine dal fatto che SEMPRONIO propose opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione con la quale il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali gli intimò il pagamento della sanzione amministrativa di euro 474.297,67, irrogatagli a seguito della dichiarata decadenza dagli aiuti comunitari previsti per l’agricoltura e da lui indebitamente percepiti per gli anni 1996-2002 in relazione al terreno forestale sito nel comune di Fantasia, foglio 44, particella 63, esteso ettari 131 circa.

A conclusione dei giudizi di merito, la Corte di Appello di Cagliari confermò la sentenza del locale Tribunale con la quale fu rigettata l’opposizione proposta da SEMPRONIO.

Per la cassazione della sentenza di appello ricorre SEMPRONIO sulla base di nove motivi.

Resiste con controricorso il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato.

 

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I motivi di ricorso

La pronuncia in esame assume rilievo in quanto il Procuratore Generale ha formulato eccezione di inammissibilità del ricorso, per la mancata esposizione sommaria dei fatti della causa prescritta dall’art. 366 n. 3 cod. proc. civile, sostituita – dal ricorrente – dall’assemblaggio, mediante ricopiatura, degli atti dei giudizi di merito.

La decisione

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, mediante la citata sentenza n. 18273/2017 ha ritenuto fondata l’eccezione ed ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso.

Com’è noto, precisa la Suprema Corte, l’art. 366 cod. proc. civ., nel dettare le condizioni formali del ricorso, ossia i requisiti di “forma-contenuto” dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, configura un vero e proprio “modello legale” del ricorso per cassazione, la cui violazione è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso.

Con particolare riferimento al requisito della «esposizione sommaria dei fatti della causa» di cui n. 3 dell’art. 366 cod. proc. civ., va osservato che tale requisito è posto, nell’ambito del modello legale del ricorso, non tanto nell’interesse della controparte, quanto in funzione del sindacato che la Corte di cassazione è chiamata ad esercitare e, quindi, della verifica della fondatezza delle censure proposte.

L’esposizione sommaria deve avere ad oggetto sia i fatti sostanziali sia i fatti processuali necessari alla comprensione dei motivi di ricorso.

Esiste pertanto un rapporto di complementarità tra il requisito della «esposizione sommaria dei fatti della causa» di cui n. 3 dell’art. 366 cod. proc. civ. e quello – che lo segue nel modello legale del ricorso – della «esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione» (n. 4 dell’art. 366 cod. proc. civ.), essendo l’esposizione sommaria dei fatti funzionale a rendere intellegibili, da parte della Corte, i motivi di ricorso e le censure mosse alla sentenza impugnata.

In altri termini, secondo il “modello legale” apprestato dall’art. 366 cod. proc. civ., la Corte di Cassazione, prima di esaminare i motivi, dev’essere posta in grado, attraverso una riassuntiva esposizione dei fatti, di percepire sia il rapporto giuridico sostanziale originario da cui è scaturita la controversia, sia lo sviluppo della vicenda processuale nei vari gradi di giudizio di merito, in modo da poter procedere poi allo scrutinio dei motivi di ricorso munita delle conoscenze necessarie per valutare se essi siano deducibili e pertinenti.

Perciò, il difensore che redige il ricorso per cassazione – che, per legge, dev’essere un professionista munito di quella particolare specializzazione attestata dalla sua iscrizione nell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione – deve procedere ad elaborare autonomamente “una sintesi della vicenda fattuale e processuale”, selezionando i dati di fatto sostanziali e processuali rilevanti (domande, eccezioni, statuizioni delle sentenze di merito, motivi di gravame, questioni riproposte in appello, etc.) in funzione dei motivi di ricorso che intende formulare, in modo da consentire alla Corte di procedere poi allo scrutinio di tali motivi disponendo di un quadro chiaro e sintetico della vicenda processuale, che le consenta di cogliere agevolmente il significato delle censure, la loro ammissibilità e la loro pertinenza rispetto alle rationes decidendi della sentenza impugnata.

L’esposizione sommaria dei fatti della causa, per essere funzionale alla comprensione dei motivi, dev’essere “sintetica“, come si evince dal richiamo al suo carattere “sommario”, già preteso dal codificatore del 1940.

La “sintesi” degli atti processuali costituisce oggi un vero e proprio “valore”, che va assumendo importanza crescente nell’ordinamento italiano.

Basti pensare a quanto previsto dall’art. 3 n. 2 del codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), con riferimento all’obbligo di redigere gli atti «in maniera chiara e sintetica».

Basti pensare, infine, al protocollo d’intesa tra la Corte di cassazione e il Consiglio Nazionale Forense sottoscritto il 17.2.2015 (non applicabile tuttavia al presente ricorso ratione temporis), laddove si è convenuto che l’esposizione sommaria dei fatti debba essere contenuta nel limite massimo di cinque pagine.

Pertanto, il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa non può ritenersi osservato tramite la mera e passiva riproduzione della sentenza impugnata, allorché quest’ultima non contenga la descrizione dello svolgimento del processo, né una chiara esposizione dei fatti sostanziali e processuali (cfr., Corte di Cassazione, Sez. VI – 3, n. 21137 del 16/09/2013).

Quel che è certo è che l’onere di esporre i fatti della causa in modo sommario e sintetico non può ritenersi assolto quando il ricorrente si limita a ricopiare nel ricorso, integralmente e per intero, gli atti dei giudizi di merito (cfr. Corte di Cassazione, Sez. 1, n. 21750 del 27/10/2016, secondo cui l’esposizione “sommaria” dei fatti di causa deve contenere il necessario e non il superfluo, sicché è inammissibile il ricorso con il quale il ricorrente, senza una sintesi riassuntiva finale, si limiti a trascrivere il testo integrale di tutti gli atti di causa, rendendo particolarmente complessa l’individuazione della materia del contendere e contravvenendo lo scopo della disposizione, la cui finalità è agevolare la comprensione della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura).

In proposito, va osservato che un’esposizione dei fatti assemblata, frutto della mera ricopiatura degli atti processuali e priva di qualsiasi sintesi e messa a fuoco della vicenda processuale da parte del difensore, equivale a sottoporre alla Corte l’intero fascicolo processuale o parte di esso e tradisce la ratio della prescrizione legislativa di cui all’art. 366 n. 3 cod. proc. Civile.

Sul punto, si sono pronunciate anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, statuendo che la prescrizione contenuta nell’art. 366 primo comma n. 3 cod. proc. civ. non può ritenersi osservata quando il ricorrente non riproduca alcuna narrativa della vicenda processuale, né accenni all’oggetto della pretesa, ma si limiti ad allegare, mediante “spillatura” al ricorso, l’intero ricorso di primo grado ed il testo integrale di tutti gli atti successivi, rendendo particolarmente indaginosa l’individuazione della materia del contendere e contravvenendo allo scopo della disposizione, preordinata ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura (Corte di Cassazione, Sez. U, n. 16628 del 17/07/2009).

Orbene, nel caso di specie, il ricorrente, in luogo di una esposizione sommaria e sintetica dei fatti, si è limitato a ricopiare integralmente, nella prima parte del ricorso, una serie di atti processuali (opposizione all’ordinanza-ingiunzione, memoria di costituzione del resistente, note autorizzate della parte ricorrente, memorie conclusive del ricorrente, atto di citazione in appello, comparsa di costituzione della parte appellata, comparsa conclusionale dell’appellante, memoria di replica dell’appellata, sentenza di appello), omettendo qualsiasi sintesi della vicenda per cui è causa.

Basti notare che l’assemblaggio dei detti atti ha occupato da p. 1 a p. 70 del ricorso, nel quale poi – con evidente sproporzione – solo ulteriori 22 pagine sono dedicate alla illustrazione dei nove motivi.

In tali condizioni (e considerato che l’esposizione dei fatti di causa non è desumibile neppure dall’illustrazione dei motivi), alla stregua delle ragioni e dei principi di diritto dianzi evidenziati deve ritenersi che il ricorrente non ha assolto l’onere di cui all’art. 366 n. 3 cod. proc. Civile, con la conseguenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Sentenza collegata

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Avv. Mancusi Amilcare

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