Incarichi dirigenziali e responsabilita’ del dirigente: alla ricerca di un equilibrio nell’ambito dei rapporti tra organi d’indirizzo politico e dirigenza

Redazione 28/09/03
 

di Alessandra Gaspari

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PREMESSA

Per compiutamente intendere gli istituti in esame con le connesse problematiche e meglio argomentare la tesi della necessità di un equilibrio nelle dinamiche relazionali, si ritiene opportuno preliminarmente rilevare che le normative in materia si presentano come una sorta di specchio dei contingenti, mutevoli e talvolta ambigui rapporti di forza tra i due fondamentali protagonisti/antagonisti ovvero tra Politica ed Amministrazione.

Da un rapido excursus storico delle disposizioni via via succedutesi si desume facilmente questa incessante dialettica: l’Amministrazione, nell’ordinamento liberale post-unitario, caratterizzato da fenomeni di osmosi tra ceto politico e vertici burocratici, è mero braccio esecutivo del Governo e del potere politico, priva di autonomia costituzionale e di soggettività1; trascurata nel periodo fascista, è, invece, tenuta in considerazione dalla Carta Costituzionale ed in particolare dagli articoli 97 e 98 dove sono fissati principi che, in apparente antinomia rispetto a quanto disposto dall’art 95 comma 2 Cost2, preludono ad una sua maggiore sfera di autodeterminazione tecnico-decisionale; nasce come dirigenza statale pubblica e come funzione con il D.P.R. 30.6.72 n 748 che ne fa una carriera autonoma da quella direttiva, ma malgrado l’espresso intento di riconoscere ad essa competenze specifiche, capacità di esprimere atti aventi rilevanza esterna e più in generale compiti di gestione con le conseguenti responsabilità di risultati di tipo imprenditorial-privatistico, finisce per essere un’organizzazione burocratica, attenta principalmente al rispetto del principio di legalità ed ancora fortemente condizionata, secondo uno schema gerarchico – accentrato, dal Ministro che svolge il duplice ruolo di rappresentante politico e capo dell’Amministrazione ; per effetto dei rivoluzionari principi della separazione tra Politica ed Amministrazione, della ricerca di efficienza ed efficacia e di contemperamento della spesa pubblica introdotti dal D.Lgs. 29/93 e perfezionati con successivi interventi dal D.Lgs. 80/98 e dal D.Lgs. 165/01 vive una profonda, progressiva metamorfosi ed acquisisce effettivi poteri di gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa ma nel contempo diviene da un lato responsabile in via esclusiva dei complessivi risultati dell’attività amministrativa e dall’altro meno stabile a causa degli incarichi a tempo determinato.

Inoltre, sebbene con la presente trattazione ci si limiterà ad esaminare la dirigenza statale, preme sottolineare che analoghe dinamiche si sono proposte a livello di Enti locali posto che persino in capo ad essi è stato riconosciuto un generale dovere di adeguare i propri ordinamenti ai principi della riforma o meglio e soprattutto a quello della distinzione fra i compiti e le responsabilità d’indirizzo politico amministrativo e di controllo dei risultati degli organi di governo e quelli di amministrazione e gestione della dirigenza.3

Con le modifiche apportate al D.Lgs. 165/01 dalla legge Frattini, infine, delle quali si approfondiranno gli aspetti riguardanti i due cruciali nodi interrelazionali del conferimento degli incarichi e della responsabilità dirigenziale, si assiste ad un’ennesima, inevitabile ridefinizione dei rapporti tra dirigenza e vertice politico.

INCARICHI DIRIGENZIALI

Da un primo sommario esame dell’attuale art 19 D.Lgs. 165/01 si ha l’immediata sensazione che l’obiettivo, espresso nella relazione introduttiva all’originario disegno di legge riformatrice, di conferire maggiore flessibilità al regime degli incarichi di funzione dirigenziale per un più stretto collegamento tra la dirigenza e gli organi d’indirizzo politico, sia non solo pienamente raggiunto ma addirittura salvaguardato4 da “ogni possibile futuro attacco” mediante il comma 12 bis del medesimo articolo che sancisce l’inderogabilità di siffatta disciplina da parte dei contratti o accordi collettivi.

In modo altrettanto deciso ed esplicito si afferma, da un lato, che l’atto di conferimento dell’incarico assolve alla prioritaria funzione di fissarne l’oggetto e gli obiettivi per i dirigenti in armonia con le priorità, i piani ed i programmi stabiliti dagli organi di vertice negli atti di indirizzo e con le eventuali modifiche nel corso del rapporto e, dall’altro, che si tratta di provvedimento amministrativo, quasi a dirimere le controversie insorte sul punto.

L’articolato normativo, invero, è tutto fatto di decise ed esplicite prese di posizione.

In primis, accanto alla specifica della natura provvedimentale dell’atto d’incarico e del suo indispensabile contenuto, sono indicati gli specifici parametri, di stampo prevalentemente soggettivistico, da utilizzare per l’affidamento dello stesso, consistenti “in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prescelti, nelle attitudini e nelle capacità professionali del singolo dirigente, valutate anche in

considerazione dei risultati conseguiti relativamente agli obiettivi fissati nella direttiva annuale e negli altri atti d’indirizzo del Ministro”.5

In secondo luogo, sempre riguardo al momento della scelta, si ammettono, in generale, la rinnovabilità e la derogabilità dell’art 2103 C.C. e, più nello specifico, la possibilità di attribuire gli incarichi dirigenziali generali anche a dirigenti di seconda fascia fino al 50% dei posti o a dirigenti non appartenenti ai nuovi ruoli delle Amministrazioni statali, nei limiti del 10% della dotazione organica dei dirigenti di 1° fascia e del 5% di quella dei dirigenti di 2° fascia od addirittura a soggetti provvisti di peculiari e comprovate qualità professionali non compresi però nei ruoli dirigenziali pubblici.

Ancora, si stabiliscono in modo tassativo le forme richieste per i diversi tipi d’incarico ( D.P.C.M. per la funzione dirigenziale di livello generale, provvedimento del dirigente dell’Ufficio dirigenziale generale per quella semplice e D.P.R. per quella c.d. apicale), la tipologia di funzioni ( ispettive, di consulenza, di studio e ricerca e via dicendo) da assegnare al dirigente in luogo della titolarità di un ufficio dirigenziale, la durata massima degli incarichi, che correlati agli obiettivi, non possono essere superiori ai 3 e ai 5 anni rispettivamente per la dirigenza generale o

apicale e per quella per così dire semplice, con l’esclusione di minimi temporali in nome di una funzionale ammissibilità di risoluzione consensuale del rapporto in ogni tempo.

Infine, al contratto è assegnato il nuovo ruolo, in certo senso secondario rispetto al provvedimento d’incarico, di accordo sul solo trattamento economico.

Dagli assunti sin qui descritti discendono significative conseguenze, non esenti da aspetti di criticità.

Innanzitutto l’opzione per la natura provvedimentale dell’atto di incarico ed il rinnovato contenuto presentano contrastanti aspetti: da un lato mettono in discussione la prevalente ricostruzione dell’incarico dirigenziale effettuata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 23.7.01 n 275 e dalla Cassazione Civile con la sentenza 11.6.01 n 78596 e soddisfano la tesi di coloro che già precedentemente alla modifica legislativa ne sostenevano la validità7 con argomentazioni incentrate sull’intrinseco carattere organizzativo dell’atto d’incarico, preordinato ad attribuire la potestà di esercizio di funzioni pubbliche, sull’impossibilità di rimettere al contratto individuale la definizione dell’oggetto dell’incarico stesso salvo consentire un negozio viziato da illiceità della causa per contrasto con norme imperative e non derogabili sia, infine, sulla logica inconciliabilità tra gli obiettivi fissati, con atto unilaterale e pubblicistico, nell’annuale direttiva generale sull’attività amministrativa

e sulla gestione emanata da ciascun Ministro e quelli lasciati alla definizione in sede contrattuale; dall’altro si espongono alle critiche di parte avversa che riteneva l’utilizzo del “contratto all’interno del contratto” un espediente destinato a coinvolgere maggiormente il dirigente a perseguire gli obiettivi, dato che in questo modo l’incarico scaturiva dal consenso delle parti, mediante la definizione negoziale del rapporto obiettivo/mezzi e non era imposto unilateralmente dall’altro.8

In tal senso si evidenzia la conseguente teorica difficoltà da parte dell’Amministrazione d’invocare la responsabilità per mancato conseguimento degli obiettivi perché, in limine, il dirigente potrebbe agevolmente dimostrare che l’incarico in questione gli è stato conferito dall’Amministrazione motu proprio, senza

alcuna condivisione da parte sua degli obiettivi e delle risorse disponibili, anche con richiamo alla “possibilità” originaria della prestazione richiestagli di cui all’art 1346 C.C.9

Inoltre, preso atto che il rapporto di lavoro dirigenziale scaturisce da una fattispecie negoziale complessa, articolata nel provvedimento d’incarico, unilaterale, e nel contratto, paritetico, funzionalmente collegati10, e che la qualifica di dirigente

costituisce una mera condizione preliminare e di presupposto per l’effettivo svolgimento delle funzioni di direzione11 a causa della scissione tra il momento acquisitivo dello status dirigenziale e quello di attribuzione delle relative funzioni12 ci si trova di fronte ai problemi della tutela del dirigente e dell’autorità giudiziaria competente al riguardo stante l’inesistenza di un automatico diritto soggettivo all’incarico13 e l’inalterata formulazione dell’art 63 comma 1 del D.Lgs. 165/01.

Rispetto alle sopra indicate questioni, si ritiene, per un verso, che atteggiandosi l’atto di conferimento quale determinazione conclusiva di un apposito procedimento amministrativo nel quale si manifesta l’interesse pubblico correlato al perseguimento degli obiettivi definiti dall’organo d’indirizzo politico – amministrativo, possano applicarsi ad esso, in mancanza di disciplina legislativa o contrattuale ad hoc, i principi generali del procedimento amministrativo con particolare riferimento alle regole partecipative14 mentre per l’altro che la giurisdizione del giudice ordinario in materia di conferimento degli incarichi dirigenziali sia da intendersi come un caso di giurisdizione esclusiva15.

Anche con riferimento ai criteri per l’affidamento dell’incarico emergono contrasti in quanto taluno interpreta con favore la maggiore flessibilità o soggettivizzazione perché consente di avvantaggiare soggetti idonei, di spiccate attitudini e capacità professionali16 mentre altri17 contestano sia l’eccessiva rilevanza attribuita al dato personale a discapito di altri di natura oggettiva, sia l’estrema genericità dei criteri stessi sottolineando la necessità di assicurare un minimum di tutela al dirigente illegittimamente pretermesso rispetto ad una discrezionalità così lata, mediante, ad esempio, l’imposizione , già anticipata in giurisprudenza prima dell’intervento riformatore, di un preciso obbligo di motivazione.18

Una peculiare questione si pone, inoltre, con riferimento al comma 2 dell’art 19 D.lg.vo 165/01 nella parte in cui si afferma che il contenuto dell’incarico viene definito, alternativamente, con il provvedimento di conferimento dell’incarico ovvero con separato provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro competente per i soli incarichi di cui al comma 3. Siffatta separazione tra conferimento dell’incarico e precisazione del suo contenuto si giustifica, secondo la prevalente dottrina19, in base alla maggiore importanza degli incarichi dirigenziali conferiti che necessitano di un controllo sulla persona designata da parte del Presidente della Repubblica e del Consiglio dei Ministri, alla definizione a livello normativo degli incarichi de quo, a criteri di competenza , alla mancata indicazione di un obbligo di con testualità tra i due atti e, ad un attento esame, in difetto di specifici motivi ostativi, appare suscettibile di applicazione estensiva anche ad altri tipi di incarico.

Infine, anche l’apposizione di limiti di durata massima degli incarichi appare bivalente: se si condivide in linea teorica l’intento di modulare la durata allo specifico obiettivo da raggiungere, sul piano pratico si nutrono dubbi sulla sua legittima attuazione considerata la grande relatività insita nel giudizio di congruità tempi/obiettivi, con il rischio di trasformare il dirigente in un yes-man20 a causa di tale stato di continua precarietà.21

La molteplicità e varietà delle problematiche sin qui accennate ed i lavori, in corso, di revisione della normativa da parte della Commissione Stajano presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, sembrano confermare, a mio modesto parere, che qualsiasi norma di relazione necessita e presuppone un’adeguata ponderazione di tutti gli interessi coinvolti al fine di evitare contestazioni.

LA RESPONSABILITA’ DIRIGENZIALE

L’avvenuto riconoscimento di autonomia gestionale ed organizzativa in capo ai dirigenti, per effetto dell’abbandono del previgente modello gerarchico – burocratico e della successiva adozione di uno schema ispirato a criteri di managerialità ed efficienza gestionale, conformemente ai principi introdotti dal D.Lgs. 29/93 e via via perfezionati fino al D.Lgs. 165/01, ha determinato, quale naturale corollario, l’imputazione ai funzionari con tale qualifica, della responsabilità afferente ai risultati conseguiti e all’attuazione o meno dei programmi di matrice ministeriale.22

Invero, la responsabilità dirigenziale comparve per la prima volta nel D.P.R. 748/72 ed in particolare nell’art 19, come responsabilità di risultato, correlata appunto al conseguimento o meno degli obiettivi di politica amministrativa prefissi dalla direttive generali del Ministro ma non trovò attuazione per la mancanza di effettivi poteri decisionali del dirigente, di una norma che imponesse un dovere di produttività in base al quale verificare la correttezza dell’operato e di strumenti di controllo ad hoc.23

Circa la sua natura è indubbiamente un tipo autonomo di responsabilità, più vicina a quella manageriale24 che non a quella politica25, esclusiva dei soli incarichi di direzione26e consiste nella verifica dell’uso del potere conferito sotto il profilo della sua capacità di rispondere alle esigenze della collettività.27 Non si tratta, tuttavia, di responsabilità per colpa poiché non sorge dalla violazione di canoni normativi di comportamento ma, anzi, trascende il comportamento personale del dipendente e si ricollega ai risultati complessivi prodotti dall’organizzazione cui il dirigente è preposto, implicando in caso di giudizio negativo, la sua inidoneità alla funzione28.

Considerati i peculiari connotati di questo tipo di responsabilità che ha per presupposto imprescindibile una valutazione, si ritiene opportuno non limitare la disamina al solo contenuto dell’art 21 D.Lgs. 165/01 ma estenderla, sia pure in via d’accenno, anche ad altre disposizioni ad esso intimamente connesse, operazione che consentirà di pervenire ad un panorama più completo dell’istituto de quo.

Dal raffronto tra la precedente e l’attuale versione dell’art 21 D.Lgs. 165/01 si percepisce la volontà di accentuare il rilievo dei risultati effettivamente raggiunti: i comportamenti sanzionati sono ora soltanto il mancato raggiungimento degli

obiettivi e l’inosservanza delle direttive entrambi imputabili al dirigente. In tal senso il D.Lgs. 286/99 all’art 1 comma 2 lettera c prevede due organi distinti destinati ad occuparsi l’uno del controllo di gestione e l’altro della valutazione del personale dirigenziale e all’art 5 fissa una compiuta disciplina del procedimento di valutazione, nel quale si tiene conto dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione, avente periodicità annuale ed ispirato ai principi della diretta conoscenza dell’attività del valutato da parte dell’organo proponente o valutatore di prima istanza, dell’approvazione o verifica della valutazione da parte dell’organo competente o valutatore di seconda istanza, della partecipazione al procedimento del valutato. A ciò si aggiunga che come dispone l’art 35 CCNL 1998/2001 Comparto Ministeri le Amministrazioni si impegnano ad adottare preventivamente i criteri generali da utilizzare per i sistemi di valutazione, a farne oggetto d’informazione preventiva e di eventuale concertazione con la parte sindacale, a comunicarli ai dirigenti prima dell’inizio dei relativi periodi di riferimento.

Tutto ciò premesso, in presenza di responsabilità dirigenziale sono previste attualmente tre sanzioni rapportate alla gravità del caso ed irrogate all’esito di un preciso procedimento e previo parere del Comitato dei Garanti: il mancato rinnovo dell’incarico, la revoca con collocazione a disposizione dei ruoli di appartenenza ed il recesso.

Al riguardo si evidenzia, innanzitutto, che è mutato il meccanismo sanzionatorio rispetto a quello prefigurato nell’originaria versione dell’art 21 D.Lgs. 165/01. In effetti in precedenza erano fissati in modo netto due differenti livelli di gravità e le relative sanzioni di modo che la revoca dell’incarico era la conseguenza dei risultati negativi dell’attività o della gestione o del mancato raggiungimento degli obiettivi mentre l’esclusione dal conferimento di ulteriori incarichi od il recesso erano le risposte alle gravi inosservanze delle direttive impartite dall’organo competente o alla ripetuta valutazione negativa. Ora, invece, la sussistenza delle due attuali cause di responsabilità comporta, comunque, in primo luogo la sanzione del mancato rinnovo degli incarichi e, in seconda battuta, per effetto di un ulteriore valutazione complessiva della gravità del caso da parte dell’Amministrazione, la revoca dell’incarico e persino il recesso, senza alcun vincolo, in termini di gravità, al potere di scelta dell’uno o dell’altro provvedimento29.

Rispetto a tali sanzioni si ritiene30 che il dirigente possa chiedere al giudice di verificare la procedura ed i criteri utilizzati ma ciò con conseguenze meramente risarcitorie nonostante la contraria tesi sostenuta dalla contrattazione collettiva secondo la quale l’annullamento della procedura di valutazione dovrebbe condurre alla immediata ed automatica inoperatività del recesso31.

Malgrado l’importante funzione di codecisione del Comitato dei Garanti, finalizzata ad impedire gli arbitri dei vertici politici e l’apparente chiarezza della norma, non mancano anche in questo caso aspetti problematici: innanzitutto non è chiarito che tipo di rapporto si stabilisce tra la responsabilità dirigenziale e quella

disciplinare né convince in termini d’opportunità l’implicita esclusione della legge in materia a totale favore della contrattazione collettiva, considerato che una tematica così complessa e rilevante, strettamente connessa all’autonomia nel circolo vizioso autonomia/responsabilità, richiederebbe piuttosto una puntuale e trasparente disciplina legislativa, magari anche con una delega limitata e chiaramente specificata alla fonte collettiva32; ancora un’eventuale revoca per mancato conseguimento dei risultati presuppone che l’organo politico abbia effettivamente e puntualmente specificato al dirigente nel momento del conferimento dell’incarico, gli obiettivi da conseguire, circostanza che spesso in concreto non ricorre; infine difettano una disciplina, sia pure solo di massima, relativa alle modalità e ai criteri da seguire per la valutazione del risultato nonché personale appositamente formato per questo compito e ciò consente in concreto ampio margine alle Amministrazioni per giudizi negativi di tipo politico. 33

CONSIDERAZIONI FINALI

La significatività delle questioni esaminate rispetto alle tematiche dell’incarico e della responsabilità dirigenziale pone ben in luce e motiva esaurientemente la necessità di trovare un equilibrio, un’omeostasi tra le parti in causa.

In merito, occorre preliminarmente assumere un atteggiamento di prudente disincanto nei confronti sia dei vertici politici sia della dirigenza per poter enucleare un quadro di regole che minimizzi i rischi della parzialità e si riveli adeguato agli scopi da perseguire34.

Nello specifico si tratta, a modesto parere della scrivente, di reinterpretare i reciproci ruoli assegnati alla Politica ed all’Amministrazione e di prestare la massima attenzione agli imprescindibili momenti di collegamento tra i due poli.

In attuazione del principio di separazione tra Politica ed Amministrazione sono state costituite due aree di competenza riservate ed esclusive, caratterizzate da reciproca infungibilità: da un lato ci sono i compiti di indirizzo e di controllo riservati agli organi di governo dall’altro quelli di amministrazione attiva e di gestione assegnati ai dirigenti.35

Siffatta distinzione di ruoli tra la sfera politica e quella tecnico – professionale che qualche autore definisce come la giusta garanzia del miglioramento della qualità dell’attività amministrativa36, in realtà, era già stata giudicata dalla Corte Costituzionale37 come diretta attuazione dei principi costituzionali. In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che il precetto dell’imparzialità sancito dall’art 97 Cost. rechi con sé l’idea dell’indispensabile esistenza di due sfere dotate di autonome e diversificate competenze e contrassegnate da un rapporto di dipendenza e subordinazione funzionale della burocrazia alla politica al fine di meglio soddisfare i bisogni della comunità. Nondimeno, il termine distinzione, al posto di separazione appare più consono ad esprimere l’ottimale assetto della relazione tra politici e burocrati: esiste e deve esistere un continuum logico tra i due momenti, un processo circolare di formazione delle decisioni e di ciò è prova il nuovo ruolo partecipativo assunto dal dirigente nel policy making ovvero nel processo di elaborazione e produzione delle politiche pubbliche, realizzato mediante la predisposizione delle proprie capacità di carattere strategico, di visione e delle competenze tecniche a favore dei decisori politici.38 L’affermata contrapposizione tra organi politici e tecnici ha, tuttavia, il pregio di favorire un virtuoso circolo dialettico negoziale necessario al miglior funzionamento del meccanismo della programmazione seguita dalla gestione e dalla fase finale del controllo. Ne consegue che da siffatta distinzione/integrazione possono scaturire obiettivi effettivamente realizzabili oltre che coerenti con il programma amministrativo dell’autorità politica.

Per l’attuazione del principio di distinzione dei poteri, che si contrappone a quello di separazione degli stessi , di fatto impossibile e non auspicabile all’interno dei sistemi complessi, posto che si fonda su una logica di direzione per obiettivi, sono però indispensabili idonee condizioni organizzative, sistemi di programmazione e controllo e sistemi di valutazione dei risultati formalizzati e piuttosto sofisticati.39

E ciò perché soltanto in presenza di siffatti presupposti è possibile risolvere il problema delle asimmetrie informative che caratterizza il rapporto tra i vertici politici delle amministrazioni e quelli burocratici. Posto che il politico, analogamente a come avviene in un rapporto di agenzia tra principale ed agente, necessita della piena collaborazione di chi detiene la conoscenza del sapere tecnico per perseguire i fini prescelti, è indispensabile che possa avvalersi di un sistema di incentivi o di strumenti di controllo che gli consentano di verificare se “l’agente” agisce davvero secondo il mancato conferito dal “principale”40.

In questa prospettiva diventa, perciò, fondamentale la corretta gestione dei due strumenti di collegamento tra politica ed amministrazione in cui si sostanzia l’indirizzo politico – amministrativo ovvero l’atto ministeriale di direttiva e la nomina/revoca, su base fiduciaria, degli incarichi da parte dell’organo di indirizzo politico.

Innanzitutto l’atto ministeriale di direttiva deve essere il frutto di una codeterminazione da parte del titolare e del destinatario della funzione d’indirizzo41 conformemente all’indicazione espressa nell’art 8 co 2 del D.Lgs. 30.07.99 n 286 e al modello di negoziazione degli obiettivi prefigurato per i rapporti tra il Ministero e le costituende Agenzie ex D.Lgs. 30.07.99 n 300.

Sempre con riferimento ad esso è, inoltre, indispensabile che sia propriamente tale42 e poi che si presenti, sotto il profilo strutturale e contenutistico , come un documento di natura prescrittiva e di dimensioni contenute, recante in via teorica le seguenti categorie di contenuto: a) il quadro delle priorità condivise, secondo un’articolazione che individua sia la definizione degli obiettivi e dei risultati attesi per le politiche a regime e per ogni centro di responsabilità, sia i temi su cui dovranno essere perseguite le innovazioni; b) gli obiettivi minimi di funzionamento e la gestione dei fattori – chiave dell’organizzazione; c) i progetti di miglioramento; d) le modalità di valutazione dell’attuazione della direttiva.43

In merito, si rileva che al fine di rendere omogenee le annuali direttive generali dei Ministri sull’attività amministrativa e sulla gestione e di favorirne la comunicabilità e comparabilità, sono state diramate specifiche indicazioni da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri (cd direttive madri) destinate a fornire alle autorità di governo indirizzi e linee guida cui attenersi nella formulazione delle direttive generali. Ad esempio la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15.11.01 ne ha specificato gli elementi essenziali: in tale atto devono risultare la definizione degli obiettivi generali delle politiche pubbliche del Ministero; l’indicazione dei tempi per la trasposizione di tali obiettivi generali delle politiche pubbliche in precisi programmi attuativi recanti la precisazione degli obiettivi di dettaglio e delle responsabilità per l’attuazione; l’individuazione degli altri obiettivi generali più specificatamente concernenti l’attività amministrativa e la gestione dei centri di responsabilità amministrativa che, in ciascuna amministrazione, ne sono responsabili; la definizione dei meccanismi di monitoraggio dei criteri, degli indicatori e dei parametri per la misurazione (quanto più possibile oggettiva) del grado di realizzazione degli obiettivi e delle connesse responsabilità; la definizione del sistema di valutazione dei dirigenti.

Rispetto alla nomina e alla revoca conseguente ad esempio a responsabilità

dirigenziale, atti che presuppongono una preliminare fase valutativa, si sottolinea, invece, la centralità dei sistemi di programmazione degli obiettivi, di misurazione e valutazione dei risultati di gestione con tecniche obiettive poiché costituiscono la premessa e la condizione indispensabile per scelte in materia di incarichi compiute dagli organi di governo e dai dirigenti sovraordinati e vissute dai dirigenti interessati come razionali e motivate.44

In tema di sistemi di controllo si evidenzia, peraltro, che malgrado alcune difficoltà attuative, le applicazioni pratiche sotto forma di sistemi pilota per il controllo di gestione, per la valutazione dei dirigenti e per la corresponsione agli stessi della retribuzione di risultato sono in continua espansione come emerge dai Rapporti 2001 e 2002 del Comitato tecnico – scientifico per il coordinamento in materia di valutazione nelle Amministrazioni dello Stato costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai riscontri della Corte dei Conti.45

Con l’innovativo apporto della cultura della valutazione e la compiuta attuazione dei sistemi di controllo, unitamente ad un corretto funzionamento del meccanismo di rappresentanza politica e ad un processo di riqualificazione della dirigenza, si auspica, pertanto, che politica e burocrazia diano prova di maturità non demandando più esclusivamente ai giudici il compito di correggere le storture applicative di un sistema organizzativo.46

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Note:

1 Gardini G., Imparzialità amministrativa e nuovo ruolo della dirigenza pubblica in Diritto Amministrativo 2001, I, p 44 e ss

2 Si ritiene infatti che non sia posto in discussione il tradizionale principio della responsabilità dei Ministeri per gli atti dei loro dicasteri quanto un’interpretazione meccanica di questa disposizione così Mortati , Istituzioni di Diritto Pubblico 1969, Padova, p 595

3 D’Orta C. La seconda fase di riforma della dirigenza pubblica: verso la fine del guado cercando di evitare gli scogli in “Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni”, 1998, 2

4 così in C. Pinchetti e P. Salazar -Il riordino della dirigenza statale su Diritto e Pratica del Lavoro n 45/2002

5 così letteralmente il comma 1 art 19 D.Lgs. 165/01. In particolare l’accresciuta rilevanza attribuita ai requisiti soggettivi del dirigente e alla direttiva annuale sembra vieppiù accentuare il carattere unilaterale del conferimento dell’incarico.

6 vedi Luigi Olivieri- Il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali come atti amministrativi – nota a Tribunale di Genova del 22.9.00 n 753 n 12/2000 su www.giust.it

7 ancora Luigi Olivieri – Il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali come atti amministrativi op cit.

8 F. Liso Intervento al convegno: Il nuovo assetto degli incarichi dirigenziali: la dirigenza tra autonomia gestionale e responsabilità di risultato, Roma Forum della PA 2002. Come correttamente osservato dal Dr. Fabio Belfiori in La legge di riordino della Dirigenza statale su www.filodiritto.com/pubblico/amministrativo/dirigenzapubblicabelfiori.hmt numero settembre 2002 ciò può determinare un aumento del contenzioso laddove non vi sia corrispondenza ed integrazione tra incarichi e retribuzione nonché un diffuso ricorso alla giurisdizione di legittimità la quale, avuto riguardo alle innovazioni introdotte dalla L 205/00 in materia di strumenti cautelari, potrebbe determinare la paralisi di vitali settori dell’Amministrazione centrale.

9 così Rosario del Vecchio – La riforma della Dirigenza Pubblica: un’occasione (per ora) sprecata su www.giust.it n 2/2002

10 vedi A. Apicella – Della giurisdizione su incarichi dirigenziali nelle Amministrazioni Pubbliche in Giustizia Civile 1999, I, p 289

11 sulla necessità di un ulteriore presupposto costituito dalla valutazione riservata all’Amministrazione ed ampiamente discrezionale in ordine alla idoneità dell’interessato ad assolvere una responsabilità fiduciaria e come tale attribuita intuitu personae vedi Cons Stato Sez III del 31.5.99 n 2344/97 e Cons Stato Sez III del 28.10.97 n 1411/97

12 vedi A. Romano Tassone –Contratto di lavoro del Dirigente Pubblico in Giust. Civ II, 2000, p 148 e A. Apicella- Incarichi Dirigenziali nelle Amministrazioni Pubbliche e tutela giurisdizionale in Tar 2000, II, p 401 e A. Mezzotero – Conseguimento della qualifica dirigenziale ed attribuzione delle relative funzioni in Giust. Amministrativa n 3/2002 per i richiami della giurisprudenza

13 in questo senso vedi C. Santuori – Instaurazione del rapporto di lavoro e conferimento di funzioni dirigenziali – commento a Tribunale di Cosenza sez II civile – ordinanza 25 febbraio 2002 su www.diritto.it ed in giurisprudenza Cass Civ sez. Un. 15.11.00 n 1268; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 10.10.00 in Giust. Civ 2001, I, p 2525; Trib. Potenza del 29.12.99 in Giust Civ 2000, p 915 e contra Trib. Grosseto 29.1.02 n 31; e sulla possibilità per il giudice di conferire un incarico dirigenziale Trib. Bologna 23.4.01 in Lavoro nella giurisprudenza n 11/2001, p 1059 con nota di A. Boscato; Trib Roma ordinanza del 8.1.01; Trib Roma ordinanza del 23.10.00

14 cosi C. Silvestro – Il riordino della Dirigenza Statale – Edizioni Simone 2003 Napoli

15 Del resto l’ordinamento prevede già ipotesi in cui il giudice ordinario è legittimato ad annullare atti amministrativi come ad es. la legge 689/81 né contrarie indicazioni si desumono dal testo costituzionale – in giurisprudenza vedi Cons Stato Sez V 15.3.01 n 1519 e Tar Abruzzo L’Aquila 31.7.01 n 157 in www.giust.it

16 sulla ricerca di una maggiore flessibilità vedi la relazione introduttiva all’originario disegno di legge Frattini – in questo senso vedi Marco Rogati – La riforma premia i più efficienti nel Il Sole 24 ore 8.7.02

17 vedi A. Romano Tassone – Sul contratto di lavoro del Dirigente Pubblico – testo dell’intervento svolto nell’incontro di studio di Messina del 22 gennaio 1999 sul tema “Managerialità e dirigenza nella pubblica Amministrazione” su www.giust.it

18 Invero la giurisprudenza ha cercato di limitare siffatta discrezionalità imponendo alle Amministrazioni il triplice obbligo di stabilire ( richiamando e precisando quelli posti dalla legge) criteri e principi preventivi rispetto alle singole determinazioni sugli incarichi, di rispettare regole procedimentali, d’inserire una motivazione provvista dei contenuti indispensabili vedi ex multis Cons di Stato Sez IV 11.3.99 n 260 in Cons Stato 1999, I, p 360; Tar Lazio Latina 10.5.00 n 328 in “I TAR” 2000, I, p 2043; Tribunale di Milano 20.12.99 in “Il lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni”, 2000, p 381

19 vedi nota di Barbara Cavallo: Prime osservazioni sulla riforma della dirigenza pubblica – Commento alla legge n 145 del 15.7.02 su www.lexfor.it numero 7/8 del 2002.

20 ancora Luigi Olivieri – Il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali come atti amministrativi op cit

21 al riguardo Cassese autorevolmente osserva che la breve durata degli incarichi determina di fatto “uno stato di dipendenza del dirigente dal potere politico” ed “un’istituzionale e generalizzata precarizzazione della dirigenza che non esiste in nessun paese”.vedi anche S. Cassese – Il nuovo regime dei dirigenti pubblici italiani:una modificazione costituzionale – lezione per gli allievi dell’Ecole Normale Superieure di Parigi del 14 novembre 2002.

22 vedi Gianni De Luca – Contabilità dello Stato 2003 – XIV Edizione – Napoli Simone

23vedi E. Ravera – La Riforma della Dirigenza Pubblica su www.70disco.com/napoletano/dirigenza_htm

24la responsabilità dirigenziale è stata definita in questo modo dalla giurisprudenza vd Tar Lazio 10.6.81 n 460 in Tar 1981, I, 2009; Cons di Stato 24.5.83 n 330 in Consiglio di Stato,I, 1983,502

25 In questo senso ritiene il Consiglio di Stato con sentenza del 14.11.88 n 1236 in Foro It., 1989, III, 278 perché implica non una valutazione dell’incarico stesso: è infatti molto difficile che decisioni di tipo organizzativo possano incidere sulla stessa risoluzione dell’incarico. Quanto alla rimozione dell’incarico a seguito di valutazione negativa, la stessa può scaturire solo al termine di una procedura che dà sufficienti garanzie al dirigente.

26così Zoppoli- Commento all’art 21 del D.Lgs. 29/93 in Le Nuove leggi civili commentate Milano 1999, p 1180

27 Torchia – La responsabilità dirigenziale Cedam 2000 Padova p 145

28 così Corte dei Conti sez giur Piemonte n 1192/EL/2000 in Guida agli Enti Locali – Il Sole 24 ore , 2000, 33, 78.

29 così nota di Barbara Cavallo: Prime osservazioni sulla riforma della dirigenza pubblica – commento alla legge n 145 del 15.7.02 su www.lexfor.it numero 7/8 del 2002

30 così Ravera – La Riforma della Dirigenza Pubblica op cit

31 in dottrina vedi anche Mainardi – L’estinzione del rapporto in I contratti collettivi per le aree dirigenziali – Commentario a cura di F. Carinci e C. D’Orta, Milano, 1998, p 419

32vedi F. Carinci, Sisifo Riformatore: la dirigenza in “Il Lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni” 2001, 6, pp 964, 965

33 così Tassone op cit

34 M. Clarich – Riflessioni sui rapporti tra politici ed amministrazione ( a proposito del Tar Lazio come giudice della dirigenza statale) in Diritto Amministrativo 3/4/2000 Giuffrè Milano.

35 L. Torchia- La responsabilità dirigenziale Cedam Padova 2000 p 27

36 Saffiotti -Politica e gestione, Distinguere i ruoli a garanzia della qualità dell’attività amministrativa in Rivista del Personale dell’Ente locale nov – dic 1998, p 781.

37 vedi Corte Cost. 26.9/15.10 del 1990 n 453

38 si veda l’art 16 comma 1 lett. a e comma 2 del D.Lgs. 165/01 e l’art 2 del D.Lgs. 286/99 laddove prevede la costituzione di conferenze permanenti dei massimi dirigenti per fornire elementi utili ad elaborare la fondamentale direttiva annuale del Ministero.

39 R. Ruffini – La riforma della Dirigenza e i CCNL in “ARAN newsletter” 2000, 2, p 10

40 ancora Clarich op cit.

41 così E. Catalani – Contributo allo studio delle direttive interorganiche Torino 1999 p 255 e ss.

42 Secondo Corte dei Conti Sez. Giurisdizionale per il Piemonte 13.4.00 n 1192/EL/2000 la direttiva o atto d’indirizzo dell’organo di governo deve limitarsi a definire le linee generali dell’azione perché si tratta di atto di portata ampia tale da consentire una gamma abbastanza ampia di scelte gestionali attuative del disegno globale delineato dall’organo di governo mentre spetta al dirigente capire quale tra le possibili alternative gestionali sia la più idonea, caso per caso vedi Olivieri – Il potere di direttiva dell’organo politico nei confronti dei dirigenti – contenuti dell’attività direttiva e confini con quella gestionale su www.diritto.it set. 2002 – nella medesima direzione si afferma che “è illegittima la direttiva ministeriale che contenga prescrizioni che esauriscano lo spettro delle scelte del destinatario, sostanzialmente configurandosi, così, quale veicolo di ordini vedi Tar Lazio Sez II 3.4.01 n 2765 in I TAR, 2001, I p 454 e Tar Lazio Sez III 22.2.02 n 1196 in Foro Amm. 2002, 2, 571

43 vedi Bruno Dente e Giancarlo Vecchi, “La valutazione ed il controllo strategico” su Azzone, Giovanni e Dente, Bruno, a cura di, Valutare per governare, Milano, Etas, 1999 pp 1-25

44 C. D’Orta Gli incarichi dirigenziali nello Stato dopo la legge 145/2002, intervento al Convegno “La dirigenza pubblica rivisitata” Napoli, Facoltà di giurisprudenza dell’Università Federico II 25.10.2002.

45 vedi Relazione al Parlamento sui risultati del controllo eseguito nell’anno 2001 sulla gestione degli Enti locali Vol. II Roma 2002

46 così Olivieri – Il potere di direttiva…op. cit

Redazione

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