Indice
- introduzione
- le principali fonti legislative
- attività assolutamente vietate
- attività che possono essere svolte soltanto se preventivamente autorizzate
- attività che possono essere esercitate liberamente
- rapporto di lavoro a tempo parziale e incompatibilità
- incompatibilità personale della scuola
- comunicazione incarichi all’anagrafe delle prestazioni
- prospetto sintetico riepilogativo
- Volume consigliato
1. Introduzione
Ciascun dipendente pubblico è al servizio esclusivo della Nazione e deve destinare le proprie energie fisiche e psichiche unicamente all’amministrazione dalla quale dipende.
Questo principio trova esplicita formulazione nella Carta Costituzionale, ove, al 1° comma dell’art. 98, è scritto che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”, pertanto devono rendere soltanto al loro datore di lavoro la propria prestazione lavorativa retribuita.
Il dovere di esclusiva trova un netto collegamento anche con i principi di “buon andamento e imparzialità dell’amministrazione” sanciti dall’art. 97 della Costituzione, che garantisce e assicura le attività istituzionali.
La volontà del legislatore costituente trova espressa giustificazione nella necessità di garantire che i dipendenti pubblici non disperdano le proprie energie in altri incarichi che non siano di esclusiva competenza e che possano distoglierli dalle prestazioni da rendere.
Inoltre, si è voluto scongiurare che attività extraistituzionali possano pregiudicare il regolare svolgimento del servizio e intaccare l’indipendenza del lavoratore, esponendo l’amministrazione al pericolo di comportamenti imparziali.
Questa tutela era all’attenzione del legislatore ancor prima del varo della Carta Costituzionale; infatti il Regio Decreto n. 693, del 22 novembre 1908, recante “Approvazione del Testo Unico delle leggi sullo stato giuridico degli impiegati civili”, aveva già introdotto nel nostro ordinamento l’incompatibilità dei dipendenti statali con altre attività.
Anche il successivo Testo Unico degli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, ha riservato attenzione agli incarichi aggiuntivi dei dipendenti pubblici disciplinando negli artt. Da 60 a 65 i casi di incompatibilità, i limiti, ecc.
La successiva previsione normativa dell’art. 58 del D. Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, emanata nel contesto della privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico, ha mitigato il regime delle incompatibilità e ha potenziato la possibilità di svolgimento di un secondo lavoro, fissando, nel contempo, criteri oggettivi e predeterminati per il conferimento di incarichi relativi a specifiche professionalità, al fine di escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto.
Sono state anche introdotte, con lo stesso art. 58, norme per rafforzare la trasparenza attraverso l’Anagrafe delle prestazioni e l’immediata comunicazione alle amministrazioni di appartenenza del dipendente cui è stato conferito l’incarico.
Il successivo riordino delle disposizioni inerenti al lavoro dei dipendenti pubblici in un nuovo Testo Unico, approvato con il d. Lgs. 30 marzo 2001, n.165, ha determinato l’abrogazione dell’art. 58 del d. Lgs. 29/2003 e la sua confluenza nell’art. 53 del nuovo T.U.
La disciplina generale sull’incompatibilità, presente nell’art. 53, è stata, negli anni, oggetto di interesse del legislatore e al testo originario, costituito da 16 commi, sono stati aggiunti i commi 1bis, 3bis, 7bis, 16bis, 16ter, che hanno innovato alcuni punti essenziali.
Uno degli ultimi interventi si è avuto in piena pandemia Covid, con il D. L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito nella legge 17 luglio 2020, n. 77, recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 “, con cui sono stati fissati nuovi termini per le autorizzazioni ai dipendenti pubblici che devono rivestire l’incarico di commissario nelle procedure concorsuali semplificate con modalità decentrate e telematiche sperimentali.
2. Le principali fonti legislative
Volendo, a questo punto, riepilogare le principali fonti legislative che disciplinano la materia delle incompatibilità va detto che esse possono essere così elencate:
- Articoli 97 e 98 della Costituzione;
- Articoli da 60 a 65 D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato);
- Articolo 53 d. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e succ. Mod. E integr. (Testo Unico sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche);
- Legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione);
- Lgs. 8 aprile 2013 n. 39 (Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni…).
Prima di dare inizio all’esame delle varie fattispecie, che riguardano la possibilità o meno da parte dei dipendenti pubblici di svolgere attività extraistituzionali, va precisato che la disciplina contenuta nelle norme innanzi citate si applica, con alcune peculiarità, a tutti i dipendenti sia in regime di diritto privato (personale privatizzato) sia in regime pubblico (militari, magistrati, prefetti, ecc.).
Occorre, inoltre, far rilevare che la materia delle incompatibilità, anche dopo la privatizzazione del rapporto di impiego, è riservata alla disciplina legislativa, sicché non può essere derogata dalle parti o dai contratti collettivi nazionali di lavoro.
Nel settore privato il principio di esclusiva e, quindi, la necessità di rendere la prestazione soltanto al proprio datore di lavoro non esiste: infatti l’art. 2105 c.c. Impone al dipendente unicamente di non trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore e di non divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa. A parte questi divieti il lavoratore privato può svolgere qualsiasi ulteriore attività.
Al fine di semplificare e rendere più schematica la materia inerente agli incarichi extraistituzionali possiamo prevedere per i dipendenti pubblici le seguenti tre macro-aree sulle quali ci soffermeremo più avanti:
- Attività assolutamente vietate (incompatibilità assoluta);
- Attività che possono essere espletate soltanto se preventivamente autorizzate (incompatibilità relativa);
- Attività che possono essere esercitate liberamente.
3. Attività assolutamente vietate
Preliminarmente occorre far rilevare che sono vietati ai dipendenti pubblici gli incarichi (retribuiti o gratuiti) che presentano i caratteri della abitualità e professionalità o possono dar luogo a conflitti di interessi, ovvero interferiscono con l’attività ordinaria svolta dal dipendente, in relazione al tempo, alla durata e all’impegno richiestogli.
Le attività assolutamente incompatibili sono, ancora oggi, disciplinate dal D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, che all’art. 60 (richiamato dall’art. 53 del D.Lgs. 165/2001) vieta al dipendente pubblico di esercitare il commercio, l’industria, le professioni, assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente.
Riguardo agli incarichi in società costituite a fine di lucro va precisato che il dipendente pubblico non può essere nominato amministratore, consigliere, sindaco, ecc. (salvo che non si tratti di nomine riservate allo Stato), ma può essere socio, cioè titolare di azioni, perché è libero di investire i propri soldi come crede: in effetti si vuole evitare unicamente l’assunzione di cariche gestionali all’interno degli Enti.
Quando, però, trattasi di società cooperative caratterizzate dalla prevalenza, e in alcuni casi dalla esclusività, dei fini mutualistici rispetto a quelli di lucro, è possibile ricoprire incarichi.
Anche la partecipazione a società agricole a conduzione familiare è consentita quando l’impegno è modesto, non abituale o continuato.
Per quanto concerne il divieto di esercitare professioni vi sono delle eccezioni per il personale docente della scuola, per i professori universitari e per il personale medico di cui si dirà più avanti.
Altre eccezioni vengono riconosciute a tutti i dipendenti pubblici che hanno optato per il part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno.
Al fine di consentire al dipendente di conoscere i divieti esistenti in materia di attività extralavorative è stato previsto, dal comma 3-bis, dell’art. 53 del D.Lgs. 165/2001, che ciascuna amministrazione elabori uno specifico regolamento nel quale individuare, “secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche”.
In mancanza di detti regolamenti l’attribuzione degli incarichi è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative.
Con l’intento di fornire un valido supporto alle amministrazioni, anche in considerazione della previsione normativa anticorruzione (legge 6 novembre 2012, n. 190 e d. Lgs. 8 aprile 2013, n. 39) è stato elaborato, il 24 luglio 2013, a seguito della Conferenza Unificata del Dipartimento della Funzione Pubblica, delle Regioni e degli Enti Locali, un documento che esemplifica una serie di situazioni di incarichi vietati per i pubblici dipendenti derivanti dalla normativa vigente, dagli indirizzi generali e dalle prassi applicative.
Nel rinviare, per chi fosse interessato, alla lettura del testo completo, si vuole, qui di seguito, far rilevare che tale documento considera sia gli incarichi retribuiti sia quelli conferiti a titolo gratuito e prende in esame la sistematicità, nonché l’occasionalità e continuità degli incarichi, oltre ai possibili conflitti di interesse che ne possono derivare.
Proprio su quest’ultimo punto si sottolinea che l’amministrazione deve valutare il conflitto di interessi tenendo presente la qualifica del dipendente, la posizione professionale e le attività assegnate o svolte in un tempo passato ragionevolmente congruo, verificando l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, atte a pregiudicare l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente.
A titolo meramente esemplificativo si citano alcune specifiche attività che, a seguito di indirizzi giurisprudenziali o particolari disposizioni – anche in relazione alle amministrazioni di appartenenza dei lavoratori interessati – sono state ritenute incompatibili: quali, ad esempio, quella di titolare di laboratorio di analisi cliniche; di istruttore di scuola guida; di agente assicurativo; di gestore di farmacia; di odontotecnico; di titolare di agenzia di viaggio, ecc.
Sono anche da considerare vietati gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti fornitori di beni o servizi, relativamente a quei dipendenti delle strutture che partecipano a qualunque titolo all’individuazione del fornitore. Analogamente sono inibiti gli incarichi che si svolgono nei confronti di soggetti verso cui la struttura di assegnazione del dipendente svolge funzioni di controllo, di vigilanza o sanzionatorie, salve le ipotesi espressamente previste dalla legge. Sono, altresì, vietati gli incarichi che, per il tipo di attività o per l’oggetto, possono creare nocumento all’immagine dell’amministrazione, anche in relazione al rischio di utilizzo o diffusione illecita di informazioni di cui il dipendente è a conoscenza per ragioni di ufficio. È pure evidente che non è possibile svolgere incarichi utilizzando mezzi, beni e attrezzature di proprietà dell’amministrazione e in uso al dipendente per ragioni di ufficio.
Sono inibite, altresì, le attività per le quali l’incompatibilità è prevista dal d. Lgs. 8 aprile 2013, n. 39, che disciplina l’inconferibilità e l’incompatibilità degli incarichi presso le amministrazioni pubbliche.
Il lavoratore che non osservi i divieti viene diffidato, così come previsto dall’art. 63 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, dall’amministrazione di appartenenza a cessare dalla situazione di incompatibilità.
Decorsi quindici giorni dalla diffida, senza che l’incompatibilità sia cessata, il dipendente decade dall’impiego: trattasi, in questo caso, di una rarissima ipotesi di decadenza di diritto – ancora presente nel nostro ordinamento – non avente natura sanzionatoria o disciplinare.
Qualora, invece, l’impiegato ottemperi alla diffida eliminando l’incompatibilità, non vi sono conseguenze decadenziali, ma nei suoi confronti può avere inizio un procedimento disciplinare – con obbligo di contestazione di addebito – per il comportamento che l’amministrazione dovrà accertare nel rispetto del contraddittorio fra le parti e in osservanza della proporzionalità sanzionatoria, che sarà determinata valutando la specifica attività svolta senza autorizzazione, la durata, ecc.
4. Attività che possono essere svolte soltanto se preventivamente autorizzate
I dipendenti pubblici possono svolgere alcune attività che non sono assolutamente incompatibili, come quelle innanzi esaminate, ma possono essere tranquillamente espletate al di fuori dell’orario lavorativo se si richiede una specifica autorizzazione al proprio datore di lavoro. Trattasi, in effetti, di attività occasionali, saltuarie, compatibili con l’orario e la funzione istituzionale dell’amministrazione di appartenenza, che, per consentire l’espletamento di un lavoro aggiuntivo, dovrà preliminarmente verificare, a salvaguardia del buon andamento della pubblica amministrazione, l’insussistenza di casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, e l’assenza di situazioni, anche solo ipotetiche o potenziali, di conflitti di interessi tra l’amministrazione di appartenenza e l’ulteriore attività da svolgere.
La richiesta può essere effettuata dal datore di lavoro pubblico o privato che intende conferire l’incarico, ovvero, in mancanza, dallo stesso lavoratore interessato: ovviamente, l’autorizzazione deve essere rilasciata prima del conferimento dell’incarico, a meno che si tratti di alcune tipologie di attività che nel regolamento dell’amministrazione siano di fatto considerate autorizzate e per le quali è sufficiente una semplice comunicazione preventiva.
Il datore di lavoro che dovrà valutare la richiesta potrà, tra l’altro, tener conto degli incarichi già autorizzati in precedenza, dell’assenza di procedimenti disciplinari, della compatibilità del nuovo impegno con i carichi di lavoro del dipendente e della struttura di appartenenza, nonché della produttività dell’impiegato che dovrà espletare ulteriori incarichi.
Molto utile potrà anche risultare quanto previsto dall’art. 13, comma 6, del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62), per il quale “il dirigente affida gli incarichi aggiuntivi in base alla professionalità e, per quanto possibile, secondo criteri di rotazione”.
La materia di cui si sta trattando trova espressa disciplina nel comma 7 dell’art. 53 del d. Lgs. 165/2001, per il quale “i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza”.
Il comma 8 dello stesso art. 53 vieta alle pubbliche amministrazioni di conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la preventiva autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza di tali impiegati. Il conferimento di incarichi privi di autorizzazione determina una infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento e il relativo provvedimento è nullo di diritto.
Il comma 9 dell’art. 53 prevede analogo divieto nei casi di conferimento di incarichi a dipendenti pubblici da parte di enti pubblici economici e soggetti privati.
Il lavoratore autorizzato dovrà considerare che gli è preclusa la possibilità di utilizzare la propria qualifica pubblica nell’espletamento dell’incarico conferito e nessun beneficio gli potrà derivare da tale posizione.
Le attività a titolo gratuito, di norma, non necessitano di autorizzazione, ma le singole amministrazioni, con i loro regolamenti, possono prevedere di averne conoscenza preventiva e, in alcuni casi, il rilascio di un assenso scritto.
Riguardo alle modalità e ai tempi da osservare per l’autorizzazione si ribadisce che essa può essere richiesta non solo dai soggetti pubblici e privati che intendono conferire l’incarico, ma anche dallo stesso dipendente interessato.
Sull’istanza prodotta l’amministrazione di appartenenza del lavoratore deve pronunciarsi entro 30 giorni dalla ricezione: quest’adempimento risulta più agevole per le amministrazioni che, in ottemperanza al comma 3-bis dell’art. 53 del D. Lgs. 165/2001, si sono dotate di un Regolamento per gli incarichi autorizzabili e non autorizzabili, per uniformare prassi e percorsi che potrebbero risultare discriminanti nei riguardi dei loro dipendenti.
Qualora il lavoratore presti servizio presso un’amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, l’autorizzazione è subordinata all’intesa tra le due amministrazioni e il termine per provvedere è elevato a 45 giorni.
Nei casi di richieste per incarichi da espletarsi in amministrazioni pubbliche, se il termine per provvedere non venga rispettato, si applica il silenzio-assenso e l’autorizzazione si considera accordata; in tutti gli altri casi si applica il silenzio-diniego e l’autorizzazione si considera negata.
Le autorizzazioni concesse e gli incarichi conferiti, anche a titolo gratuito, devono essere comunicati, a cura delle amministrazioni che conferiscono o autorizzano incarichi, in via telematica, nel termine di 15 giorni, al Dipartimento della funzione pubblica, precisando l’oggetto dell’incarico e il compenso lordo, ove previsto.
Il dipendente che dovesse svolgere un incarico senza la prescritta autorizzazione è responsabile disciplinarmente del suo operato ed è sottoposto a un procedimento disciplinare che, con la garanzia del contraddittorio, terrà conto della gravità del comportamento da punire, e della conseguente proporzionalità e gradualità della sanzione.
Eventuali controversie che dovessero insorgere in materia di incarichi (diniego di autorizzazione, ecc.) Sono di competenza del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, perché gli atti di gestione del rapporto di lavoro sono atti di diritto privato.
Il dipendente, oltre alla responsabilità disciplinare, è chiamato a rispondere dinanzi alla Corte dei conti per responsabilità amministrativa, con conseguente avvio di un giudizio contabile per l’eventuale danno erariale provocato all’ufficio di cui fa parte.
I compensi percepiti devono essere restituiti e versati a cura dell’erogante o, in difetto del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente, per essere destinati ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. Tale restituzione trova anche giustificazione sul presupposto che le energie lavorative impiegate e i risultati conseguiti sarebbero spettati all’ufficio di titolarità del dipendente.
Sull’importo da versare si è creato un significativo contenzioso che ha interessato anche le sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti.
In effetti si è molto discusso se debba essere restituita la somma effettivamente percepita e, cioè, al netto delle imposte (IRPEF, ecc.), ovvero la somma lorda erogata dall’amministrazione che ha conferito l’incarico.
Gli orientamenti giurisprudenziali al riguardo sono stati alquanto ondivaghi: esiste, infatti, un filone giurisprudenziale secondo il quale il danno debba essere quantificato in misura pari all’importo effettivamente entrato nella sfera patrimoniale del percettore, ma, di contro, si è sviluppato un altro orientamento che determina il risarcimento al lordo delle somme pagate dall’ente pubblico e dal lavoratore a titolo di imposte e contributi, con possibilità dell’interessato di agire nelle opportune sedi tributarie e previdenziali al fine di ottenere, se ve ne siano i presupposti, i rimborsi spettanti.
In questi ultimi tempi, su tale materia ancora molto controversa, vi è stata una ulteriore sentenza della Corte dei conti a sezioni riunite (Sez. I giurisdizionale centrale d’appello n. 28/21, depositata il 6 luglio 2021) che ha enunciato il seguente principio di diritto: “In ipotesi di danno erariale conseguente all’omesso versamento dei compensi di cui all’art. 53, comma 7 e seguenti, del d. Lgs. N.165 del 2001 da parte di pubblici dipendenti (o, comunque, di soggetti in rapporto di servizio con la p.a. Tenuti ai medesimi obblighi), la quantificazione è da effettuare al lordo delle ritenute fiscali IRPEF operate a titolo d’acconto sugli importi dovuti o delle maggiori somme eventualmente pagate per la medesima causale sul reddito imponibile”.
Volendo, a questo punto, soffermarsi sulle attività che possono essere espletate richiedendo semplicemente la prescritta autorizzazione, se ne riportano, qui di seguito, alcune a titolo meramente esemplificativo.
–Partecipazione a società agricole a conduzione familiare, sempreché l’attività svolta non sia continuativa, ma modesta; infatti, il Dipartimento della funzione pubblica, con circolare del 18 luglio 1997, n. 6, ha precisato che l’impegno richiesto durante l’anno non deve essere abituale o continuato.
-Incarichi conferiti da altre amministrazioni pubbliche per far parte di collegi sindacali, commissioni di vigilanza, commissioni tributarie, ecc. Ovvero per consulenze tecniche, ecc. Sempreché non vi siano interferenze con l’orario e l’impegno del rapporto di lavoro principale.
-Amministratore di condominio del proprio fabbricato: vale a dire l’impegno deve riguardare unicamente la cura dei propri interessi. Al riguardo si cita il caso di un dipendente che era stato autorizzato ad amministrare il fabbricato ove abitava e successivamente ha assunto l’incarico di amministratore anche del palazzo attiguo. Questo ulteriore impegno è stato ritenuto illegittimo non trattandosi più della cura dei propri interessi, cioè di un bene di proprietà.
-Attività di collaborazione svolte gratuitamente con i familiari che siano impegnati in imprese artigiane, commerciali, agricole, sempreché trattasi di attività saltuaria e non sistematica.
-Assunzione di cariche in società cooperative purché l’impegno e le modalità di svolgimento non pregiudichino l’attività ordinaria del dipendente e non vi sia conflitto di interessi con l’amministrazione di appartenenza.
-Assunzione di cariche in società ricreative, culturali, sportive il cui atto costitutivo preveda il reinvestimento degli utili nella società per il perseguimento esclusivo dell’attività sociale.
-Partecipazione a Commissioni di esami per concorsi, ecc. Sempreché l’incarico non pregiudichi l’orario di servizio e le modalità di svolgimento del lavoro ordinario. Quando il dipendente è nominato dall’amministrazione di appartenenza è evidente che non occorre alcuna autorizzazione, ma, se trattasi di altro Ente o di privati, sarà necessario uno specifico nulla osta.
In conclusione di questa parte destinata alle attività autorizzabili si può dedurre che le norme esaminate considerano la possibilità (e questa sembra essere la volontà del legislatore delineatasi negli anni) che un dipendente pubblico guadagni qualcosa in più (si pensi alle necessità di una famiglia monoreddito di un lavoratore appartenente alle qualifiche più basse) svolgendo un’attività aggiuntiva al di fuori dell’orario di lavoro, purché non si pregiudichino le primarie esigenze di servizio dell’ufficio di appartenenza.
5. Attività che possono essere esercitate liberamente
Non necessitano di autorizzazione le prestazioni rese esclusivamente presso associazioni di volontariato o cooperative a carattere socio-assistenziale senza scopo di lucro. Trattasi di attività espressive di principi costituzionali che non possono essere limitati, come, ad esempio, la libertà di associazione, di pensiero, la partecipazione ad associazioni, comitati scientifici, collaborazioni giornalistiche, relazioni in convegni, ecc.
Sono, in effetti, tipologie di incarichi – anche se in alcuni casi retribuiti – che non necessitano di autorizzazione, purché siano svolti al di fuori dell’orario di servizio e non pregiudichino l’impegno principale che viene espletato nell’amministrazione di appartenenza.
Al fine di rendere più agevole il compito di ciascun lavoratore, il legislatore, all’art. 53, comma 6, del d. Lgs. 165/2001, ha voluto indicare espressamente le seguenti attività liberalizzate:
A) collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili (l’amministrazione può pretendere che il dipendente sia preventivamente autorizzato ad utilizzare la qualifica di appartenenza ed esigere la precisazione che quanto scritto non rappresenti la linea di azione dell’amministrazione di titolarità);
B) utilizzazione economica, da parte dell’autore, di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali;
C) partecipazione a convegni e seminari;
D) incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate (in questi casi il dipendente dovrà conservare copia della relativa documentazione);
E) incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;
F) incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;
F-bis) attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica (questa lettera f-bis è stata aggiunta dall’art. 2, comma 13 quinquies, lett. B, del d. L. 31 agosto 2013, n.101, convertito, con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n.125).
Tutti gli incarichi di cui innanzi (dalla lettera a alla f-bis) non necessitano di comunicazione al Dipartimento della Funzione Pubblica in quanto liberalizzati e, quindi, non assoggettati ad autorizzazione.
Va anche precisato che, pur in assenza di una procedura autorizzatoria degli incarichi di cui stiamo trattando, resta fermo il divieto per il dipendente di svolgere attività che possano risultare in concorrenza o in contrasto con l’amministrazione di appartenenza.
Anche il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (art. 5 D.P.R.16 aprile 2013, n. 62) considera alcuni casi di ulteriori attività e fa obbligo al lavoratore di comunicare tempestivamente al responsabile dell’ufficio di servizio la propria adesione o appartenenza ad associazioni od organizzazioni, a prescindere dal loro carattere riservato o meno, i cui ambiti di interessi possano interferire con lo svolgimento dell’attività dell’ufficio.
Nessuna comunicazione dovrà essere prodotta quando trattasi di adesione a partiti politici o a sindacati.
6. Rapporto di lavoro a tempo parziale e incompatibilità
Il regime delle incompatibilità dei dipendenti pubblici è stato fortemente attenuato dall’introduzione, nel nostro ordinamento, del lavoro a tempo parziale e, pertanto, ai sensi dell’art. 53, comma 6°, del d. Lgs. 165/2001, sono esclusi dalle incompatibilità i dipendenti di amministrazioni pubbliche in part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno.
Questa particolare posizione consente di svolgere un’altra attività lavorativa subordinata o autonoma, pure mediante iscrizioni ad albi, e introduce la regola che il secondo lavoro è consentito, mentre il diniego ha carattere residuale.
Anche il C.C.N.L. Funzioni Centrali, sottoscritto il 12 febbraio 2018, stabilisce che i dipendenti con rapporto di lavoro parziale possono svolgere un’altra attività lavorativa e professionale, subordinata o autonoma, nel rispetto delle vigenti norme in materia di incompatibilità e di conflitti di interessi. Tali impiegati sono, però, tenuti a comunicare, entro 15 giorni, all’amministrazione nella quale prestano servizio l’eventuale successivo inizio o la variazione del lavoro esterno.
Per scongiurare conflitti di interessi che potrebbero nascere nello svolgimento di ulteriori incarichi, già la stessa legge 23 dicembre 1996, n, 662 (art. 1 commi 56 e ss.), che disciplina il lavoro parziale, si era preoccupata di precisare che i dipendenti in part-time sono assoggettati agli stessi controlli previsti per il personale a tempo pieno, al fine di accertare che l’attività aggiuntiva non comporti grave pregiudizio alla funzionalità dell’amministrazione, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa dagli stessi ricoperta.
Qualora il datore di lavoro rilevi un conflitto di interessi tra l’attività svolta dal dipendente in part-time e i suoi compiti istituzionali, deve diffidarlo a cessare tale attività entro 15 giorni, a pena di decadenza.
La particolare posizione del lavoro parziale non rende mai possibile lo svolgimento di un incarico aggiuntivo in favore di un’altra amministrazione pubblica, essendo assolutamente escluso il cumulo di impieghi.
In conclusione, va detto che chi opta per il part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno può svolgere altre attività anche professionali, ma occorre far rilevare che non rientra in tale liberatoria la professione di avvocato.
Infatti, vi è stata una grossa resistenza da parte degli ordini professionali degli avvocati, i quali non hanno accolto le richieste di iscrizione dei dipendenti pubblici in part-time, invocando un Regio Decreto del 1934 (considerato lex specialis) che vieta ai dipendenti pubblici – tranne a quelli dei ruoli legali interni – di iscriversi agli ordini.
Questo diniego è stato oggetto di un cospicuo contenzioso che ha portato anche a diverse pronunce della Corte Costituzionale (ordinanza 12-20 maggio 1999, n. 183 e sentenza 4-11 giugno 2001, n.189, sentenza 390/2006, ordinanza 91/2009, sentenza 166/2012) e ad interventi legislativi (legge 25 novembre 2003) dopo che alcuni dipendenti pubblici in part-time avevano chiesto di iscriversi all’ordine, ma, nonostante le loro numerose proteste e rimostranze, non hanno raggiunto il risultato desiderato.
7. Incompatibilità personale della scuola
Anche il personale della scuola (docente, educativo e ATA) appartiene ai dipendenti pubblici e gli istituti scolastici di ogni ordine e grado rientrano nella pubblica amministrazione (art. 1, comma 2, d. Lgs. 165/2001), sicché la previsione normativa esaminata fin qui in materia di incompatibilità per i dipendenti pubblici (procedimento autorizzatorio, decadenza a seguito di inottemperanza alla diffida, restituzione somme percepite indebitamente, responsabilità disciplinare, part-time, ecc.) Trova applicazione anche per il personale della scuola, al quale il legislatore ha riservato particolare attenzione, in considerazione della specificità del ruolo docente, destinando l’art. 508 del d. Lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (T.U. delle disposizioni legislative in materia di istruzione), alle fattispecie di incompatibilità del personale insegnante.
Preliminarmente ha disposto che non è possibile impartire lezioni private agli alunni del proprio istituto e, quando trattasi di altri studenti, il docente deve informare il dirigente scolastico comunicando il nome degli alunni e la loro provenienza.
Nessuno studente può essere giudicato dal docente dal quale abbia ricevuto lezioni private e sono nulli gli scrutini o le prove di esame svoltisi in contravvenzione a tale divieto.
Per il personale ispettivo e i dirigenti scolastici è sancito il divieto assoluto di impartire lezioni private indipendentemente dall’appartenenza degli alunni alle singole istituzioni scolastiche.
I dipendenti della scuola non possono esercitare attività commerciale, industriale, e professionale, né assumere o mantenere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società od enti per i quali la nomina sia riservata allo Stato e sia intervenuta autorizzazione del Ministero dell’istruzione. Tale divieto non si applica nei casi di società cooperative.
Riguardo alle modalità e ai tempi delle istanze intese ad ottenere l’autorizzazione allo svolgimento di un lavoro aggiuntivo, trova applicazione quanto già detto innanzi per tutti i dipendenti pubblici e, nel caso del personale docente, educativo e ATA, la competenza al rilascio dell’autorizzazione è riservata al dirigente scolastico.
Al personale docente è consentito l’esercizio di libere professioni che non siano di pregiudizio all’assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e siano compatibili con l’orario di insegnamento e di servizio.
Questa prerogativa, riconosciuta unicamente agli insegnanti, ha posto degli interrogativi: ci si è chiesto perché tutti gli altri dipendenti pubblici non possono esercitare libere professioni, mentre agli insegnanti è consentito.
Ebbene tale dicotomia, voluta dal legislatore, è stata più volte oggetto di confronto e ha richiamato anche possibili disparità di trattamento in diverse sedi giurisdizionali.
Un intervento chiarificatore e giustificativo si è avuto con la sentenza della Corte Costituzionale n. 284 del 19-23 dicembre 1986, secondo la quale “il legislatore ha attribuito al personale docente la facoltà di esercitare la libera professione sul presupposto dell’influenza positiva che all’attività didattica può derivare dalla pratica professionale: questa, invero, arricchendo il patrimonio culturale del docente con l’esperienza concreta, può consentire, anche in relazione al continuo progresso delle varie discipline, un insegnamento non limitato ad un’astratta problematica, ma aderente al continuo divenire della realtà. Peraltro essa è prevista entro precisi limiti, in quanto…..non consente l’esercizio professionale se nei singoli casi esso possa risultare pregiudizievole alla funzione didattica o all’orario di insegnamento e di servizio”.
Per le professioni che perdurano nel tempo la richiesta di autorizzazione deve essere effettuata ogni inizio di anno scolastico, perché è necessario rivalutare la compatibilità tra attività libero-professionale e attività docente (in tal senso anche la sentenza – Sezione giurisdizionale centrale di appello Corte dei conti n. 264/2019).
Relativamente alla professione forense, anche se in presenza di regolare autorizzazione all’esercizio della professione, non è possibile patrocinare in controversie contro l’amministrazione scolastica e ciò, oltre a trovare giustificazione nei principi generali inerenti alla conflittualità di interessi, è stato affermato da pronunciati giurisprudenziali (vedi Cassazione Civile – Sez. Lavoro – sentenza n. 26016 del 17 ottobre 2018).
Quanto fin qui detto riguardo alle tipologie di incompatibilità del personale scolastico trova sostanzialmente applicazione anche per il personale non di ruolo con contratto a tempo determinato.
La previsione normativa riguardante i dipendenti pubblici in part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, di cui si è detto innanzi, è estesa al personale della scuola, sicché, qualora non sussistano situazioni, anche potenziali, di conflitti di interessi e non siano pregiudicate le esigenze di servizio, tali dipendenti possono svolgere un’altra attività lavorativa e professionale subordinata o autonoma.
Per quanto concerne il personale Amministrativo Tecnico e Ausiliario (ATA) della scuola non vi sono significative peculiarità rispetto ai dipendenti pubblici, cosicché si richiama quanto detto innanzi per tali lavoratori.
8. Comunicazione incarichi all’anagrafe delle prestazioni
Per dare pubblicità e trasparenza, nonché monitorare la spesa pubblica relativa agli incarichi conferiti ai pubblici dipendenti, ai consulenti e collaboratori esterni è stata istituita dall’art. 24 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, una specifica banca dati denominata “Anagrafe delle prestazioni”.
A tal fine le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti devono darne comunicazione in via telematica, così come previsto dal comma 12 dell’art. 53 del d. Lgs. 165/2001, entro 15 giorni, al Dipartimento della funzione pubblica, con indicazione della tipologia dell’incarico e del compenso lordo, ove previsto.
Le informazioni relative a consulenze e incarichi comunicate dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica, nonché le informazioni pubblicate dalle stesse nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, devono essere trasmesse e rese note in tabelle riassuntive.
Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica deve inviare alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che non hanno effettuato le prescritte comunicazioni, considerando che tali inadempienze precludono la possibilità di conferire nuovi incarichi fino a quando non saranno regolarizzati gli adempimenti prescritti.
Sempre entro il 31 dicembre di ogni anno il Dipartimento della funzione pubblica deve riferire al Parlamento sui dati raccolti e formulare proposte per il contenimento della spesa concernente il conferimento degli incarichi e la loro razionalizzazione.
I cittadini possono liberamente consultare tutti gli incarichi presenti nella banca dati collegandosi al sito www.consulentipubblici.gov.it
Per una sintesi di quanto contenuto nel presente scritto si riporta, qui di seguito, un prospetto di agevole lettura.
9. Prospetto sintetico riepilogativo
PRINCIPALI NORME CHE DISCIPLINANO L’INCOMPATIBILITÀ DEI DIPENDENTI PUBBLICI
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– Articoli 97 e 98 della Costituzione;
– Articoli da 60 a 65 D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato);
– Articolo 53 d. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e succ. Mod. E integr. (Testo Unico sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche);
– Legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione);
– D. Lgs. 8 aprile 2013 n. 39 (Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni…). |
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PRINCIPIO DI ESCLUSIVA |
I pubblici dipendenti sono al servizio esclusivo della Nazione e devono rendere le proprie prestazioni lavorative unicamente al loro datore di lavoro. | ||
ATTIVITÀ ASSOLUTAMENTE VIETATE |
Sono vietati ai dipendenti pubblici gli incarichi retribuiti e gratuiti che presentano i caratteri dell’abitualità e professionalità o possono dar luogo a conflitti di interessi, ovvero interferiscono con l’attività ordinaria svolta dal dipendente, in relazione al tempo, alla durata e all’impegno richiestogli.
Il dipendente pubblico non può esercitare il commercio, l’industria, le professioni, assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato. Il lavoratore che non osservi i divieti viene diffidato dall’amministrazione di appartenenza a cessare dalla situazione di incompatibilità. Decorsi 15 giorni senza che sia cessata l’incompatibilità il dipendente decade dall’impiego. |
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ATTIVITÀ CHE POSSONO ESSERE SVOLTE SOLTANTO SE PREVENTIVAMENTE AUTORIZZATE |
Alcune attività possono essere espletate al di fuori dell’orario di lavoro se si richiede una specifica autorizzazione. Trattasi di attività occasionali, saltuarie, compatibili con l’orario e la funzione istituzionale dell’amministrazione di appartenenza.
Il dipendente che dovesse svolgere ulteriori lavori senza la prescritta autorizzazione è sottoposto a un procedimento disciplinare ed è chiamato anche a rispondere dinanzi alla Corte dei conti per responsabilità amministrativa, con conseguente avvio di un giudizio contabile per danno erariale. I compensi percepiti devono essere restituiti e versati nel conto delle entrate del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del lavoratore per essere destinati ad incrementare il fondo di produttività o fondi equivalenti. |
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ATTIVITÀ CHE POSSONO ESSERE ESERCITATE LIBERAMENTE |
Sono liberalizzate le prestazioni rese esclusivamente presso associazioni di volontariato o cooperative a carattere socio-assistenziale senza scopo di lucro. Trattasi di attività espressive di principi costituzionali che non possono essere compressi, come, ad esempio, la libertà di associazione, di pensiero, la partecipazione ad associazioni, comitati scientifici, collaborazioni giornalistiche, relazioni in convegni, ecc.
Sono, in effetti, tipologie di incarichi – anche se in alcuni casi retribuiti – che non necessitano di autorizzazione, purché siano svolti al di fuori dell’orario di servizio e non pregiudichino l’impegno principale che viene espletato nell’amministrazione di appartenenza. |
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DIPENDENTI IN PART-TIME CON PRESTAZIONE LAVORATIVA NON SUPERIORE AL 50% DI QUELLA A TEMPO PIENO |
Il regime delle incompatibilità dei dipendenti pubblici è stato fortemente attenuato dall’introduzione, nel nostro ordinamento, del lavoro a tempo parziale e, pertanto, ai sensi dell’art. 53, comma 6°, del d. Lgs. 165/2001, sono esclusi dalle incompatibilità gli impiegati di amministrazioni pubbliche in part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno.
Questa particolare posizione consente di svolgere un’altra attività lavorativa subordinata o autonoma, anche mediante iscrizioni ad albi e introduce la regola che il secondo lavoro è consentito, mentre il diniego ha carattere residuale. |
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INCOMPATIBILITÀ PERSONALE DELLA SCUOLA |
Anche il personale della scuola (docente, educativo e ATA) appartiene alla pubblica amministrazione, sicché la previsione normativa in materia di incompatibilità per i dipendenti pubblici (procedimento autorizzatorio, decadenza a seguito di inottemperanza alla diffida, restituzione somme percepite indebitamente, responsabilità disciplinare, part-time, ecc.) Trova applicazione anche per il personale della scuola, al quale il legislatore ha riservato particolare attenzione, in considerazione della specificità del ruolo docente, destinando l’art. 508 del d. Lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (T.U. delle disposizioni legislative in materia di istruzione), alle fattispecie di incompatibilità del personale insegnante.
I docenti non possono impartire lezioni private agli alunni del proprio istituto e, quando trattasi di altri studenti, devono informare il dirigente scolastico comunicando il nome degli alunni e la loro provenienza. Il personale scolastico non può esercitare attività commerciale, industriale, e professionale, né assumere o mantenere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società od enti per i quali la nomina è riservata allo Stato e sia intervenuta autorizzazione del Ministero dell’istruzione. Tale divieto non si applica nei casi di società cooperative. Ai docenti è consentito l’esercizio di libere professioni che non siano di pregiudizio all’assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e siano compatibili con l’orario di insegnamento. Per quanto concerne il personale ATA (Amministrativo, Tecnico e Ausiliario) non vi sono significative peculiarità rispetto ai dipendenti pubblici, pertanto, trova applicazione la disciplina ad essi destinata. |
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COMUNICAZIONE INCARICHI ALL’ANAGRAFE DELLE PRESTAZIONI |
Per dare pubblicità e trasparenza, nonché monitorare la spesa pubblica relativa agli incarichi conferiti ai pubblici dipendenti, ai consulenti e collaboratori esterni è stata istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica -, una specifica banca dati denominata “Anagrafe delle prestazioni”.
A tal fine le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti devono darne comunicazione in via telematica, entro 15 giorni, al Dipartimento della funzione pubblica, con indicazione della tipologia dell’incarico e del compenso lordo, ove previsto. Le informazioni relative a consulenze e incarichi comunicate dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica, nonché le informazioni pubblicate dalle stesse nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, devono essere trasmesse e rese note in tabelle riassuntive. I cittadini possono liberamente consultare tutti gli incarichi presenti nella banca dati collegandosi al sito www.consulentipubblici.gov.it |
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