(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 630)
- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
1. Il fatto
La Corte d’Appello di Salerno dichiarava inammissibile una istanza di revisione avanzata in relazione ad una sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Vibo Valentia, divenuta irrevocabile, in seguito al rigetto del ricorso per cassazione proposto dall’imputato, deciso con sentenza della Prima Sezione Penale n. 37162 del 2019; la decisione irrevocabile aveva condannato l’imputato alla pena di sette anni e due mesi di reclusione per tentato omicidio e per il connesso reato di porto e detenzione di una pistola con matricola abrasa utilizzata per colpire la vittima.
In particolare, la domanda di revisione era basata sul contrasto di giudicati, ed era stata dichiarata inammissibile dall’ordinanza in esame tenuto conto della marginalità dell’elemento indiziario che sarebbe stato “smentito“, costituito dal ritrovamento della pistola con matricola abrasa in un terreno vicino a quello dell’abitazione estiva della famiglia dell’imputato, arma che, nell’economia della prova, era stata utilizzata per ritenere la sua colpevolezza, tenuto conto altresì del fatto che la determinazione di inammissibilità aveva considerato anche il tenore dell’assoluzione che non aveva smentito la circostanza di fatto del ritrovamento della pistola, ma aveva soltanto abbinato, peraltro erroneamente, la condotta di ricettazione ad un momento successivo a quello di commissione del reato piuttosto che al momento stesso del tentato omicidio, dimenticando la possibilità giuridica del concorso formale tra i reati di porto e detenzione di armi con matricola abrasa e loro ricettazione.
L’individuazione dell’istante come autore dei delitti era avvenuta, secondo l’accertamento dei giudizi di merito, ripreso dal provvedimento impugnato, valorizzando i seguenti elementi: a) i risultati delle intercettazioni disposte presso l’ospedale ove era stata ricoverata la persona offesa, captando i suoi colloqui con i familiari; b) la falsità dell’alibi proposto, smentito, quanto all’orario in cui l’istante ha dichiarato di essere rientrato in casa (coincidente con quella dell’omicidio), dalle dichiarazioni della compagna e dal tracciamento della sua posizione tramite il telefono cellulare; c) il ritrovamento di una pistola con matricola abrasa in un campo incolto situato in prossimità dell’abitazione del condannato, di un’arma risultata compatibile perfettamente con i bossoli e le cartucce inesplose repertate sul luogo dell’agguato.
2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore del condannato, che eccepiva la violazione di legge in relazione agli artt. 630, comma primo, lett. a) e 634 del codice di procedura penale.
In particolare, secondo la difesa, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente anticipato il giudizio di merito, proprio della fase successiva a quella di ammissibilità dell’istanza di revisione mentre avrebbe dovuto limitarsi a valutare l’inconciliabilità tra i due diversi giudicati posti a confronto dal ricorrente in merito ai medesimi fatti e non estendere la propria valutazione alla verifica del “peso“, sulla tenuta del tessuto probatorio a carico del ricorrente, della sentenza di assoluzione dal reato di ricettazione dell’arma utilizzata per il delitto.
Più nel dettaglio, la difesa sosteneva che il fatto storico “nuovo“, costituito dall’assoluzione dal reato di ricettazione relativo alla stessa arma utilizzata per il tentato omicidio, fosse inconciliabile con la sentenza di condanna per tale reato e per i connessi delitti di detenzione e porto della medesima pistola con matricola abrasa, così come neppure sarebbe stata comunque legittima l’argomentazione della Corte di Appello relativa alla necessità, per il giudice dell’assoluzione, di verificare la valenza del dato probatorio costituito dal ritrovamento della pistola unitamente agli altri dati emersi nel giudizio di merito a carico dell’imputato (il riconoscimento dell’aggressore da parte della vittima e l’alibi ritenuto falso), poiché in tal caso vi sarebbe stata una violazione del principio di ne bis in idem.
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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era dichiarato inammissibile.
Gli Ermellini ritenevano prima di tutto necessario inquadrare le censure proposte dal ricorrente nell’alveo delle linee interpretative generali tracciate dalla giurisprudenza di legittimità quanto al rimedio processuale della revisione del giudicato.
Si faceva pertanto presente che, in tema di revisione, anche nella fase rescindente è richiesta una delibazione non superficiale, sia pure sommaria, degli elementi addotti per capovolgere la precedente statuizione di colpevolezza e tale sindacato ricomprende necessariamente il controllo preliminare sulla presenza di eventuali profili di non persuasività e di incongruenza, rilevabili in astratto, oltre che di non decisività delle allegazioni poste a fondamento dell’impugnazione straordinaria e, per tali ragioni, ad avviso del Supremo Consesso, è legittima la valutazione della Corte d’Appello di immediata inconferenza, rispetto all’impianto probatorio già esistente, della prova dedotta come “nuova“, poiché è necessario e doveroso verificare, in sede di ammissibilità della revisione, anche l’inidoneità della prova nuova, già ad un esame preliminare, a scalfire il ragionamento del giudice della cognizione e le sue ragioni (cfr., da ultimo, Sez. 5, n. 1969 del 20/11/2020; Sez. 5, n. 26579 del 21/2/2018), tenuto conto altresì del fatto che tale passaggio preliminare di verifica da parte del giudice investito della richiesta ex art. 630 cod. proc. pen., specifico e proprio della fase rescindente, che non può non tener conto del fatto che, ai fini dell’esito positivo del giudizio di revisione, la prova nuova deve condurre all’accertamento – in termini di ragionevole sicurezza – di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio (Sez. 5, n. 34515 del 18/6/2021).
Ebbene, per i giudici di piazza Cavour, il perimetro di intervento del provvedimento impugnato dal ricorrente era stato disegnato in modo del tutto coerente con le linee interpretative richiamate, né la Corte territoriale avrebbe dovuto limitarsi, nel vaglio di ammissibilità della revisione, a valutare l’inconciliabilità in astratto tra i due diversi giudicati posti a confronto, ma aveva correttamente esteso la propria valutazione preliminare alla verifica del “peso“, sulla tenuta del tessuto probatorio a carico del ricorrente, della sentenza di assoluzione dal reato di ricettazione dell’arma utilizzata per il delitto.
Quanto al profilo specifico di revisione addotto dal ricorrente, e cioè il contrasto tra giudicati, si osservava che il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630, comma primo, lett. a), cod. proc. pen., deve essere inteso con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici stabiliti a fondamento delle diverse sentenze, non già alla contraddittorietà logica tra le valutazioni operate nelle due decisioni (ex multis, Sez. 2, n. 18209 del 26/2/2020; Sez. 6, n. 34927 del 17/4/2018; Sez. 6, n. 20029 del 27/2/2014).
Da ciò se ne faceva conseguire che gli elementi, in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena di inammissibilità, tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve esser prosciolto e, pertanto, non possono consistere nel mero rilievo di un contrasto di principio tra due sentenze che abbiano a fondamento gli stessi fatti (cfr., Sez. 1, n. 8419 del 14/10/2016).
Precisamente, nel caso in cui la richiesta si fondi sull’inconciliabilità tra giudicati, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., il giudizio sull’ammissibilità o meno della domanda di revisione della sentenza non può prescindere da una pur sommaria valutazione e comparazione tra le due decisioni che si assumono in contrasto, non potendo il giudice limitarsi a verificare esclusivamente l’irrevocabilità della pronuncia che avrebbe introdotto il fatto antagonista e la mera sua pertinenza ai fatti oggetto del giudizio di condanna (Sez. 2, n. 29373 del 18/9/2020).
Orbene, a fronte di tale approdo ermeneutico, secondo la Suprema Corte, la tesi della difesa era che il fatto storico “nuovo“, costituito dall’assoluzione dal reato di ricettazione relativo alla stessa arma utilizzata per il tentato omicidio, fosse inconciliabile con la sentenza di condanna per tale reato e per i connessi delitti di detenzione e porto della medesima pistola con matricola abrasa.
Ma tale inconciliabilità, per la Corte di legittimità, non si rivelava in alcun modo, anzitutto, da un punto di vista squisitamente giuridico e di qualificazione dei fatti concretamente accertati, poiché era evidente l’equivoca prospettiva in cui si era mossa la sentenza di assoluzione del Tribunale di Vibo Valentia che non prendeva in considerazione la consolidata affermazione della possibilità di concorso tra i reati di detenzione illecita di arma clandestina e di ricettazione, con delitto presupposto l’alterazione della matricola, abrasa (Sez. 6, n. 45903 del 16/10/2013; Sez. 5, n. 40906 del 19/10/2010): nella fattispecie era evidente che l’assoluzione irrevocabile, ritenuta il polo opposto del giudicato di condanna, non aveva tenuto conto del fatto che la ricettazione avrebbe potuto essere integrata dal possesso contestuale dell’arma da parte di colui il quale l’aveva usata per sparare alla vittima del tentato omicidio.
In altre parole, e rivolgendo il confronto tra giudicati ai fatti storici che si assumono in contrasto, per il Supremo Consesso, la sentenza assolutoria non aveva smentito la circostanza di fatto del ritrovamento della pistola nel campo attiguo all’abitazione del ricorrente, ma aveva soltanto abbinato la condotta di ricettazione ad un momento successivo a quello di commissione del reato, piuttosto che al momento stesso del tentato omicidio, dimenticando che la contestazione di ricettazione potesse essere riferita al momento di utilizzo dell’arma per sparare alla vittima, stante la possibilità giuridica del concorso formale tra i reati di porto e detenzione di armi con matricola abrasa e di ricettazione delle armi medesime.
Ancora proseguendo l’esame della fattispecie attraverso un confronto più marcatamente di fatto, era oltre tutto evidenziato come il giudicato assolutorio, da un lato, avesse espressamente, e sinteticamente, dato atto di non aver analizzato le prove in base alle quali la sentenza di condanna irrevocabile per tentato omicidio, con i connessi delitti di porto e detenzione illegale di armi, emessa nei confronti del ricorrente, dall’altro, fosse pervenuta all’individuazione proprio del condannato quale autore dei delitti e, dunque, sempre per gli Ermellini, nessun effettivo contrasto tra “fatti storici” poteva dirsi che si fosse svelato all’esame preliminare della Corte d’Appello.
Il ricorso, pertanto, era stimato manifestamente infondato e, quindi, era dichiarato inammissibile.
4. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse, essendo ivi chiarito come deve essere inteso il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630, comma primo, lett. a), cod. proc. pen..
Difatti, in tale pronuncia, si afferma, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630, comma primo, lett. a), cod. proc. pen., deve essere inteso con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici stabiliti a fondamento delle diverse sentenze, non già alla contraddittorietà logica tra le valutazioni operate nelle due decisioni nel senso che gli elementi, in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena di inammissibilità, tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve esser prosciolto e, pertanto, non possono consistere nel mero rilievo di un contrasto di principio tra due sentenze che abbiano a fondamento gli stessi fatti.
Di conseguenza, nel caso in cui la richiesta si fondi sull’inconciliabilità tra giudicati, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., il giudizio sull’ammissibilità o meno della domanda di revisione della sentenza non può prescindere da una pur sommaria valutazione e comparazione tra le due decisioni che si assumono in contrasto, non potendo il giudice limitarsi a verificare esclusivamente l’irrevocabilità della pronuncia che avrebbe introdotto il fatto antagonista e la mera sua pertinenza ai fatti oggetto del giudizio di condanna.
Tale pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si voglia presentare una domanda di revisione ai sensi dell’art. 630, co. 1, lett. a), cod. proc. pen..
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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