Indagini bancarie e finanziarie: evoluzione, novità legislative, efficacia probatoria (tipologia)

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INDAGINI BANCARIE E FINANZIARIE:

EVOLUZIONE, NOVITÀ LEGISLATIVE, EFFICACIA PROBATORIA (TIPOLOGIA)

PARTE PRIMA

 

di Giangaspare Donato Toma

 

Sommario: 1. Dagli accertamenti bancari alle indagini bancarie e finanziarie: il panorama normativo dalle origini fino ad oggi. 2. Gli interventi legislativi di fine 2011. 3. Qualche riflessione sui metodi di utilizzo dei dati bancari e finanziari ai fini di contestazioni fiscali. 4. I diversi gradi probatori riconducibili ai dati bancari e finanziari acquisiti in fase di indagine. 5. L’efficacia probatoria diretta. 6. L’efficacia probatoria indiretta.

 

1. Dagli accertamenti bancari alle indagini bancarie e finanziarie: il panorama normativo dalle origini fino ad oggi

 

La l. 9 ottobre 1971, n. 825, di disciplina della Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria, riferendosi, tra l’altro, alle disposizioni da emanare in materia di accertamento e di repressione dell’evasione fiscale, prevedeva l’introduzione di deroghe al segreto bancario, sia pur limitatamente ad ipotesi di particolare gravità e tassativamente determinate nel contenuto e nei presupposti (art. 10, comma 12 della legge).

Tali ipotesi vennero accuratamente previste dall’art. 35 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 che legittimava l’ufficio delle imposte, previa autorizzazione del presidente della Commissione tributaria di I grado territorialmente competente, rilasciata a seguito di conforme parere dell’Ispettorato compartimentale delle imposte dirette, a richiedere ad aziende ed istituti di credito e all’Amministrazione postale di trasmettere, entro un termine non inferiore a sessanta giorni, la copia dei conti intrattenuti con il contribuente, con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti comprese le garanzie prestate da terzi.

Solo nel 1982, attraverso il d.p.r. 15 luglio 1982, n. 463 – Disposizioni integrative e correttive dei DD.PP.RR. 26 ottobre 1972, n. 633, e 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, concernenti istituzione e disciplina dell’I.v.a. e disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi – la disciplina derogatoria al segreto bancario incluse, altresì, l’Iva, attraverso l’introduzione nel d.p.r. n. 633/1972 dell’art. 51-bis.

A decorrere dal 1991 e fino all’introduzione della l. 30 dicembre 2004, n. 311 (Legge finanziaria per il 2005), del d.l. 30 settembre 2005, n. 203 (convertito, con modificazioni, dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248) e del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248), si è assistito ad un processo, per così dire, di sistematica liberalizzazione del segreto bancario1.

La tendenza ha trovato oggi, a quarant’anni dalla più grande riforma tributaria che il nostro Paese possa ricordare, conferma ed attuazione pratica tramite il completo superamento di tale segreto allo scopo precipuo di combattere l’evasione.

Già attraverso la l. 30 dicembre 1991, n. 413 (c.d. Legge Formica, recante, tra l’altro, << Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento (…) >>), di fatto il segreto bancario viene cancellato dall’ordinamento tributario2.

L’art. 18 della legge, infatti, collocato nel Capo I – Poteri degli uffici per l’adempimento dei loro compiti e obblighi di comunicazione e allegazione – al secondo comma, lettera e), abroga l’art. 51-bis del d.p.r. n. 633/1972 e l’art. 35 del d.p.r. n. 600/1973, subordinando la procedura, volta ad incidere sul segreto bancario, solo al provvedimento autorizzatorio dell’Ispettorato compartimentale e del Comandante di zona della Guardia di finanza (attualmente, rispettivamente, Direzione regionale delle entrate e Comandante regionale della Guardia di finanza)3.

Premesse tali considerazioni, si è assistito negli ultimi anni ad un costante potenziamento dell’importante potere istruttorio, oggi disciplinato dall’art. 32, primo comma, nn. 2), 5), 6-bis) e 7) del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 – Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi – e dall’art. 51, secondo comma, nn. 2), 5), 6-bis) e 7) del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 – Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto.

La l. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, commi 402, 403 e 404 è intervenuta in maniera importante in tale direzione modificando gli artt. 32, primo comma, nn. 7), 2) e 3) del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 e 51, secondo comma, nn. 7), 3) e 4) del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633.

In estrema sintesi ne è emerso:

1) ai fini delle imposte dirette, ex art. 32, primo comma, n. 2) del d.p.r. n. 600/1973, un ampliamento del novero dei soggetti a cui è applicabile la metodologia presuntiva di accertamento prevista dal citato art. 32, ora attuabile anche nei confronti di colui che percepisce compensi, dunque anche nei riguardi del lavoratore autonomo e non solo del titolare di redditi di impresa.

Ne è scaturito che anche per il lavoratore autonomo vige la presunzione relativa secondo cui sono considerati componenti positivi di reddito (in particolare << compensi >>) i prelevamenti o gli importi riscossi se il contribuente interessato non ne indica il soggetto beneficiario e sempre che, tali operazioni, non risultino dalle scritture contabili;

2) un generale ampliamento dell’insieme delle informazioni che l’Amministrazione finanziaria è legittimata a richiedere e ad ottenere da, ora, tutti i soggetti che operano in ambito finanziario.

Viene così allargata la platea dei suddetti soggetti ai quali l’Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza possono esigere le informazioni in relazione ai rapporti intrattenuti con i rispettivi clienti, potendo effettuare richieste anche a << intermediari finanziari, imprese d’investimento, organismi d’investimento collettivo del risparmio, società di gestione del risparmio e società fiduciarie >>, oltre che, naturalmente (così come già avveniva antecedentemente l’introduzione della l. n. 311/2004), alle banche e alle Poste italiane s.p.a. In questa direzione il Legislatore ha attribuito alle società fiduciarie, quali soggetti destinatari delle richieste, un significato del tutto ampio, superando la vexata quaestio legata alla potenziale dicotomia << attività di gestione fiduciaria >>/<< attività di amministrazione fiduciaria >> ed ai conseguenti dubbi applicativi che destava il riduttivo riferimento alla sola << attività di gestione fiduciaria >>;

3) un ampliamento delle operazioni che, realizzate dai menzionati intermediari finanziari, possono rientrare nell’oggetto della richiesta del Fisco.

Tale richiesta non è più limitata ai soli conti intrattenuti dai clienti, ai rapporti ad essi inerenti o alle garanzie prestate da terzi, ma può includere ogni << operazioni fuori conto >>, poiché viene fatto riferimento, secondo una impostazione di più ampia veduta, a << qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata >>4;

4) un esplicito riferimento allo strumento informatico che necessariamente deve essere utilizzato allo scopo dell’ottenimento delle informazioni in argomento, con conseguente razionalizzazione della tempistica operativa (ne discende, in pratica, una considerevole riduzione dei tempi di risposta del ritorno delle informazioni richieste, che passa da sessanta a trenta giorni, prorogabili di altri venti giorni, ma esclusivamente per comprovati motivi).

 

2. Gli interventi legislativi di fine 2011

 

Di recente, è stata ulteriormente estesa la platea degli intermediari destinatari delle richieste ed incrementato il numero delle informazioni acquisibili: l’art. 23, commi 23, 24, 35, 26 e 27 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla l. 15 luglio 2011, n. 111) ha ulteriormente ampliato sia l’ambito soggettivo che quello oggettivo delle indagini bancarie e finanziarie, apportando modifiche agli artt. 32 e 33 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 e agli artt. 51 e 52 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633.

Sotto l’aspetto soggettivo, l’art. 23, comma 24, lett. a) del d.l. n. 98/2011, modificando l’art. 32, comma 1, n. 5) del d.p.r. n. 600/1973, incrementa il novero degli intermediari potenzialmente destinatari di richieste di indagini bancarie e finanziarie, ricomprendendovi, ora, espressamente anche le società e gli enti di assicurazione per i dati e le notizie di natura finanziaria in loro possesso5.

Il medesimo regime è stato esteso dall’art. 23, comma 25, lett. a) del d.l. n. 98/2011 anche alle verifiche Iva attraverso l’identica formulazione dell’art. 51, secondo comma, n. 5) del d.p.r. n. 633/1972.

Sotto il profilo oggettivo, la novella riconducibile all’art. 23, comma 24, lett. b) del d.l. n. 98/2011, modificando l’art. 32, comma 1, n. 7) del d.p.r. n. 600/1973, prevede l’acquisizione delle garanzie prestate dagli intermediari finanziari nell’interesse dei clienti e consente di poter pervenire all’identificazione dei soggetti che, dalla documentazione acquisita durante un ordinario controllo fiscale, risultino aver effettuato un’operazione di natura finanziaria o essere titolari di rapporti.

Anche qui, il medesimo regime è stato esteso dall’art. 23, comma 25, lett. b) del d.l. n. 98/2011 anche alle verifiche Iva attraverso l’identica formulazione dell’art. 51, secondo comma, n. 7) del d.p.r. n. 633/1972.

Tra le altre modifiche introdotte è da annoverare, in particolare, quella riguardante l’art. 23, comma 26 del d.l. n. 98/2011 in materia di accessi presso gli intermediari.

Con la citata norma sono state riviste le disposizioni contenute nell’art. 33, secondo e sesto comma del d.p.r. n. 600/1973 e nell’art. 52, sesto comma del d.p.r. n. 633/1972, con la conseguenza che ora all’Amministrazione finanziaria è consentito accedere presso tutti gli operatori finanziari, senza limitazioni di sorta, allo scopo di acquisire direttamente dati e notizie relativi a tutti i rapporti e le operazioni di natura finanziaria oggetto della richiesta stessa6.

Inoltre, l’art. 2, comma 36-undevicies della l. 14 settembre 2011, n. 148 sancisce che << in deroga a quanto previsto dall’articolo 7, comma 11 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, l’Agenzia delle entrate può procedere alla elaborazione di specifiche liste selettive di contribuenti da sottoporre a controllo basate su informazioni relative ai rapporti e operazioni di cui al citato articolo 7, sesto comma, sentite le associazioni di categoria degli operatori finanziari per le tipologie di informazioni da acquisire >>.

Ne discende che l’Amministrazione finanziaria potrà utilizzare le comunicazioni effettuate dagli intermediari finanziari all’Anagrafe tributaria – ai fini delle richieste e delle risposte di cui al n. 7), primo comma dell’art. 32, d.p.r. n. 600/1973 – per selezionare i contribuenti da sottoporre a verifica.

In questo modo il Fisco – allorché raggiunga un accordo con gli operatori finanziari – potrà predisporre delle elaborazioni dei dati in possesso degli intermediari al fine di produrre delle black list basate sulle anomalie intercettate nella gestione delle singole posizioni finanziarie dei contribuenti, prima di esperire qualsiasi attività di accertamento e senza alcuna autorizzazione7.

È stato così sostenuto che un simile scenario operativo si fonda sul convincimento – sotto il profilo giuridico – che l’inciso della novella in commento, << in deroga a quanto previsto dall’articolo 7, comma 11, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605 (…) >>, costituisca il disposto normativo che consente ai verificatori di accedere all’Anagrafe dei rapporti finanziari (senza l’autorizzazione dell’organo sovraordinato ed indipendentemente dallo svolgimento di un’attività di accertamento nei confronti di uno specifico soggetto) per eseguire delle interrogazioni massive di dati tese all’esecuzione di specifiche analisi di rischio dei contribuenti8.

Infine, l’art. 11 del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201 prevede che dal 1° gennaio 2012 tutti gli operatori finanziari saranno obbligati a comunicare periodicamente all’Anagrafe tributaria tutte le movimentazioni che hanno interessato i rapporti finanziari intrattenuti con i contribuenti e ogni altra informazione relativa a questi rapporti necessaria ai fini dei controlli fiscali. In particolare, stante la previsione del decreto che disciplina l’Anagrafe tributaria (d.p.r. 29 settembre 1973, n. 605), dovranno essere comunicate le movimentazioni di ogni soggetto che intrattenga con l’intermediario finanziario, la banca o le Poste spa, qualsiasi rapporto, o effettui, per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, qualsiasi operazione di natura finanziaria.

 

3. Qualche riflessione sui metodi di utilizzo dei dati bancari e finanziari ai fini di contestazioni fiscali

 

Questa, in sintesi, l’evoluzione normativa della disciplina in tema di indagini bancarie e finanziarie.

La vigente normativa pone un punto fermo basilare a favore del Fisco riconducibile all’inversione dell’onere probatorio, giusta la presunzione legale relativa ex art. 32, primo comma, n. 2) del d.p.r. n. 600/1973, che ne fa delle indagini bancarie e finanziarie uno strumento investigativo particolarmente incidente sulla sfera giuridica del contribuente.

È dato di rilevare, tuttavia, che il metodo presuntivo non rappresenta l’unica modalità investigativa a fronte dell’acquisizione di dati bancari e finanziari. Suddetti elementi, infatti, possono, in determinati contesti, costituire uno strumento diretto ed idoneo a rilevare comportamenti evasivi. Ma sul punto si avrà occasione di ritornare oltre.

Con specifico riferimento alla modalità probatoria presuntiva, l’art. 32, primo comma, n. 2) del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, in tema di accertamento delle imposte sui redditi prevede che << (…) I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell’articolo 18, terzo comma, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni (…) >>.

Quanto alla disciplina dell’Iva, l’art. 51, secondo comma, n. 2), del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 stabilisce che << (…) I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 52, ultimo comma, o dell’articolo 63, primo comma, o acquisiti ai sensi dell’articolo 18, terzo comma, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 54 e 55 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili (…) >>.

Dai suddetti riferimenti normativi ne deriva che i dati e gli elementi bancari e finanziari riguardanti i rapporti e le operazioni, si presumono abbiano originato:

a) delle componenti positive di reddito e, pertanto, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal d.p.r. n. 600/1973 agli artt. 38 – Rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche – 39 – Redditi determinati in base alle scritture contabili 40 – Rettifica delle dichiarazioni dei soggetti diversi dalle persone fisiche – e 41 – Accertamento d’ufficio -;

b) delle operazioni attive imponibili ai fini Iva, pertanto sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal d.p.r. n. 633/1972 agli artt. 54 – Rettifica delle dichiarazioni – e 55 – Accertamento induttivo,

se il contribuente, rispettivamente ai fini delle imposte sui redditi ed Iva:

a) non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine;

b) non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili (tanto che le operazioni imponibili che si evincono dai versamenti quanto gli acquisti riconducibili ai prelevamenti si considerano effettuati con l’aliquota prevalente rispettivamente applicata o che avrebbe dovuto essere applicata).

In altre parole il contribuente, affinché possa vincere la presunzione legale, deve dimostrare che i prelevamenti e gli importi riscossi si riferiscono ad operazioni che hanno partecipato alla determinazione del reddito o della base imponibile Iva, oppure che i dati sono irrilevanti ai medesimi fini.

Per quanto sopra riassunto, la condizione affinché i dati ed elementi bancari e finanziari attinenti ai rapporti ed alle operazioni possano essere legittimamente utilizzati per il fine dell’adozione della presunzione relativa de qua, è rispettata solo se l’acquisizione ed il rilevamento di tali dati ed elementi vengano effettuati nel rispetto di importati dettami procedurali, la cui inosservanza può incidere sulla stessa sostanza dell’eventuale provvedimento impositivo. Più in particolare, la procedura deve essere conforme alle regole:

– dell’art. 32, primo comma, n. 7), o dell’art. 33, secondo e terzo comma, d.p.r. n. 600/1973;

– dell’art. 51, secondo comma, n. 7) o dell’articolo 52, ultimo comma, o dell’articolo 63, primo comma, d.p.r. n. 633/19729.

In particolare, l’art. 32, primo comma, n. 2) del d.p.r. n. 600/1973 e l’art. 51, secondo comma, n. 2) del d.p.r. n. 633/1972 prevedono che gli uffici fiscali << possono >> invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire informazioni a giustificazione delle operazioni effettuate.

L’adozione del termine << possono >> ha portato la giurisprudenza nel corso degli anni a non ritenere necessario il preventivo contraddittorio tra i verificatori ed il contribuente allo scopo dell’adozione della presunzione iuris tantum.

La legge, tra l’altro, omette di prevedere tanto che il contraddittorio sia obbligatorio, quanto che in sua mancanza l’eventuale avviso di accertamento sia viziato da illegittimità e dunque annullabile. L’invito del contribuente a presenziare attraverso il contraddittorio non sarebbe necessario in tutte le fasi del procedimento di verifica, in quanto mera facoltà dell’ufficio e non obbligo10. Medesima posizione è stata assunta dalla prassi11.

Tale orientamento, indiscutibilmente predominante, sembra potersi ricondurre alla necessaria << economicità procedimentale >> che deve tipizzare l’attività di investigazione, nell’auspicabile presupposto che il contribuente comunque abbia la possibilità di far valere le proprie ragioni a chi è legittimato ad emettere l’avviso di accertamento nel periodo minimale dei sessanta giorni decorrente tra il rilascio del processo verbale di constatazione e la notifica dell’avviso di accertamento (art. 12, settimo comma, l. n. 212/2000)12.

La posizione cui è giunta la granitica giurisprudenza, che intravede nell’invito rivolto al contribuente una mera facoltà dell’ufficio fiscale e non un obbligo, è stata oggetto di critiche da parte della dottrina più sensibile, preoccupata di un utilizzo smisurato della presunzione de qua13.

 

4. I diversi gradi probatori riconducibili ai dati bancari e finanziari acquisiti in fase di indagine

 

La documentazione bancaria e finanziaria che il Fisco acquisisce attraverso l’esercizio del novero dei poteri di investigazione che la normativa gli conferisce, può assumere diverse sfumature probatorie.

Dall’efficacia probatoria indiretta riconducibile alla presunzione legale relativa, cui vanno ricondotti i dati e gli elementi << se >> acquisiti nel rispetto delle procedure disciplinate e richiamate dagli artt. 32, primo comma, n. 2) del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 e 51, secondo comma, n. 2) del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, si passa ad un’efficacia probatoria diretta se è dato di dimostrare, pur in assenza di ogni traccia nelle scritture contabili, un sicuro, quindi un diretto legame tra le risultanze degli elementi che emergono dai dati bancari e finanziari ed i fatti generatori di reddito o di valori imponibili ai fini Iva.

Allorché, dunque, sia possibile provare il suddetto legame, risulta del tutto irrilevante che il dato bancario o finanziario sia acquisito seguendo il particolare percorso indicato dalle disposizioni per ultime citate – che legittimano la presunzione de qua – risultando ragionevolmente idonea allo scopo la procedura istruttoria, per così dire, ordinaria, come, ad esempio l’esercizio del potere di ricerca di documenti bancari e finanziari svolto a seguito di un accesso in azienda o nell’abitazione o, anche, la spontanea esibizione di detti documenti da parte del contribuente.

Alla stessa stregua, attraverso l’esercizio degli ordinari poteri di investigazione tributaria (quindi non seguendo le regole di procedura dettate e richiamate dai citati artt. 32, primo comma, n. 2) del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 e 51, secondo comma, n. 2) del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633), i dati e i documenti bancari e finanziari acquisiti possono essere comunque idonei, sussistendone i presupposti, a costruire presunzioni semplici (o semplicissime), in grado di dimostrare indirettamente una capacità impositiva del contribuente diversa da quella che risulta ufficialmente.

La modalità presuntiva di accertamento del maggior reddito o della maggiore base imponibile ai fini Iva è un’opportunità importante che la legge attribuisce al Fisco, in un’ottica di economia procedimentale, che tuttavia non deve costituire il sistematico strumento di ricerca della prova.

Il rischio, per quest’ultima via, è che innanzi alla fattibile possibilità di una precisa ed analitica ricostruzione della base imponibile Iva o reddituale attraverso certi e diretti riferimenti probatori, comunque si segua la sola via presuntiva, poiché più veloce.

 

5. L’efficacia probatoria diretta.

 

Si prendano, a titolo esemplificativo, le fattispecie penalmente rilevanti ex artt. 8 – Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti – e 2 – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti – del d.lgs. n. 74/2000.

L’emittente una fattura per un’operazione, ad esempio, oggettivamente inesistente14 terrà dei comportamenti volti a simulare l’esistenza dell’operazione, allo scopo di ingannare gli investigatori. Tra questi comportamenti, quello volto a fingere la disponibilità di denaro mediante il relativo introito nel proprio conto in banca.

Di contro, dall’altra parte, colui che utilizza il falso documento, rilevandolo in contabilità fraudolentemente, abbattendo il reddito attraverso il falso costo e creando un falso credito Iva, simulerà l’uscita monetaria attraverso un’operazione (cui, ad esempio, faccia fronte l’emissione di un assegno) finalizzata a giustificare l’operazione falsa.

Se da un controllo delle movimentazioni bancarie riconducibili a tali due soggetti dovesse emergere che all’uscita monetaria dal conto dell’acquirente corrisponde, da lì a qualche giorno, un’ingiustificata entrate sullo stesso conto che ripristina l’iniziale situazione contabile, è intuitivo che dietro tale movimentazione di denaro potrebbe annidarsi la frode. Essa prende sostanzialmente corpo se, diametralmente, dalla parte del venditore, all’iniziale introito in banca dovesse conseguirne un’uscita per il medesimo importo, in contemporaneità cronologica con la movimentazione sul conto dell’acquirente ed in assenza, anche qui, di alcuna giustificazione dell’operazione (di norma l’illecita prassi porta a determinare la pattuizione di un compenso, rectius, una sorta di provvigione che viene destinata all’emittente la fattura falsa, prestatosi a favorire l’utilizzatore della stessa: anche questo è un indice significativo che può supportare la dimostrazione dell’inesistenza dell’operazione).

Attribuire ad una ricostruzione del genere, completa ed esaustiva nei passaggi basilari, un ruolo meramente indiziario, appare, realisticamente, limitativo, ritenuto che da circostanze fattuali precise non sembrano emergere plausibili difficoltà ostative alla dimostrazione dell’esistenza di una situazione apparente diversa da quella reale.

In situazione del genere si dovrebbe poter sostenere che si verte nell’ambito delle prove dirette e non presuntive, poiché le chiare tracce bancarie, concordanti nel quantum e nella cronologia di effettuazione, non possono essere riduttivamente considerate il fatto noto tramite il quale risalire presuntivamente al fatto ignoto (l’operazione inesistente), sia pur, eventualmente, attraverso un ragionamento argomentativo coerente e logico a cui pervenire attraverso una doverosa elaborazione intellettuale.

In ambito presuntivo si giunge alla conclusione secondo cui probabilmente al comportamento del contribuente fa fronte un’operazione generatrice di capacità contributiva, ma non che sicuramente ciò avvenga. Soluzione che non è in linea con l’esempio posto, in cui l’operazione illecita è dimostrata da precisi, documentati e, quindi, oggettivi riscontri15.

Si prenda ora il caso di un’indagine rivolta nei riguardi di un soggetto che svolge, ad esempio, una libera attività professionale. Se a seguito dell’esercizio degli ordinari poteri di investigazione tributaria, dunque in conseguenza di ricerca in concomitanza ad un accesso, dovessero reperirsi dei documenti, cartacei o su supporto informatico, dai quali emergano precise indicazioni in ordine a fruitori delle prestazioni del soggetto controllato, è intuitivo che il Fisco potrebbe esercitare il potere dell’inoltro di questionari a detti soggetti, previa loro individuazione. L’eventuale conferma da parte di costoro della ricezione della prestazione, con l’allegazione di un supporto di natura bancaria, costituisce la prova diretta che quel professionista, in violazione dei d.p.r. nn. 633/1972 e 600/1973, ha fornito la prestazione in assenza dell’emissione del previsto documento fiscale.

La documentazione bancaria scaturente dalla risposta al questionario assume in re ipsa, a fronte di un dato oggettivo, dignità di prova diretta dell’evasione. Ne consegue l’irrilevanza della procedura prevista dagli artt. 32, primo comma, n. 2) del d.p.r. n. 600/1973 e 51, secondo comma, n. 2) del d.p.r. n. 633/1972.

Inoltre, se a seguito dell’esercizio dei poteri di accesso e ricerca, di inoltro dei questionari a clienti e delle risposte ricevute nasce il dubbio che alcune prestazioni non siano state individuate, i verificatori sono sempre in tempo a richiedere motivatamente all’autorità competente l’autorizzazione finalizzata all’effettuazione di una completa indagine bancaria e finanziaria, secondo le previsioni degli artt. 32 del d.p.r. n. 600/1973 e 51 del d.p.r. n. 633/1972, e, quindi – solo in questo caso – attuare il principio dell’inversione dell’onere probatorio inerente la presunzione iuris tantum prevista dai suddetti articoli.

 

6. L’efficacia probatoria indiretta

 

I dati bancari e finanziari acquisiti dall’Amministrazione finanziaria possono dunque assumere, a seconda delle circostanze, tanto un’efficacia probatoria diretta, quanto indiretta attraverso lo strumento presuntivo16.

Non è raro, infatti, che l’attività impositiva spesso ricorra a ricostruzioni presuntive della capacità contributiva del contribuente. Il diritto tributario è animato da tali metodologie il cui utilizzo, tuttavia, necessita di ragionevolezza e rispetto della posizione del soggetto avverso il quale esse vengono fatte valere17: lo impone lo Statuto dei diritti del contribuente attraverso i suoi principi, i quali sono ispirati ad un rapporto giusto tra Autorità e cittadino18.

Tuttavia, rapporto giusto non può volere significare un rapporto paritetico quanto, piuttosto, un rapporto giuridico tanto equilibrato quanto comunque sensibile a porre la dovuta attenzione alle esigenze pubblicistiche di esazione, dunque al dovere di contribuzione di ciascun << amministrato >>, che è riconducibile ai doveri di solidarietà e di cooperazione fiscale19. Ecco dunque che il rapporto paritetico desiste innanzi a tali necessità e, una delle manifestazioni normative di tale cedevolezza è costituita, appunto, dalle innumerevoli presunzioni a favore del Fisco oggi presenti nel nostro ordinamento.

Il diritto tributario è carente di una norma che disciplina sistematicamente in via generale l’utilizzo delle presunzioni da parte dell’Amministrazione finanziaria. Il panorama normativo tributario è tipizzato da un insieme di disposizioni non sempre metodicamente coordinate e disseminate là dove ne è ritenuto utile l’utilizzo20.

Volendo trovare una giustificazione all’ampio ricorso alla metodologia presuntiva a cui ricorre il Legislatore tributario, si ritiene che questa vada ricercata prevalentemente nella considerazione secondo cui il Fisco è tenuto a valutare dei fatti e delle situazioni in odore di evasione che, di norma, risultano estranei alla sua conoscenza. Probabilmente il Legislatore, in questo modo, si è sforzato di riequilibrare un rapporto che volgerebbe a favore del contribuente, consapevole, in caso di evasione fiscale, della particolare difficoltà in cui verserebbe l’Amministrazione finanziaria che, ignara, avrebbe enormi difficoltà ad individuare l’evasione se non potesse disporre di strumenti probatori presuntivi21.

Il Legislatore fiscale ricorre alla nozione generale di presunzione attraverso l’estrapolazione della nozione dal contesto civilistico, trasferendola nell’ordinamento tributario con i necessari adattamenti, finalizzati a far fronte alle esigenze del diverso contesto giuridico in cui essa è chiamata ad essere applicata e dunque a sortire gli effetti.

Nel diritto civile il Legislatore attribuisce alla presunzione il significato giuridico di << conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto >> (art. 2727 c.c.).

Ne consegue che le presunzioni si articolano in legali e semplici.

Nelle prime è la legge che determina la connessione tra il fatto noto ed il fatto ignoto. Attraverso il meccanismo dell’inversione dell’onere probatorio il soggetto, a favore del quale esse sono stabilite, è dispensato dal fornire ogni prova afferente tale connessione (art. 2728 c.c.); è sufficiente che dimostri il verificarsi del fatto. Al resto, per così dire, deve pensarci il soggetto contro il quale esse vengono fatte valere che è tenuto, se non vuole subirne gli effetti, a contraddirle efficacemente, dimostrandone l’inconsistenza.

A propria volta le presunzioni legali si distinguono in relative oppure assolute, a seconda della possibilità, o meno, offerta al soggetto avverso il quale sono poste, di potersi opporre alle conclusioni già dettate dal disposto normativo22.

Il Legislatore, pertanto, poiché le presunzioni legali risultano particolarmente incidenti sulla sfera giuridica dell’onerato a dover fornire la prova contraria, ha ritenuto di prevedere un numero di situazioni tassativamente chiuso e predeterminato, blindato dal sigillo normativo, in relazione al quale contesti non contemplati dalla legge precludono qualsiasi automatismo a giustificazione della connessione tra il fatto noto ed il fatto ignoto. Qui il giudice nulla può di fronte al vincolo insormontabile della legge.

Altro discorso vale con riferimento all’altra macro categoria in cui si articolano le presunzioni: quella delle presunzioni semplici.

Tali presunzioni, non determinate prioritariamente dalla legge (in questo definibili a formazione libera), esprimo il rapporto tra il fatto noto e quello ignorato attraverso un nesso basato su regole statistiche, dunque un nesso inferenziale che, poggiando su regole di comune esperienza, ne costituisce l’espressione.

Diversamente dalle presunzioni legali, il giudice, nelle presunzioni semplici, ha un margine discrezionale di un certo rilievo nel valutare il nesso di collegamento tra fatto noto e fatto ignorato; ed anche qui il Legislatore, tenuto conto della delicatezza della ricostruzione indiretta ai fini probatori, ha posto dei paletti normativi all’azione del giudice poiché le presunzioni semplici sono contraddistinte dalla peculiarità di essere << lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti >> (art. 2791, primo comma, c.c.).

Alla luce della ormai consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, tali caratteristiche, che necessariamente devono supportare dette presunzioni, affinché possano essere ammesse in sede giudiziaria devono assumere il seguente significato ermeneutico:

– << gravità >>: il fatto noto deve avere una sua rilevante contiguità logica con il fatto ignoto. Deve, dunque, esprime il grado e l’intensità della probabilità che rendono verosimili le conseguenze derivanti dal fatto noto; il fatto noto, quindi, deve avere un peso importante in relazione ai fatti cui si riferisce: deve trattarsi di una ipotesi logica ed attendibile;

– << precisione >>: il fatto noto deve essere indiscutibile, ossia certo nella sua oggettività. Tale carattere richiama la certezza, l’esattezza e la specificità. Nella precisione è insita l’univocità, per cui deve essere ammissibile trarre soltanto determinate conclusioni e non altre;

– << concordanza >>: gli indizi debbono muoversi nella stessa direzione, perciò debbono essere logicamente dello stesso segno, quindi precisi nel loro essere e prossimi logicamente al fatto ignoto.

Detti vincoli normativi si rendono necessari data l’assenza, nel procedimento presuntivo, di qualsiasi traccia (documentale, ad esempio) rivolta alla ricostruzione diretta del fatto da provare, attraverso la quale, quindi, possa scaturirne una sicura ed immediata connessione.

Ne deriva, altresì, che il passaggio logico, attraverso cui dal fatto noto si risale a quello ignoto, non può costituire un passaggio contraddistinto da evidente certezza; diversamente il tutto si concretizzerebbe in un ingiustificato automatismo (automatismo che è ammesso, si è precisato, solo nelle tassative ipotesi, e nei termini, in cui è ritenuta operante la presunzione di matrice legale). Comunque sia chi opera non può non tener conto che attraverso il metodo presuntivo emergono solo delle probabilità che il fatto ignoto abbia avuto ad originarsi; questo non potrà mai essere connotato da quella certezza oggettiva che contraddistingue la realtà in cui nasce il fatto noto.

In altre parole, il giudizio scaturente da tutta la fase valutativa deve costantemente porre nella dovuta considerazione un punto fermo: il fatto noto da dimostrare è comunque vincolato da nozioni di comune esperienza che subiscono, anche, condizionamenti legati a contesti di natura soggettiva per cui, la ricostruzione del fatto è – e rimane – indiretta, nel significato che comunque, alla fine, l’eventuale decisione del giudice sarà volta a determinare la probabile esistenza di un fatto, alla luce dei canoni cui si è detto, e non che questo, con certezza, si sia realizzato.

Comunque sia, durante le investigazioni tributarie i verificatori fiscali devono svolgere un’approfondita analisi della realtà ispezionata che consegua ad un’attenta e minuziosa raccolta di elementi significativamente riconducibili a fatti ed elementi noti, dunque certi, che facciano verosimilmente ritenere la presumibile esistenza di una capacità contributiva occultata al Fisco.

Ricostruzione che deve assumere un taglio volto a criteri tanto più rigorosi e prudenti giustappunto nei contesti in cui l’Amministrazione valuta il rapporto tra il fatto noto e quello ignorato tramite un’inferenza statistica che, come visto, nei casi in cui si ricorra alle presunzioni semplici, è espressione delle regole di comune esperienza. Qui la deduzione dei fatti ed elementi noti deve essere improntata ad un ragionamento coerente e logico, di modo da consentire all’ufficio legittimato all’emissione dell’eventuale avviso di accertamento, un vaglio critico, minuzioso e completo dei fatti certi ed assunti in fase di indagine ed una riduzione, nel contempo, del rischio di errore valutativo.

Un asettico rinvio al dato sul quale far gravare tutto il peso della presunzione, in assenza di un ragionamento deduttivo e quindi di un’accorta e doverosa elaborazione intellettuale, potrebbe gravemente pregiudicare la bontà finale dell’eventuale provvedimento impositivo23.

 

 

1* Il presente lavoro è il primo di due articoli in corso di pubblicazione in questa Rivista.

Tale processo ha portato ad importanti novità circa gli obblighi di comunicazione all’Anagrafe tributaria in capo agli operatori finanziari. Significative, inoltre, le notevoli modifiche apportate all’art. 7, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 605 – Comunicazioni all’Anagrafe tributaria – volte ad implementare la massa di informazioni di cui l’Amministrazione finanziaria può disporre.

2 In argomento, ex multis, Consolo, Segreto bancari e sua permeabilità al fisco: recenti evoluzioni normative, in Boll. trib., 1992, 486, il quale parla di << abolizione pressoché completa della opponibilità del segreto bancario al Fisco >>.

3 Per la portata retroattiva dell’art.18, l. n. 413/1991, stante la sua matrice a carattere istruttorio, Cass., 2 marzo 1999, n. 1728, in banca dati il fiscovideo; Id., 22 giugno 2000, n. 267, ivi; Id., 19 luglio 2002, n. 10598, ivi.

4 Sulle novità riconducibili alla l. 30 dicembre 2004, n. 311, con specifico riferimento alla generale dilatazione dell’insieme delle informazioni che l’Amministrazione finanziaria è legittimata ad ottenere (tanto che è sembrato riduttivo parlare ancora di indagini bancarie, quanto, piuttosto, di << indagini bancarie e finanziarie >>), si veda Agenzia delle entrate, circ. 19 ottobre 2006, n. 32/E, in banca dati fisconline, secondo cui << (…) nell’ottica del rafforzamento dei poteri di controllo, particolarmente significative, per effetti diretti nei confronti degli uffici e della Guardia di finanza, ma immediati anche nei confronti dell’aumentato numero degli intermediari, risultano le regole concernenti l’attività istruttoria che nel lessico comune, sotto la previdente disciplina, si è consolidata come quella delle “indagini bancarie” e, talvolta, ancor più impropriamente, degli “accertamenti” bancari. Definizione che ora, per un doveroso adeguamento al nuovo dato normativo, deve invece registrare, quantomeno, anche l’aggettivazione di “finanziarie”, in aderenza alla dimensione ed alla destinazione assunte dal più incisivo e penetrante degli strumenti d’indagine, su richiesta e non, in quanto deputato ad operare ben oltre il ristretto piano dei conti correnti bancari e postali, per intercettare, invece, anche il più vasto articolato ambito generale del mercato finanziario >>.

5 La Circolare ministeriale 5 agosto 2011, n. 41/E, documento reperito all’indirizzo http://bdprof.ilsole24ore.com, al par. 6 precisa che le modifiche permetteranno di acquisire anche le informazioni relative a tutti quei contratti di assicurazione sulla vita attuati attraverso piani finanziari pluriennali di investimento e forme pensionistiche complementari individuali.

6 Inoltre, l’art. 23, comma 26, lett. b, d.l. n. 98/2011, ai fini dell’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche presso gli intermediari finanziari, prevede che:

1) i soggetti legittimati al rilascio dell’autorizzazione all’accesso sono individuati:

– per l’Agenzia delle entrate, nel Direttore centrale dell’accertamento o nel Direttore regionale della stessa;

– per il Corpo della Guardia di finanza, nel Comandante regionale;

2) le ispezioni devono avvenire in orari diversi da quelli di sportello aperto al pubblico: risulta per questa ragione anche abrogato il rinvio in precedenza operato ad un apposito decreto del Ministro delle Finanze con cui si sarebbero dovute determinare le modalità di esecuzione degli accessi.

7 È intuitivo che non sarà possibile l’utilizzo di tali elaborazioni secondo le regole proprie delle indagini bancarie e finanziarie, nel punto in cui è prevista l’inversione dell’onere della prova in relazione alle movimentazioni sui conti. Dette elaborazioni, tuttavia, ben potranno costituire uno degli elementi legittimanti l’attivazione delle procedure di autorizzazione all’utilizzo fiscale delle notizie ed informazioni acquisibili tramite il citato art. 32, d.p.r. n. 600/1973 (o, ai fini Iva, di cui all’art. 51, d.p.r. n. 633/1972), e, quindi, legittimare per questa via l’inversione probatoria de qua (sulla quale si ritornerà infra).

8 Putzu, Galluccio, Indagini finanziarie preventive, in La Settimana Fiscale, 4 novembre 2011, 13.

9 L’art. 32, primo comma, n. 7), d.p.r. n. 600/1973 e, analogamente l’art. 51, secondo comma, n. 7), d.p.r. n. 633/1972, subordinano la richiesta volta allo svolgimento delle indagini in argomento all’autorizzazione del Direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate o del Direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della Guardia di finanza, del comandante regionale.

L’art. 33, secondo comma, d.p.r. n. 600/1973 e, analogamente, l’articolo 52, ultimo comma, d.p.r. n. 633/1972, dispongono che gli uffici fiscali hanno facoltà di disporre l’accesso di propri impiegati muniti di apposita autorizzazione presso le pubbliche amministrazioni ed enti specificatamente indicati, allo scopo di rilevare direttamente i dati e le notizie ivi previsti e presso le aziende e istituti di credito e l’Amministrazione postale allo scopo di rilevare direttamente i dati e le notizie relative ai conti la cui copia sia stata richiesta con le modalità previste (dall’art. 32, primo comma, n. 7), d.p.r. n. 600/1973 e dall’art. 51, secondo comma, n. 7), d.p.r. n. 633/1972) e non trasmessa entro il termine stabilito, o allo scopo di rilevare direttamente la completezza o la esattezza, allorché l’ufficio abbia fondati sospetti che le pongano in dubbio, dei dati e notizie contenuti nella copia dei conti trasmessa, rispetto a tutti i rapporti intrattenuti dal contribuente con le aziende e istituti di credito e l’Amministrazione postale.

10 Sostanzialmente, in questa direzione, Cass., 28 luglio 2000, n. 9946, in banca dati il fiscovideo; Id., 1 agosto 2000, n. 10060, ivi; Id., 29 marzo 2002, n. 4601, ivi; Id., 3 novembre 2000, n. 3128, ivi; Id., 13 febbraio 2006, n. 3115, ivi; Id., 7 giugno 2006, n. 19330, ivi; Id., 13 aprile 2005, n. 13803, ivi; Id., 18 gennaio 2002, n. 518, ivi; Id., 18 aprile 2003, n. 6232, ivi; Id., 13 giugno 2002, n. 8422, ivi; Id., 30 nov 2009, n. 25142, ivi; Id., 23 giugno 2006, n. 14675, documento reperito all’indirizzo http://bdprof.ilsole24ore.com; Id., 14 gennaio 2011, n. 802, ivi.

La giurisprudenza di merito dominante più datata condiziona l’adozione della presunzione de qua al preventivo contraddittorio. In questo senso sono da annoverarsi Comm. trib. I grado di Chiavari, 14 dicembre 1994, n. 527, in Corr. trib., 1995, 1843 ss.; Comm. trib. I grado di Monza, 19 marzo 1996, n. 1392, in il fisco, 1996, 8172 ss.; Comm. trib. prov. di Pavia, 17 dicembre 1998, n. 267, in banca dati Ipsoa I quattro codici della riforma tributaria big; Comm. trib. provinciale di Pisa, 22 aprile 1999, n. 26, in Corr. trib., 1999, 3259.

11 Agenzia delle entrate, circ. 19 ottobre 2006, n. 32/E, cit.

12 Tra le pronunce di legittimità volte a ritenere necessario questo particolare contraddittorio, per così dire, pre-accertativo, si segnala Cass., 23 luglio 2008, n. 20268 in fiscalitax on line; Comm. trib. prov. di Viterbo, 29 maggio 2006, n. 141, in il fisco, 2006, 4719; Comm. trib. prov. di Siracusa, 20 aprile 2005, n. 68, in banca dati Ipsoa I quattro codici della riforma tributaria big; Comm. trib. prov. di Genova, 23 febbraio 2006, n. 15, cit.; Comm. trib. prov. di Roma, 30 ottobre 2002, n. 556, documento reperito all’indirizzo http://bdprof.ilsole24ore.com.

13 In genere, sull’estensibilità del principio del contraddittorio alla fase istruttoria del procedimento tributario, Grassi, De Braco, La trasparenza amministrativa nel procedimento di accertamento tributario. I rapporti tra Fisco e contribuente, Padova, 1999, 251 ss.; D’Angiolella, L’utilizzo dei dati bancari per la determinazione del reddito imponibile e dell’Iva, in il fisco, 2000, 420; Salvini, La partecipazione del privato all’accertamento, Padova, 1990, 242 ss.; Marrone, La disciplina degli accertamenti bancari ai fini fiscali, in Rass. trib., 1996, 622 ss.; Buscema, Per gli accertamenti bancari l’ufficio è obbligato a instaurare il preventivo contraddittorio (forse), in Diritto & Giustizia, 22 aprile 2006.

14 La generale definizione di fatture ed altri documenti per operazioni inesistenti è posta dall’art. 1, primo comma, lettera a), d.lgs. n. 74/2000, secondo cui con detta espressione si desumono le << (…) fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi >>. Dette fatture, o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, attestano delle operazioni che, in tutto o in parte, si discostano dalla realtà, o perchè mai poste in essere, o poste in essere solo parzialmente (da qui la riconducibilità alla oggettiva inesisistenza dell’operazione) oppure in quanto intervenute tra soggetti diversi da quelli indicati (in questo caso si parla di soggettiva inesistenza dell’operazione).

15 In argomento, Screpanti, La documentazione bancaria quale prova dell’evasione fiscale, in il fisco, 2003, 4974 ss.

16 Sulle indagini bancarie e finanziarie in genere, ex plurimis, Maccagnani, Ranocchi, Indagini finanziarie: anche per gli avvocati retroattiva la presunzione per i compensi in nero, in Guida al diritto, n. 43/2006, 100 ss.; Silvari, Thione, La contabilità “in nero” e il suo valore probatorio: evoluzione giurisprudenziale e recenti significative pronunce, in il fisco, 2006, 4618 ss. e, degli stessi Autori, I nuovi accertamenti bancari “telematici”: ritardi applicativi e linee evolutive, ivi, 2005, 5327 ss.; Nastasia, Operano retroattivamente le nuove disposizioni in tema di accertamenti bancari introdotte dalla Finanziaria 2005?, ivi, 2005, 4359 ss.; Antico, Controlli finanziari: l’utilizzo delle risultanze delle indagini. Circolare n. 32/E del 19 ottobre 2006. L’incidenza dei costi occulti, ivi, 2006, 6486 ss.; Della Carità, Ampliati i poteri di accertamento: per i professionisti i prelevamenti bancari non giustificati danno origine a compensi imponibili, ivi, 2006, 4356 ss.; Capolupo, Accertamenti bancari e sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, ivi, 2005, 1229 ss.; Chiorazzi, Iacono, Le nuove bancarie alla luce della circolare n. 32/E del 19 ottobre 2006, ivi, 2006, 6393 ss.; Buscema, Accertamento: non sempre le movimentazioni bancarie segnalano un’evasione, ivi, 2005, 5509 ss.; Nardi, L’accertamento bancario e la tutela del contribuente, in Boll. trib., 1996, 1017 ss.; Ferlazzo Natoli, Romeo, L’evoluzione normativa delle deroghe al segreto bancario ed il rispetto della privacy, in il fisco, 1999, 775 ss.; Borrelli, Nuovi poteri del Fisco nelle indagini bancarie, in Corr. trib., 2005, 933 ss.; D’Amati, Verifica delle operazioni bancarie: la tutela del contribuente tra contenzioso tributario e processo amministrativo, in Boll. trib., 1997, 101; Loiero, Malinconico, Le nuove norme in tema di Anagrafe tributaria: l’accesso degli agenti della riscossione e l’anagrafe dei rapporti finanziari, in il fisco, 2007, 316 ss. e, degli stessi Autori, Circolare n. 32/E: le garanzie a tutela del soggetto sottoposto a indagini, ivi, 2006, 6474 ss.; Carozza, Cardone, Le novità della Legge Finanziaria per il 2005 in materia di accertamenti bancari, ivi, 2005, 1713 ss.; Ripa, Costi occulti con verifiche induttive, in Italia Oggi, 20 ottobre 2006, 31; Voglino, Accertamento bancario e deducibilità dei costi occulti, in Boll. trib., 2005, 1082; Comelli, L’accertamento bancario tra principio di eguaglianza e principio di capacità contributiva, in GT – Rivista di giurisprudenza tributaria, 2005, 805; Russo, Questioni vecchie e nuove in tema di operatività del segreto bancario in materia tributaria, in Riv. dir. trib., 1991, I, 80 ss.

17 In argomento la Consulta, essendo stata chiamata ad esprimersi sulla legittimità costituzionale del modulo presuntivo in campo fiscale, con le sentenze nn. 103 e 104 del 1967 e nn. 167 e 200 del 1976 ne ha confermato l’utilizzo poiché – ha motivato – esso rappresenta un utile strumento di controllo e contenimento dell’evasione, oltre che un mezzo per conferire certezza e semplicità al rapporto tributario.

18 In relazione ai rapporti tra Amministrazione finanziaria ed il contribuente, con particolare riferimento alla tutela delle garanzie del secondo sottoposto ad indagine bancaria e finanziaria, Nardi, L’accertamento bancario e la tutela del contribuente, cit.; Moscatelli, Discrezionalità dell’accertamento tributario e tutela del contribuente, in Rass. trib., 1997, 1107; Pisani, Indagini fiscali e garanzie del contribuente, in il fisco, 1996, 4028; Ferlazzo Natoli, Romeo, L’evoluzione normativa delle deroghe al segreto bancario ed il rispetto della privacy, cit.; D’ Amati, Verifica delle operazioni bancarie: la tutela del contribuente tra contenzioso tributario e processo amministrativo, cit.; Uckmar, Marcheselli, Il diritto tributario tra tutela della riservatezza e trasparenza delle attività economiche, in Dir. prat. trib., 1999, I, 687.

19 L’evoluzione verso un sistema di equità fiscale, inteso << modernamente >>, è avvenuta attraverso importanti tappe. Sul tema, tra i tanti contributi forniti a favore di questo << processo evolutivo >>, Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Milano, 1973.

20 In argomento, Santamaria, Le ispezioni tributarie, 2008, 360. Si veda, anche, La Rosa, L’Amministrazione finanziaria, Torino, 1995, 101.

21 Sul tema, Falsitta, Le presunzioni in materia di imposte sui redditi, in Granelli, Le presunzioni in materia tributaria. Atti del Convegno nazionale di Rimini, 22/23 febbraio 1985, Rimini, 1987.

22 È stato ritenuto non applicabili nel diritto tributario le presunzioni di matrice assoluta, ossia quelle presunzioni che non attribuiscono alcuna possibilità ai soggetti nei cui confronti sono poste di contraddire le conclusioni imposte dalla legge, poiché in odore di illegittimità costituzionale per violazione del principio della capacità contributiva (Santamaria, Le ispezioni tributarie, cit.). C’è chi ne trova una limitata legittimazione costituzionale a condizione che tali presunzioni siano volte esclusivamente a qualificare indici di ricchezza certi nella loro esistenza. Ma tale legittimazione costituzionale, comunque, << non tiene >> e soccombe innanzi al criterio della logicità e ragionevolezza della presunzione assoluta, il quale non appare affatto idoneo a ricondurre nell’alveo dei principi costituzionali la prova dell’esistenza del presupposto impositivo e della determinazione della base imponibile (Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova, 1990, 156). Qui alla violazione del principio della capacità contributiva, ex art. 53 Cost., si accosta, oltretutto, l’aggiramento del principio di legalità in ambito tributario, ex art. 23 Cost., a mente del quale gli aspetti di natura sostanziale del rapporto giuridico di imposta devono essere accuratamente vagliati normativamente: se il Legislatore crea uno strumento (la presunzione assoluta) estremamente importante per la ricostruzione di tali aspetti, non può successivamente abdicare in favore del Fisco per una loro attuazione, in assenza di altri elementi di dettaglio volti a disciplinare compiutamente detta ricostruzione. L’Amministrazione finanziaria, infatti, a seconda che applichi o meno, a propria discrezione, lo strumento presuntivo di matrice assoluta, incide liberamente, a propria scelta, sui connotati sostanziali della pretesa tributaria, modellandoli ed intaccando, solo per questo, il principio di legalità.

Inoltre, la Corte costituzionale, attraverso la sentenza n. 200 del 1976, ha evidenziato che le presunzioni devono essere confortate da indici << concretamente rivelatori di capacità contributiva >>. Ne consegue che non è idoneo lo strumento presuntivo assoluto a tale necessità. Infatti << (…) se l’imposta deve collegarsi ad un presupposto certo, provato e non solo probabile, il divieto della prova contraria è incompatibile con il diritto del contribuente di provare l’effettività del presupposto d’imposta >> (Valente, Presunzioni nel diritto tributario internazionale e controlled foreign companies (CFC), in il fisco, 2001, 8734). Sul punto, per un’esaustiva trattazione, De Mita, Principi di diritto tributario, Milano, 1999, 91.

Non dovrebbe, invece, emerge alcun problema di legittimità costituzionale in relazione al rispetto del principio della capacità contributiva, ex art. 53 Cost., in ordine alle presunzioni legali relative poiché, nonostante esonerino << (…) il Fisco dall’onere di fornire la prova del fatto presunto, consentono al tempo stesso al contribuente che non abbia la capacità contributiva presunta dalla legge di dimostrare che tale capacità non esiste. Occorre, però, che tale inversione non ponga a carico del contribuente una prova impossibile (probatio diabolica) >> (Falsitta, Manuale di diritto tributario, cit., 155).

 

23 Sostanzialmente, con queste parole, Borrelli, Le indagini bancarie su esercenti arti e professioni, in banca dati fisconline. Conformemente, in giurisprudenza, Cass., 28 agosto 2000, n. 11234, in banca dati fisconline; Id., 9 aprile 1996, n. 3294, in Boll. trib., 1997, 962. In dottrina si veda, altresì, Lupi, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, Milano, 1988 e, dello stesso Autore, Sì ad indagini rapide ma stop alle vecchie presunzioni, in il Sole-24Ore, 6 gennaio, 2005, 15; Marrone, La disciplina degli accertamenti bancari ai fini fiscali, cit., 623; Calamandrei, La prova civile, 1947, Roma, 144.

Toma Giangaspare Donato

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