Il fatto
Il privato, con atto di citazione, citava in giudizio Enel S.p.A., al fine di richiedere la ripetizione dell’indebito di quanto egli aveva illegittimamente versato in suo favore, ossia di Enel S.p.A. stessa, con riferimento alle due utenze di cui era titolare.
La somma che l’attore aveva indebitamente versato nei confronti della convenuta riguardava l’imposta sul valore aggiunto (IVA) sulle accise e le addizionali, ossia voci presenti in bolletta. Detto prelievo da parte di Enel S.p.A. si assumeva essere in netto contrasto con la direttiva europea 2006/112/CE – relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto – che vieta l’applicazione dell’IVA su un’altra tassa, ossia, come nel caso in analisi, sulle accise e le addizionali delle bollette di gas e luce, non potendo le stesse costituire base imponibile.
L’Imposta sul valore aggiunto (IVA)
L’IVA invero, disciplinata dal D.P.R. n° 633 del 26 ottobre 1972, consiste in una tassa (o, per meglio dire, un’aliquota) da applicarsi al valore aggiunto riguardante lo scambio e le varie produzioni per poi giungere al bene o servizio finale (c.d. imposta indiretta).
Tale meccanismo, in altri termini, fa sì che, nella catena di produzione e scambio del bene ovvero del servizio, i soggetti, che vi partecipano, anticipano l’IVA per poi recuperarla attraverso l’addebito ai clienti/contribuenti.
L’iter logico-giuridico
Il Giudice di Pace di Taranto, all’interno della sentenza in esame, la sentenza n° 1544/2021, ha rilevato e constatato – come risultava anche dagli atti di causa e dalla chirurgica ricostruzione effettuata dal consulente tecnico – l’effettiva sussistenza di tale duplicazione tributaria, ossia ha accertato che dette somme erano realmente state addebitate illegittimamente da parte di Enel S.p.A. a titolo di IVA sulle accise e sulle addizionali presenti in bolletta a discapito dell’attore.
Nell’analisi della quaestio il Giudice di Pace, dunque, ha posto l’attenzione sul rapporto tra l’IVA e le altre tasse, ossia sulle accise e le addizionali, affermando che l’imposta sul valore aggiunto, quale imposta indiretta (tributo), non può costituire base imponibile – ossia l’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o al prestatore secondo le condizioni del contratto, compresi oneri e spese inerenti all’esecuzione dello stesso – per la riscossione di ulteriori tributi, poiché si verificherebbe, per l’appunto, un’indebita locupletazione di denaro a danno del contribuente.
Il Giudice, altresì, abbracciando un princìpio granitico, costante e consolidato delle Sezioni Unite della Cassazione (Sent. n° 3671/1997)[1], ha rievocato l’orientamento secondo il quale qualora, all’interno di una bolletta, vi siano i cosiddetti “oneri generali di sistema”, dalla stessa deve essere sottratta l’IVA, poiché sulla base imponibile vengono già effettuati i relativi prelievi tributari.
Infatti, detti oneri generali di sistema assumono essere dei contributi pagati da ogni singolo utente, i quali hanno lo scopo di finanziare le politiche dello Stato e, pertanto, non possono essere suscettibili di IVA (Commissione tributaria di Varese, n° 504/2019)[2].
Per comprendere al meglio tale fattispecie è necessario soffermarsi finanche sulla recente pronuncia della Commissione tributaria regionale per la Lombardia, sez. III – sentenza del 3 novembre 2020, n° 2527[3] – mediante la quale detta Commissione ha statuito il princìpio secondo cui l’IVA sulle accise è dovuta unicamente allorquando queste ultime siano addebitate in rivalsa all’utente della fornitura d’energia ovvero siano indicate in fattura; per contro le accise non potranno essere assoggettabili all’IVA. Tale assunto è ricavabile anche dall’art. 13 del D.P.R. n° 633 del 1972, il quale pone un limite alla debenza dell’imposta con riferimento ai soli oneri che il cedente (Enel S.p.A.) accolla al cessionario (utente della fornitura).
In sintesi, la succitata disposizione stabilisce che la base imponibile debba essere costituita da quanto effettivamente e direttamente ricevuto dal cedente, escludendo i cosiddetti oneri astratti, non applicabili e/o addebitabili all’utente.
Il principio di diritto applicato al caso concreto
Dunque, ai fini dell’applicazione dell’IVA, è d’uopo precisare che il contribuente/consumatore sia messo nelle condizioni di disporre in modo diretto di un bene o di un servizio.
A tal riguardo, con riferimento al caso de quo, può dirsi che, poiché i singoli utenti pagano le bollette al fine di poter usufruire della prestazione di un servizio (ossia poter disporre dell’energia elettrica), non possono, gli stessi, versare ulteriori somme, a titolo di IVA, da applicarsi sulle voci che non costituiscono il corrispettivo per l’erogazione del servizio medesimo e, in particolare, sui c.d. oneri generali di sistema ovvero sulle accise e le addizionali che costituiscono essi stessi tributi ai quali non può aggiungersi finanche l’IVA.
Pertanto, alla luce dei suesposti rilievi del caso effettuati dal Giudice di Pace, l’aver applicato l’IVA sull’intera bolletta della luce, come nel caso di specie, ha originato, paradossalmente, una duplice illegittima corresponsione di denaro (c.d. locupletazione) in favore della convenuta, vale a dire un prelievo di una tassa su un’altra tassa a danno dell’attore.
Il dispositivo
Il Giudice di Pace, nel pronunziarsi definitivamente sulla quaestio – e quindi sulla domanda esperita dall’attore – in esame, a seguito dell’iter accertativo posto in essere, ha contrariis reiectis dichiarato la non debenza delle somme de quibus per le suddette motivazioni.
Conseguentemente, in virtù delle disposizioni di legge da applicare al caso in analisi[4], ha condannato la società Enel S.p.A. alla ripetizione di quanto indebitamente versato dall’attore, ai sensi del combinato disposto degli articoli 2033 e 2041 del codice civile – oltre agli interessi legali dalla domanda attorea sino al soddisfo – in relazione alle due prefate utenze della fornitura di energia elettrica.
Note
[1] Cass. Civ. Sez. Un.,Sent. n° 3671/1997.
[2] Comm. Trib. di Varese, n° 504/2019; in tal senso: Comm. Trib. Reg. Friuli del 20/07/2020.
[3] Comm. Trib. regionale per la Lombardia, sez. III – Sent. del 3 novembre 2020, n° 2527.
[4] Per la risoluzione della fattispecie de qua si applica in primis il disposto dell’art. 2033 cod. civ. – ossia l’indebito oggettivo” il quale stabilisce che chi ha eseguito un pagamento non dovuto, ha diritto a ripetere ciò che ha pagato e, altresì, ha diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento dal giorno del pagamento – in caso di malafede – ovvero dal giorno della domanda – se in buona fede. Al caso di specie, altresì, si applica finanche il disposto dell’art. 2041 cod. civ. – azione generale di arricchimento – il quale stabilisce che chi, senza giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento