Giudizio di merito e questione controversa
La società Alfa (conduttrice) e Tizio (locatore) concludevano un contratto di locazione ad uso non abitativo.
Giunti alla cessazione del rapporto, la società Alfa chiedeva e otteneva, nei confronti di Tizio, un decreto ingiuntivo per il pagamento dell’indennità di avviamento ex art. 34 l. n. 392/1978.
Tizio proponeva opposizione al decreto ingiuntivo e deduceva che, nel contratto di locazione, la parte conduttrice aveva espressamente rinunciato all’indennità di avviamento a fronte di una più favorevole determinazione del canone.
Il Tribunale di Torre Annunziata accoglieva l’opposizione, statuendo che la previsione di un canone inferiore al valore locativo dell’immobile è ammissibile in presenza di una rinuncia, da parte del conduttore, ai diritti derivanti dal contratto di locazione, fra cui prelazione, riscatto e indennità. Ciò non contrasta con l’art. 79 l. n. 392/1978: la funzione della norma, infatti, è quella di preservare l’equilibrio sinallagmatico del contratto, perciò l’importante è che non vi sia stata alcuna sproporzione tra le prestazioni reciproche.
La Corte d’appello di Napoli confermava la decisione di prime cure. La società Alfa ricorreva dunque per cassazione e la Corte, con la sentenza in epigrafe, accoglieva il ricorso.
Sentenza della Suprema Corte
Le pronunce di merito che hanno dato ragione a Tizio si collocano in un filone giurisprudenziale minoritario, ben riassunto dal principio di diritto formulato da Cass. n. 8705/2015: “in tema di locazione di immobile ad uso non abitativo vige il principio della libera determinazione del canone, per cui, tendendo l’art. 79 l. n. 392/1978 a garantire l’equilibrio sinallagmatico del contratto secondo la valutazione operata dal legislatore, non sono stati imposti limiti all’autonomia negoziale con riguardo alla previsione di un canone in misura inferiore a quella originariamente concordata, ove la stessa trovi la sua giustificazione nella rinuncia, da parte del conduttore, ai diritti derivatigli dal contratto di locazione, ivi compreso quello alla corresponsione dell’indennità di avviamento commerciale.”
Discostandosi da tale principio, la sentenza in commento conferma l’indirizzo prevalente, a mente del quale l’art. 79 l. n. 392/78 è volto, più propriamente, a tutelare alcuni diritti imprescindibili del conduttore da qualsiasi possibilità di elusione di tipo preventivo.
La giurisprudenza prevalente ritiene che solo successivamente alla conclusione del contratto, quando il conduttore non si trova più in una posizione di debolezza per il timore di essere costretto a lasciare l’immobile dove svolge l’attività commerciale, vi è la possibilità per le parti di negoziare in ordine ai diritti nascenti dal contratto medesimo e, in particolare, in ordine al diritto all’indennità di avviamento.
Detto altrimenti, i diritti vantati dal conduttore sono disponibili e possono essere oggetto di rinuncia, con o senza corrispettivo, solo una volta sorti.
Applicando tali principi al caso di specie, è giocoforza concludere che la clausola con cui la conduttrice Alfa ha preventivamente rinunciato all’indennità di avviamento è nulla ai sensi dell’art. 79 l. n. 392/1978, non rilevando affatto che la rinuncia stessa sia stata concessa in cambio un canone di favore.
Le parti avrebbero potuto disporne solo in un momento successivo alla conclusione del contratto, quando ormai il diritto all’indennità di avviamento poteva dirsi acquisito in capo alla società Alfa.
Osservazioni
Ai sensi dell’art. 34 comma 1 l. n. 392/1978, in caso di cessazione di un rapporto locativo ad uso non abitativo per volontà unilaterale del locatore, il conduttore ha il diritto di percepire l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale pari a 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto (21 mensilità per le attività alberghiere). La norma svolge la funzione riparatoria di un pregiudizio ritenuto sussistente con valutazione tipica, vale a dire la diminuzione patrimoniale derivante dallo spostamento del luogo in cui si svolge l’attività commerciale.
La corresponsione dell’indennità non richiede la prova dell’effettiva perdita dell’avviamento né di una correlata utilità derivata in capo al locatore[1]; ciò che si richiede è che il conduttore dimostri che l’immobile locato è in concreto utilizzato per lo svolgimento delle attività di cui all’art. 27[2] l. cit. e che tali attività comportino un contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori (ex art. 35 l. cit.).
Tanto premesso, la sentenza qui annotata offre un interessante approfondimento in tema di rinuncia, da parte del conduttore, all’indennità per la perdita di avviamento in caso di cessazione del rapporto locativo commerciale.
La Corte richiama numerosi precedenti di legittimità, sintetizzando i due contrapposti orientamenti sviluppatesi nel corso del tempo e chiarendo in modo efficace se, e in quali termini, il conduttore possa validamente disporre del proprio diritto a percepire l’indennità riconosciutagli dall’art. 34 cit.
L’orientamento minoritario[3] è stato da ultimo ribadito in Cass. n. 8705/2015, peraltro fatta propria dal nostro Tribunale di Torre Annunziata. Tale indirizzo prende le mosse da due fondamentali assunti: (a) nelle locazioni non abitative vige il principio della libera determinazione del canone; (b) l’art. 79 l. cit., laddove sanziona con la nullità ogni patto diretto ad attribuire vantaggi in contrasto con le disposizioni della legge cit., svolge la specifica funzione di preservare l’equilibrio sinallagmatico del contratto.
Ne deriva che le parti ben possono pattuire un canone di locazione più basso in cambio della rinuncia all’indennità di avviamento: un siffatto do ut des, infatti, è astrattamente idoneo a mantenere stabile l’equilibrio sinallagmatico del singolo contratto.
Detto altrimenti, la rinuncia preventiva del conduttore all’indennità di avviamento è valida purché trovi il suo corrispettivo sinallagmatico all’interno del contratto stesso; solo in tal modo le parti garantiscono l’equilibrio fra le reciproche prestazioni preteso, a pena di nullità, dall’art. 79 cit.
L’orientamento maggioritario[4], confermato dalla sentenza in epigrafe, si discosta decisamente dall’indirizzo appena esposto. Il discrimine si rinviene nella differente interpretazione accordata all’art. 79 cit., volto non già – o non solo – alla conservazione dell’equilibrio sinallagmatico del contratto di locazione; bensì, più propriamente, teso ad evitare che le parti eludano le norme imperative poste a tutela del conduttore.
L’ art. 79 cit., quale norma di chiusura, prevede la sanzione della nullità a tutela di alcuni diritti ritenuti oggetto di particolare protezione, in perfetta concordanza con l’intero impianto e con la filosofia sottesa alla legge n. 392/ 78. Va detto che le pratiche elusive vietate dall’art. 79 cit. sono solo quelle di tipo preventivo, atteso che, di norma, è nella fase di formazione del contratto che il conduttore si trova in una posizione di debolezza (per il timore, come rileva la Corte, di essere costretto a lasciare l’immobile dove svolge la propria attività commerciale).
La disciplina dell’art. 79 cit. fa sì che, prima della conclusione del contratto, il conduttore non possa disporre dei diritti riconosciutigli dalle disposizioni di carattere imperativo della legge n. 392/1978, e ciò a nulla rilevando che le parti pattuiscano un corrispettivo per mantenere intatto l’equilibrio contrattuale.
Solo successivamente alla conclusione del contratto, quando il conduttore non si troverà più in una posizione di debolezza, vi sarà la possibilità per le parti di negoziare in ordine alle situazioni giuridiche già sorte e acquisite, fra cui il diritto del conduttore all’indennità per la perdita di avviamento.
L’indirizzo maggioritario è chiaro sul punto: l’art. 79 cit. intende evitate la preventiva elusione dei diritti del conduttore, ma non esclude la possibilità di disporne una volta che essi siano sorti e acquisiti. Pertanto – è bene sottolineare – il diritto all’indennità per la perdita di avviamento è disponibile e, come tale, può essere oggetto di rinunzia, con o senza corrispettivo, solo una volta sorto e acquisito al patrimonio del conduttore.
Del resto, conclude la Corte, non esiste alcun indice normativo che deponga nel senso dell’indisponibilità del diritto all’indennità radicatosi in capo al conduttore una volta che il rapporto sia venuto ad esistenza.
In conclusione, è utile evidenziare che i principi suesposti non dovrebbero interessare le cd. “grandi locazioni”: come noto, infatti, il d.l. n. 133/2014 (cd. decreto “Sblocca Italia”) convertito nella legge n. 164/2014, ha introdotto nell’art. 79 cit. l’attuale comma 3, a norma del quale “In deroga alle disposizioni del primo comma, nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se adibiti ad attività alberghiera, per i quali sia pattuito un canone annuo superiore ad euro 250.000, e che non siano riferiti a locali qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento regionale o comunale, è facoltà delle parti concordare contrattualmente termini e condizioni in deroga alle disposizioni della presente legge. I contratti di cui al periodo precedente devono essere provati per iscritto“.
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[1] Correlata utilità che, invece, costituisce un presupposto del differente istituto di cui al successivo comma 2, laddove si prevede che il conduttore ha diritto ad una ulteriore indennità pari all’importo di quelle rispettivamente sopra previste qualora l’immobile venga, da chiunque, adibito all’esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata dal conduttore uscente ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente
[2] Attività industriali, commerciali e artigianali di interesse turistico, quali agenzie di viaggio e turismo, impianti sportivi e ricreativi, aziende di soggiorno ed altri organismi di promozione turistica e simili, qualsiasi attività di lavoro autonomo.
[3] Altri provvedimenti ascrivibili al medesimo indirizzo sono, in particolare, Cass. n. 14611/2005; Cass. n. 10907/1995.
[4] V. anche Cass. n. 11947/2010; Cass. n. 4714/2008; Cass. n. 24458/2007; Cass. n. 2148/2006; Cass. n. 23910/2006. Con riferimento al merito, cfr. la recente Trib. Roma n. 18690/2017.
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