Indennità di trasferta per i lavoratori fuori azienda

Redazione 17/11/17

Indennità di trasferta: cosa spetta al lavoratore fuori sede

Le Sezioni Unite  civili della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27093 del 15 novembre scorso, sono intervenute in materia di indennità di trasferta, affermando il seguente principio di diritto:  “anche se corrisposta con carattere di continuità” – di cui sia all’art. 11 della l. n. 467 del 1984 sia all’art. 51, comma 6, del TUIR (così come nel comma 6 dell’art. 48 del TUIR, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 settembre 1997, n. 314) – deve essere intesa nel senso che l’eventuale continuatività della corresponsione del compenso per la trasferta non ne modifica l’assoggettabilità al regime contributivo (e fiscale) meno gravoso (di quello stabilito in via generale per la retribuzione imponibile), rispettivamente previsto dalle citate disposizioni e inoltre che l’art. 7 quinquies del d.l. n. 193 del 2016 conv. con modif. in l. n. 225 del 2016 – che ha introdotto una norma retroattiva autoqualificata di “interpretazione autentica” del comma 6 dell’art. 51 del TUIR – risulta conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, oltre che all’art. 117, comma 1, Cost., sotto il profilo del principio di preminenza del diritto e di quello del processo equo, consacrati nell’art. 6 della CEDU.”

 

La questione veniva rimessa alle Sezioni Unite con l’ordinanza interlocutoria n. 9317 del 18 aprile 2017 e concerne il regime contributivo applicabile alle indennità corrisposte dal datore ai lavoratori che prestano la loro opera altrove rispetto alla sede dell’azienda.  La questione si era resa oggetto di incertezze, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 7 quinquies del d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito nella Legge n. 225/2016.

Nel caso di specie. la questione da risolvere chiedeva di stabilire se si dovesse fare applicazione della disciplina prevista per i trasfertisti cosiddetti occasionali, ovvero per quelli abituali. Solo questi ultimi svolgono la propria attività lavorativa sistematicamente fuori dalla sede dell’impresa. La qualificazione del lavoratore viene effettuata attraverso l’indagine della volontà delle parti, trasfusa nelle clausole contrattuali.

Indennità retributiva e indennità risarcitoria

L’indennità, dunque, può avere carattere retributivo ovvero risarcitorio, a seconda che, rispettivamente,  la trasferta sia effettuata da un dipendente che è chiamato a svolgere abitualmente la propria prestazione fuori dalla sede, ovvero che il lavoratore si sia dovuto temporaneamente trasferire in un luogo diverso indicato dal datore e abbia dovuto, per questo, sostenere delle spese.

La natura restitutoria o retributiva si riflette anche sugli obblighi contributivi e fiscali, per cui si parlerà, nell’un caso, di obblighi previdenziali, nell’altro, di imposte.

Il dato letterale della novità legislativa del 2016 ha destato perplessità; le Sezioni Unite hanno in questa sede chiarito che “la presenza dell’inciso anche se dimostra che il legislatore ha considerato la “continuità” della prestazione del “trasfertista abituale” solo eventuale e comunque indifferente ai fini del relativo trattamento contributivo; nel senso che pure in ipotesi di continuità il trattamento non deve essere quello ordinario previsto per la retribuzione, bensì quello più favorevole previsto per l’indennità di trasferta o i compensi analoghi.

Sentenza collegata

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