Il processo amministrativo telematico
Milita in tal senso la lettura combinata di una serie disposizioni in materia di PAT – processo amministrativo telematico:
– art. 136, comma 1, secondo periodo, Cod. proc. amm. per il quale “La comunicazione a mezzo fax è eseguita esclusivamente qualora sia impossibile effettuare la comunicazione effettuare la comunicazione all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante dai pubblici elenchi, per mancato funzionamento del sistema informatico della giustizia amministrativa”;
– art. 13, comma 1-ter delle norme di attuazione del Cod. pro. amm. “Salvi i casi in cui è diversamente previsto, tutti gli adempimenti previsti dal codice e dalle norme di attuazione inerenti ai ricorsi depositati in primo o in secondo grado dal 1°gennaio 2017 sono eseguiti con modalità***matiche, secondo quanto disciplinato nel decreto di cui al comma 1”;
– art. 16-sexies (Domicilio digitale) d.l. 18 ottobre 2012 n. 179 conv. in l. 17 dicembre 2012, n. 221 come introdotto dall’art. 52 del d.l. 25 giugno 2014, n. 90 conv. in l. 11 agosto 2014, n. 114 per il quale “Salvo quanto previsto dall’art. 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata risultante dagli elenchi di cui all’art. 6bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal ministero della giustizia”;
– art. 25 comma 1-bis Cod. proc. amm. “Al processo amministrativo***matico si applica, in quanto compatibile, l’articolo 16sexies del decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179 convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221”.
Le disposizioni citate sono espressione della volontà legislativa di depotenziare la portata dell’elezione di domicilio fisico per fare del domicilio digitale il domicilio eletto ex lege in ambito processuale (si condividono, così, le espressioni utilizzate da Cass. civ., sez. III, 8 giugno 2018, n. 14914; sez. VI, 14 dicembre 2017, n. 30139).
Si impone, pertanto, un’interpretazione adeguatrice dell’art. 93 (Luogo di notificazione dell’impugnazione), comma 1, Cod. proc. amm. (“L’impugnazione deve essere notificata nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto dalla parte nell’atto di notificazione della sentenza o, in difetto, presso il difensore o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio e risultante dalla sentenza per cui, ove si parla di “domicilio eletto”) ove il riferimento al “domicilio” va inteso come “domicilio digitale”; è, dunque, correttamente notificata l’impugnazione al domicilio digitale che sia stato indicato nell’atto di notificazione della sentenza ovvero, qualora tale indicazione non sia presente, all’indirizzo PEC indicato ai fini del giudizio di primo grado.
Il riparto di giurisdizione
Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di concessione e revoca di contributi e sovvenzioni è stato oggetto di una fondamentale pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 29 gennaio 2014, n. 6.
Tenendo conto della situazione giuridica soggettiva azionata, l’Adunanza plenaria ha affermato i seguenti principi:
“ — sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione (cfr. Cass., sez. un., 7 gennaio 2013, n. 150, cit.);
— qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull’inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione (cfr. Cass., sez. un., ord. 25 gennaio 2013, n. 1776, cit.);
— viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass., sez. un., 24 gennaio 2013, n. 1710, cit.; Cons. Stato, ad. plen., 29 luglio 2013, n. 17, cit.).”.
Di tali principi è stata fatta costante applicazione in tutte le pronunce che sono seguite (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2018, n. 2592; sez. III, 9 agosto 2017, n. 3975; sez. V, 11 luglio 2016, n. 3051; sez. V, 7 giugno 2016, n. 2436; sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 835; Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 22 dicembre 2015, n. 741; Cass. civ., Sez. Un., 11 luglio 2014, n. 15941; Sez. Un., 17 febbraio 2016, n. 3057).
Sussiste la giurisdizione ordinaria allorquando, come nel caso di specie, la controversia attenga alla fase di erogazione di un contributo che la legge istitutiva, così come il successivo regolamento esecutivo, subordina al possesso di specifici requisiti soggettivi ed oggettivi, nonché all’assenza di impedimenti ivi esattamente indicati, con obbligo per l’amministrazione di procedere all’erogazione, previo accertamento degli stessi senza margini alcuni di discrezionalità. La situazione soggettiva delle imprese richiedenti il contributo è, infatti, di diritto soggettivo cui corrisponde un obbligo dell’ammininistrazione regionale.
L’interesse ad impugnare un regolamento amministrativo, per il suo carattere generale ed astratto, sorge solo in conseguenza della lesione prodotta alla situazione giuridica soggettiva del singolo interessato dall’atto applicativo dello stesso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 novembre 2017, n. 5071; sez. VI, 17 luglio 2017, n. 3513; sez. V, 6 maggio 2015, n. 2260; sez. VI 4 dicembre 2012, n. 6208), in deroga, il regolamento è immediatamente impugnabile se incide direttamente nella sfera soggettiva di un destinatario, c.d. regolamento “volizioni – azioni”, come avviene qualora siano contenute disposizioni di divieto (allo svolgimento di una determinata attività) ab initio cogenti.
Qualora, invece, il regolamento specifichi le modalità di esercizio di un potere amministrativo, precisandone la scansione procedimentale (peraltro già prefigurata dalla legge che ad esso rinvia), v’è in astratto la prefigurazione di una relazione tra pubblica amministrazione e privato e, dunque, di una futura lesione per il cittadino che già sa di non poter essere destinatario dell’effetto favorevole, ma il rapporto (c.d. amministrativo) si instaura solo a seguito dell’attivazione procedimentale e con l’adozione di un provvedimento finale gli effetti si producono nella sfera soggettiva del privato: ove negativi, essi possono condurre all’impugnazione dell’atto applicativo.
In definitiva, allora, un regolamento esecutivo di una normativa primaria avente ad oggetto la erogazione di contributi è sempre un regolamento “violazioni-preliminari”, a nulla rilevando che la norma, di regola, contempla un potere amministrativo vincolato che si confronta con una situazione di diritto soggettivo del privato.
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