1. Definizione
La fattispecie delittuosa dell’induzione indebita a dare o a promettere utilità art. 319 quater c.p. è disciplinata dal libro secondo del codice penale – dei delitti in particolare – titolo II – dei delitti contro la pubblica amministrazione – capo I – dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Si tratta di un delitto procedibile d’ufficio (art. 50 c.p.p.) e di competenza del tribunale collegiale (art. 33 bis c.p.p.). L’arresto è facoltativo in flagranza con riferimento al primo comma (art. 381 c.p.p.); non consentito per il secondo comma prima ipotesi; facoltativo in flagranza con riferimento alla seconda ipotesi del secondo comma (art. 381 c.p.p.). È consentito il fermo di indiziato delitto con riferimento al comma I (384 c.p.p.), non consentito per il comma II. Sono applicabili le misure cautelari personali con riferimento al I comma (artt. 280 e 287 c.p.p.). In relazione al II comma non sono consentite per la prima ipotesi ma applicabili per la seconda (artt. 280 e 287 c.p.p.).
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2. Induzione indebita a dare o a promettere utilità art. 319 quater c.p.
Per completezza dell’esposizione giova ricordare che la fattispecie de qua è stata introdotta dal legislatore con la Legge 6 novembre 2012, n. 190 – Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione – (conosciuta anche con il nome di legge Severino dal nome dell’allora Ministro della giustizia del governo Monti). In realtà la norma in scrutinio era fattispecie integrante del delitto di cui all’art. 317 c.p. – concussione – ma il legislatore con la novella di cui sopra ne ha estrapolato il dettato e pertanto, oggi, la condotta di induzione è confluita nella disposizione di cui all’art. 319 quater c.p. Sul punto leggi https://www.diritto.it/la-fattispecie-delittuosa-della-concussione-art-317-c-p/.
A seguito della novella di cui sopra l’art. 319 quater del codice penale testualmente dispone che: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi.
Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni ovvero con la reclusione fino a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000”.
Dalla lettura della norma emerge la presenza della clausola “salvo che il fatto costituisca più grave reato”. La sussistenza di detta clausola rileva la natura della norma de qua rispetto alla fattispecie di cui all’art. 317 c.p. – concussione -. Invero l’ induzione indebita a dare o a promettere utilità (art. 319 quater c.p. ) si discosta dalla concussione per la mancanza del potere coercitivo. Al pari del delitto di cui all’art. 317 c.p. si caratterizza per l’abuso della “ qualità ” e dei “ poteri ”. Più mite riguardo la concussione si presenta il compendio sanzionatorio della fattispecie creata dalla Legge 6 novembre 2012, n. 190. Tuttavia il Legislatore con la Legge 27 maggio 2015, n. 69 – Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio – ha elevato la pena prevista per il delitto in scrutinio, parificandola, ad anni sei, con riferimento alla soglia minima edittale alla pena prevista per la fattispecie delittuosa della concussione (art. 317 c.p.).
Sono soggetti attivi della fattispecie delittuosa in commento il “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio”. Trattasi di un delitto a forma libera volto ad inglobare qualsiasi condotta che determinata da un abuso di poteri sia idonea a generare nei confronti del soggetto passivo uno stato emotivo di soggezione. Sul punto così si esprime la Corte di Cassazione: “ Nel delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater cod. pen., introdotto dalla L. n. 190 del 2012, la condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con più tenue valore condizionante – rispetto all’abuso costrittivo tipico del delitto di concussione di cui all’art. 317 cod. pen., come modificato dalla predetta l. n. 190 – della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico ”. ( Cass. n. 32594/2015 ).
È ammissibile l’ipotesi del tentativo, a tal proposito, si segnala sul punto il seguente arresto giurisprudenziale: “ In tema di tentativo, l’idoneità degli atti non va valutata con riferimento ad un criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensì in relazione alla possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, configurandosi invece un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell’art. 49 cod. pen., in presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, di modo che l’azione, valutata “ex ante” e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall’agente, risulti del tutto priva della capacità di attuare il proposito criminoso ”. (Cass. n. 17988/2018).
Il privato è vittima di costrizione se il funzionario pubblico “ pur senza l’impiego di brutali forme di minaccia psichica diretta, lo ha posto di fronte all’alternativa secca di accettare la pretesa indebita oppure di subire il prospettato pregiudizio oggettivamente ingiusto”. ( Cass. n. 11794/2013 ). Per converso, sempre nella medesima sentenza, il privato è punibile quale coautore nel reato “ se il pubblico agente, abusando della sua qualità o del suo potere, formula una richiesta di dazione o di promessa ponendola come condizione per il compimento o per il mancato compimento di un atto, di un’azione o di un’omissione, da cui il destinatario della pretesa trae direttamente un vantaggio indebito: egli dunque non è vittima ma compartecipe (…) perché egli è stato “allettato” a soddisfare quella pretesa dalla possibilità di conseguire un indebito beneficio, il cui perseguimento finisce per diventare la ragione principale della sua decisione ”.
Infine, giungendo alle conclusioni, si evidenzia che sotto il profilo processuale si evidenzia che: “Non eccede i limiti esterni della giurisdizione erariale, e di conseguenza non è impugnabile con ricorso per Cassazione, la pronuncia della Corte dei Conti che, interpretando i limiti normativi posti alla risarcibilità del danno all’immagine di enti pubblici con riferimento ai soli fatti costituenti delitti contro la P.A. accertati con sentenza passata in giudicato, abbia ritenuto integrata la fattispecie di danno erariale in seguito alla irrevocabilità della sentenza di cd. patteggiamento pronunciata, dopo l’entrata in vigore della l. n. 475 del 1999, per il delitto di cui all’art. 319 – quater c.p., a carico di un funzionario pubblico”. (Cass. Sez. Unite n. 1409/2018).
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