Massima |
Secondo la disciplina di cui al d.P.R. 1124/1965, applicabile per il periodo antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 38/2000 (che, all’art. 13, ha inserito il danno biologico all’interno della copertura assicurativa pubblica), l’indennizzo previsto in caso di infortunio sul lavoro si riferisce solo alla riduzione della capacità lavorativa e, in base anche all’interpretazione datane dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 319 del 1981, n. 87 e 356 del 1991) non comprende una quota volta a risarcire il danno biologico. |
1. Questione
Il dipendente della società, con mansioni di operaio manutentore – a seguito di infortunio sul lavoro occorsogli nello stabilimento conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Parma in funzione di giudice del lavoro la predetta società chiedendo il risarcimento del danno biologico e morale subito. La compagnia assicuratrice si costituiva eccependo la inoperatività della polizza essendo la garanzia riferita ai danni previsti dagli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1125/1965. L’adito giudice, dichiarata la civile responsabilità della società per il predetto infortunio sul lavoro, la condannava, in accoglimento della domanda di manleva, al risarcimento del danno in favore del dipendente per danno biologico e per danno morale.
Avverso tale decisione la società propone appello, dove la Corte di appello ha riformato parzialmente la sentenza di primo grado. In sintesi, la Corte ha ritenuto: a) che la responsabilità della azienda per il verificarsi dell’infortunio sul lavoro de quo era stata affermata correttamente dal primo giudice non sulla scorta del giudicato formatosi nel giudizio penale, ma sulla base di una autonoma valutazione delle risultanze del procedimento penale e di quanto era emerso dalla attività istruttoria specificamente espletata nel processo civile; b) che la responsabilità della società trovava fondamento nel non aver previsto che una operazione pericolosa quale quella compiuta dal dipendente fosse eseguita con uno strumento (scala a pioli) non idoneo a consentire al lavoratore di operare in condizioni di sicurezza e, quindi, nel non aver predisposto quelle misure atte a prevenire rischi di infortuni anche riconducibili ad imprudenza, imperizia e negligenza del lavoratore la cui condotta poteva comportare l’esonero totale da responsabilità per il datore di lavoro solo ove avesse presentato i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza riferiti al procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, caratteri questi ultimi che nel caso in esame non ricorrevano nel comportamento tenuto dal dipendente; e, comunque, la società non aveva provato di avere impartito al dipendente una adeguata formazione sia sulle operazioni di manutenzione sia in merito al controllo ed alla vigilanza sul rispetto delle procedure aziendali di sicurezza.
E’ stato presentato ricorso in Cassazione, che è stato rigettato.
2. Indennizzo e risarcimento danni
L’obbligazione dell’assicuratore al pagamento dell’indennizzo al proprio assicurato è distinta ed autonoma rispetto all’obbligazione di risarcimento, cui quest’ultimo è tenuto nei confronti del danneggiato; questi versa nella posizione di terzo, rispetto al rapporto immediato fra le parti contraenti l’assicurazione, e pertanto, a differenza di quanto accade nella “speciale” disciplina della responsabilità derivante dalla circolazione stradale, non ha azione diretta nei confronti dell’assicuratore (cfr. Cass. civ., n. 5306 del 2007).
Seppur possano confluire nell’alveo del medesimo processo, le cause, l’una introdotta dal danneggiato contro il responsabile del sinistro, e quella di garanzia promossa da quest’ultimo contro l’assicuratore della responsabilità civile discendente dal contratto di assicurazione, restano scindibili (cfr. Cass. nn. 12049/03, 13126/97), e il danneggiato non può legittimamente considerarsi parte del rapporto processuale instauratosi per effetto della introduzione dell’altra causa, che resta distinta dalla prima, anche nel caso in cui l’assicurato richieda all’assicuratore di pagare direttamente l’indennizzo al danneggiato, attenendo detta richiesta alle modalità di esecuzione della prestazione indennitaria (cfr. Cass. civ., n. 15039 del 2005). Di conseguenza, il Giudice, nella presente pronuncia, ha fatto buon governo della disciplina codicistica in materia di interpretazione del contratto, indagando e valorizzando la comune intenzione delle parti anche alla luce del loro complessivo comportamento. Al riguardo, vale ricordare che, secondo la costante giurisprudenza del Giudice di legittimità, l’interpretazione del contratto, concretandosi nell’accertamento della volontà dei contraenti, si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo per il caso di insufficienza o contraddittorietà della motivazione, tale da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione, o per violazione di regole ermeneutiche, con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca soltanto nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto vagliati dal predetto giudice di merito (ex plurimis Cass. civ., 2 marzo 1996 n. 1632). Peraltro, è sempre insegnamento giurisprudenziale incontroverso che il controllo sulla motivazione non può in nessun caso comportare il riesame del merito da parte del giudice di legittimità, anche per quanto attiene in particolare la valutazione delle prove (Cass. civ., sez. un. 27 dicembre 1997 n. 13045), mentre, in ogni caso, nella fattispecie concreta la motivazione è del tutto articolata e coerente, fondata su una valutazione completa di tutti gli elementi probatori acquisiti e correttamente vagliati secondo la loro oggettiva valenza e significato. Del resto, come chiarito dalla Corte di Cassazione in materia, secondo la disciplina di cui al d.P.R. 1124/1965, applicabile per il periodo antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 38/2000 (che, all’art. 13, ha inserito il danno biologico nella copertura assicurativa pubblica), l’indennizzo previsto in caso di infortunio sul lavoro si riferisce esclusivamente alla riduzione della capacità lavorativa e, anche in base all’interpretazione della Corte Costituzionale (sentenze n. 319 del 1981, n. 87 e 356 del 1991), non comprende una quota volta a risarcire il danno biologico, atteso che la configurabilità concettuale della duplice conseguenza (patrimoniale e non patrimoniale) del danno alla persona non significa che il diritto positivo prevedesse un “danno biologico previdenziale patrimoniale”. Ne consegue che la richiesta di indennizzo del danno biologico e morale, quali voci non ricomprese nell’assicurazione obbligatoria ma eventualmente risarcibile per il lavoratore infortunato, porta dette voci complementari fuori dal sistema risarcitorio ex artt. 10 e 11 del d.P.R. 1124/1965 e, quindi, per quanto qui interessa, fuori dell’ambito di operatività della polizza che fa riferimento ad una responsabilità civile su questi ultimi espressamente modellata, in luogo di quella codicistica ex art. 2043 c.c.
Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.
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