Innovazioni costituzionali, comunitarie e nazionali nella disciplina dei servizi pubblici locali[1]
1- Innovazioni costituzionali ex lege costituzionale n.3/2001
La riforma costituzionale operata con la legge Costituzionale n.3/2001 ha profondamente modificato il quadro normativo inerente i servizi pubblici locali sotto diversi profili, accentuando il ruolo delle Regioni e degli Enti locali nella materia e modificando i principi generali che riguardano le funzioni amministrative e il riparto delle competenze legislative in tali ambiti tra i soggetti istituzionalmente deputati al presidio del settore dei servizi pubblici.
In tale quadro va subito menzionato l’art.4 della L. 3/2001 che modifica l’art.118 della Cost. il quale prevede che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo, che per esercitare l’esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni a statuto speciale, sulla base dei principi di sussidiarietà, di differenziazione (in relazione alle diverse caratteristiche associative, territoriali, demografiche degli enti locali), di adeguatezza (in relazione all’idoneità organizzativa dell’amministrazione ricevente a garantire, anche in forma associata con altri enti, l’esercizio delle funzioni)[2].
Questi principi hanno assunto rango costituzionale per effetto della Legge n. 3/2001 e particolare rilevanza per la materia dei servizi pubblici ha assunto il principio di sussidiarietà che suggerisce di avvicinare il potere decisionale alla collettività locale della quale devono soddisfarsi i bisogni in alternativa al sistema amministrativo centralista che risulta distante dalle esigenze delle società locali.
Il principio di sussidiarietà si fonda sulla regola in base alla quale l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative avviene, prima di tutto, in favore dell’ente o della Comunità di base, cioè del Comune, e solo successivamente in favore della provincia, della Comunità Montana, della Regione, dello Stato stesso, secondo la dimensione territoriale, associativa ed organizzativa.
Il principio implica che le funzioni amministrative devono essere quindi attribuite all’ente di base, cioè al Comune in via principale e solo per ciò che i Comuni non possono svolgere o realizzare subentra, come ente di sussidio e di aiuto l’altro ente con maggiori dimensioni territoriali, ovvero la Provincia e così via nell’ordine territorialmente di importanza.
Da questo principio deriva che non c’è più l’amministrazione che discende sino al cittadino, ma, al contrario l’amministrazione ha un centro decisionale determinante il più vicino possibile al cittadino, sia sotto il profilo territoriale, sia sotto il profilo delle stesse funzioni amministrative ‘locali’ che vengono sottratte allo Stato con esclusione delle materie di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell’art.117 della Costituzione.
Le innovazioni della disciplina dei servizi pubblici locali derivanti dalla introduzione dei nuovi principi di rango costituzionale si sono intrecciate con le nuove linee direttive fornite dall’ordinamento comunitario e con le interpretazioni evolutive dettate dalla Corte Costituzionale. L’effetto di tali interventi è stato di ridisegnare i confini della nozione di servizio pubblico locale o meglio degli indici rivelatori di tale categoria e allo stesso tempo di modificare le modalità di gestione e di affidamento degli stessi servizi pubblici locali rispetto a quelli previsti negli artt.113 e 113 bis Dlgs 267/2000 (TUEL) introdotti dall’art.35 della L.448/2001 e dalle specifiche leggi di settore che già avevano modificato la disciplina dettata della L.142/1990 trasfusa nel TUEL.
Successivamente la disciplina dei servizi pubblici locali è stata ulteriormente modificata per effetto di importanti interventi legislativi operati mediante l’art. 14 D.L. 269/2003, conv. in L.326/2003 e dall’art.4, comma 234, L. 350 del 2003 intervenute in materia di trasformazione e privatizzazione della amministrazione e delle public utilities.
2- Art.35 legge 448/2001 e titolo V Costituzione (artt.117-118)
L’art.35 della legge 448/2001 (legge finanziaria per il 2002) ha riformato la disciplina dei servizi pubblici locali introdotta dalla legge 142/1990 (art.113.Dlgs 267/2000) restringendo la potestà delle autonomia locali e successivamente è intervenuto il DL 269 del 2003 convertito nella legge 326 del 2003 (art.14) che hanno introdotto modifiche significative all’art.35. L’intervento del legislatore si è rivelato invasivo della autonomia regionale in materia dei servizi pubblici locali in quanto si è rivelato non conforme ai principi di adeguatezza e di proporzionalità a cui deve conformarsi il legislatore statale in attuazione del principio di tutela della concorrenza.
L’art.35 della 448 del 2001 si presenta come norma complessa e restrittiva del principio di sussidiarietà per l’impianto in esso previsto e soprattutto per:
a) il sistema delle gare, le cui modalità sono fissate in modo analitico nella legge;
b) per il divieto per le aziende che gestiscono servizi pubblici locali a concorrere fuori dai loro comuni (art.35 comma 2);
c) per il divieto per le aziende speciali di partecipare alle gare di assegnazione delle gestioni dei servizi pubblici di rilevanza industriale;
d) per la limitazione della discrezionalità dell’Ente locale nella scelta delle forme di gestione del servizio pubblico a rilevanza industriale.[3]
Con l’introduzione del nuovo articolo 118 della Costituzione è stato eliminato tutto il sistema delle deleghe delle funzioni da parte dello Stato alle Regioni e dalle Regioni agli Enti Locali e nel settore dei servizi pubblici locali l’organizzazione in forma decentrata è finalizzata essenzialmente alla soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi in quanto l’ente locale più vicino al cittadino che è identificato nel Comune o nella Provincia è sicuramente l’interprete primario dei bisogni e delle esigenze delle rispettive comunità e pertanto, l’ente si pone come elemento centrale nel sistema dei servizi pubblici.
La centralità attribuita al servizio pubblico a livello locale tuttavia non impedisce allo Stato o alle Regioni di intervenire. Infatti l’art.117 della Costituzione riserva allo Stato la potestà di intervenire in conformità alle proprie competenze in alcuni settori ben specificati, tra i quali la politica economica (lett.e) ed i rapporti internazionali (lett.a).
In ogni caso resta il dato incontestabile secondo cui l’area delle materie di intervento statale risulta notevolmente affievolito dopo la riforma costituzionale.
Il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni secondo il testo costituzionale precedente alla riforma del titolo V attribuiva alle regioni ordinarie la potestà legislativa concorrente nelle materie tassativamente elencate nell’art.117 Cost. nelle quali spettava alle Regioni dettare le norme legislative nel rispetto dei principi e dei limiti fissati con legge statale. Mentre nelle materie non ricompresse nell’elenco veniva attribuita potestà legislativa residuale esclusiva allo Stato il quale poteva mediante legge attribuire, a sua volta, alle Regioni il potere di emanare delle norme attuative.
Il legislatore statale nel nuovo assetto viene ad avere una potestà legislativa residuale con una inversione di rotta rispetto all’assetto vigente in precedenza in cui lo Stato ha sempre avuto un potere di intervento forte a livello generale nei settori economici-produttivi e nelle materie ora attribuite alla potestà legislativa regionale e da tale inversione di tendenza deriva la necessità di riformare tutto il sistema legislativo adeguandolo alla Legge Costituzionale 3/2001 e ridimensionare alcuni interventi legislativi nazionali che risultano invasivi delle prerogative regionali e locali in settori ancora molto statalisti[4].
Emerge in tal modo il secondo profilo di incidenza della riforma del Titolo V della Costituzione sulla disciplina dettata dall’art.113 del D.lgs 267/2000, comma 3, che, appunto, riguarda il netto ampliamento della potestà legislativa delle Regioni in merito alla parte dell’art.113 che prevede che siano le discipline di settore a stabilire i casi di separazione tra l’attività di gestione delle reti e degli impianti e delle attività di gestione dei servizi. Tali normative di settore, a causa della loro natura di norme di dettaglio, rientrano in base alla attuale impianto legislativo nella competenza regionale.[5]
Il nuovo articolo 117 della Costituzione inverte il criterio di riparto delle competenze e investe il legislatore regionale di ampia autonomia legislativa e contiene un elenco tassativo delle materie in cui lo Stato dispone di potestà legislativa esclusiva (comma 2). Fra le varie materie di competenza esclusiva statale vengono menzionate alla lettera p) la legislazione elettorale, organi di governo, e funzioni fondamentali di Comuni e Province e Città Metropolitane; alla lettera e) la tutela della concorrenza che incidono sulla materia dei servizi dei servizi pubblici insieme ad un’altra ‘competenza trasversale’ che è indicata nella lettera m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Nel comma successivo (comma 3) sono elencate le materie di legislazione concorrente[6] nelle quali spetta allo Stato la potestà di determinare i principi fondamentali ed alle Regioni emanare la disciplina di dettaglio. In particolare l’ordinamento dei servizi pubblici locali abbraccia le materie indicate dal costituente nel comma 3 art. 117 Cost. come l’istruzione, l’ordinamento sportivo, il governo del territorio; grandi reti di navigazione e in generale le procedure di produzione, trasporto, distribuzione nazionale dell’energia, valorizzazione dei beni culturali ed ambientali e proprio in tali ambiti quindi gli Enti regionali possono emanare le norme di dettaglio mentre allo Stato spetta dettare norme quadro, principi e criteri generali che le Regioni devono seguire nella normativa di dettaglio sempre nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e internazionale oltre che della Costituzione italiana.
Si profila così un contesto normativo disorganico e non molto chiaro in cui l’art.35 della legge 448/2001 norma della cui legittimità costituzionale si è dubitato sin dalla approvazione nella finanziaria 2002 per la ragione che l’art.117 non menziona i servizi pubblici locali nelle materie di legislazione concorrente né di legislazione esclusiva dello Stato, con la conseguenza che, a parere di una certa dottrina, dovrebbero rientrare nella potestà legislativa esclusiva regionale proprio in virtù dell’art. 117, comma 4, Cost.
La conseguenza della attribuzione alla potestà legislativa regionale della materia di servizi pubblici implica che spetterebbe soltanto alle Regioni legiferare sulla disciplina dei servizi pubblici locali, sulla organizzazione e sulle modalità di gestione, nel rispetto dei vincoli imposti dallo stesso articolo 117 della Cost., ovvero vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Una parte della dottrina favorevole alla conclusione appena menzionata, ha individuato una competenza di natura trasversale rispetto ai servizi pubblici locali, che l’art.117, secondo comma, riserva allo Stato in via esclusiva, ovvero della tutela della concorrenza di cui alla lettera e) e della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lettera m) e funzioni fondamentali di Comuni, Province, Città metropolitane (art. 117 lett.p).
Tuttavia il tema della competenze legislative, regolamentari ed amministrative in merito ai servizi pubblici locali è molto delicato e complesso in quanto da un lato si scontra con la incertezza che in via generale concerne la corretta definizione del riparto delle competenze nelle materie contenute nel Titolo V della Costituzione ( art.117) e dall’altro vi è la circostanza che la materia dei servizi pubblici locali coinvolge interessi sensibili quali i diritti sociali alla cui soddisfazione devono essere finalizzati i servizi pubblici e tocca la tematica della unità giuridica dell’ordinamento visto che il nostro Stato nasce costituzionalmente come ‘Stato sociale’ basato sulla uguaglianza sostanziale e sulla tutela dei diritti fondamentali e dei valori sociali.[7]
In particolare la dottrina ritiene che la materia dei servizi pubblici locali non rientra tra quelle di competenza esclusiva dello Stato di cui all’art.117 comma 2, Cost. e nemmeno tra quelle oggetto di legislazione concorrente di cui all’art.117, comma 3, Cost., pertanto sarebbe facile attribuire le competenze legislative in via esclusiva alla Regione e conseguentemente le competenze regolamentari dividerle tra Regione ed Enti Locali cui spetta la titolarità dei servizi stessi e assegnare le competenze amministrative – regolamentari agli enti locali[8].
Tale postulato è stato alla base di alcuni ricorsi contro l’ art.35 della legge finanziaria 2002. Ad esempio il ricorso della Regioni Basilicata, Emilia Romagna, Toscana, Umbria per presunta illegittimità della norma dovuto al fatto che la disciplina dei servizi pubblici appartiene alla competenza esclusiva delle Regioni.
Le Regioni hanno fondato i propri ricorsi sui seguenti motivi: A) il riferimento alla lettera e) art.117 Cost. non fosse pertinente perché la disciplina dei servizi pubblici locali implica la promozione della Concorrenza che non è riservata allo Stato. B) la lettera m) art.117 Cost. non riguarda i servizi aventi natura industriale ma solo quelli sociali. La competenza statale per i servizi sociali rimane, comunque limitata alla determinazione dei livelli essenziali, e quindi degli standard minimi delle prestazioni, e ciò non preclude la competenza regionale per la disciplina dell’organizzazione del servizio. C) non è pertinente il riferimento alla lettera p) dell’art.117 Cost. perché la gestione del servizio pubblico non è una funzione fondamentale dell’ente locale ma attività esercitata generalmente in concorrenza e quindi, sottratta ad una gestione effettuata con strumenti del pubblico potere.
In sintesi il richiamo alla legislazione concorrente non appare giustificabile in base al riferimento alla finanza pubblica perché l’art. 35 l.448/2001 non produce effetti su tale piano dal punto di vista delle previsioni di bilancio pluriennali.
Inoltre l’art. 35 l.448/2001 è stato ritenuto incostituzionale per violazione dell’art.117 comma 6.
Infatti il comma 16 dell’art.35 della legge 448/2001 rinviava ad un successivo emanando regolamento statale la determinazione delle disposizioni di esecuzione e attuazione della norma e individuazione dei servizi a rilevanza industriale, tuttavia in base all’art.117, comma 6, Cost. spetta allo Stato la potestà regolamentare nelle materie di legislazione esclusiva, tra le quali non rientrano i servizi pubblici locali con conseguente competenza regolamentare regionale e non statale.
Nella pendenza dei suddetti ricorsi contro l’art.35 della legge 448/2001 la norma è stata modificata dall’art.14 del DL 269/2003 e quindi non è intervenuta alcuna sentenza della Corte Costituzionale.
3- L’art.14 DL 269/2003 convertito in legge con modifiche L. 326/2003[9]
La disciplina dei modelli di organizzazione e di gestione dei servizi pubblici locali è attualmente contenuta nell’art.113 dlgs 267/2000 novellato dall’art.14 Dl 269/2003 convertito in L.326 del 2003 (come modificato dalla sentenza 272/2004 della Corte Cost. che ha abrogato art.113 bis) e dall’ art.4, comma 234, L.350 del 2003.
Le norme modificano e abrogano parzialmente l’art.35 L.448/2001 e sostituiscono alla precedente distinzione tra servizi pubblici locali a rilevanza industriale e privi di tale rilevanza la nuova dizione di servizi a rilevanza economica e privi di rilevanza economica.
L’art.14, legge 326/2003, espressamente dispone che le disposizioni in esso contenute concernono solo la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative della disciplina di settore ed è stato impugnato da alcune Regioni che hanno ritenuta la disciplina invasiva della sfera di attribuzioni legislativa regionale ai sensi dell’art.117 della Costituzione
Il giudice costituzionale si è pronunciato con la sentenza n.272/2004 che ha stabilito che la disciplina della gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica rientra nella potestà legislativa statale, in quanto ambito attratto dalla materia-funzione “tutela della concorrenza”, riservata alla competenza esclusiva dello Stato mentre i servizi privi di rilevanza economica sono di competenza regionale, perché con riferimento ad essi non esiste mercato concorrenziale.
Sulla base di tali premesse, la Consulta ha ritenuto costituzionalmente illegittimi l’art.14,comma 1, lettera e) e comma 2 legge n.326 del 2003, nonché conseguentemente, l’art.113, comma 7, secondo e terzo periodo, e l’art.113 bis del Dlgs 267/2000, come lesivi dell’autonomia regionale in materia di servizi pubblici locali, in quanto non effettivamente conformi ai criteri di adeguatezza e proporzionalità secondo cui devono essere valutati gli interventi legislativi statali rispetto all’obiettivo della tutela concorrenza.
In merito ai modelli di gestione per i servizi pubblici di rilevanza economica il comma 5 del nuovo art.113 Dlgs 267/2000 prevede tre modelli per la gestione delle local utilities, stabilendo che l’erogazione del servizio avviene, secondo le discipline di settore e dell’Unione Europea, con il conferimento della titolarità del servizio a[10]:
1) Società di capitali individuate mediante procedure ad evidenza pubblica.
2) Società a capitale misto pubblico e privato nelle quali il socio privato venga scelto mediante gara con procedure ad evidenza pubblica.
3) Società a capitale interamente pubblico a condizione che a) l’ente o gli enti locali titolari del capitale sociale esercitino sulle società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e b) la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.
L’affidamento dei servizi pubblici locali a società di capitali con procedure ad evidenza pubblica mediante gara è rimasta come possibile modello e non più come regola generale ed esclusiva. Infatti l’ordinamento precedente prevedeva la gara come unica possibilità di affidamento dei servizi a rilevanza industriale ora la nuova norma conferma che la titolarità del servizio dovrà essere attribuita a società di capitali individuate attraverso gare pubbliche resta salva la possibilità di affidamento contestuale con unica gara di una pluralità di servizi pubblici locali ad eccezione di quelli di trasporto.
Per la scelta del socio privato nell’ipotesi di affidamento dei servizi a rilevanza economica a società miste è prevista la procedura ad evidenza pubblica mediante gara nel rispetto della normativa sulla concorrenza.
La novità introdotta dal punto 3, comma 5, nuovo art.113 del Dlgs 267/2000 è l’avere previsto l’affidamento diretto o c.d. in house providing a società a capitale interamente pubblico di gestione delle local utilities se 1-gli enti proprietari esercitano un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; 2-la società realizza la parte più importante della propria attività con gli enti proprietari.
Nell’ambito della definizione della figura dell’ in house providing un ruolo importante assumono le numerose pronunce giurisprudenziali comunitarie alle quali sono seguite molteplici sentenze dei giudici nazionali amministrativi e della Cassazione che hanno specificato e circostanziato quanto stabilito dalla Corte di Giustizia con la sentenza “Teckal” che rappresenta la sentenza capostipite in materia. Basta ricordare in merito che secondo la giurisprudenza amministrativa e comunitaria, "per controllo analogo si intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario" (così Cons. Stato, VI Sez., 25/1/2005 n°168, si veda anche Corte Giust. C. E. 18/11/1999, in causa C-107/98).
4. Innovazioni costituzionali e giurisprudenziali sul sistema normativo in materia di gestione di servizi pubblici locali: Sentenza della Corte Costituzionale 27/07/2004 n. 272
Dettagliatamente la Corte Costituzionale nella sentenza 272/204 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale a) dell’art. 14, comma 1, lettera e), e comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, là dove stabilisce, dettagliatamente e con tecnica autoapplicativa, i vari criteri in base ai quali la gara viene aggiudicata, introduce la prescrizione che le previsioni dello stesso comma 7 "devono considerarsi integrative delle discipline di settore", poiché l’intervento legislativo statale risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza; b) dell’art. 113, comma 7, limitatamente al secondo ed al terzo periodo, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali); c) dell’art. 113-bis dello stesso decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267(TUEL) nel testo introdotto dal comma 15 dell’art. 35 della citata legge n. 448 del 2001, poiché si configura come illegittima compressione dell’autonomia regionale e locale, in quanto, relativamente ai servizi pubblici, privi di rilevanza economica, sono inapplicabili i principi comunitari in tema di concorrenza. L’insieme delle disposizioni colpite dai giudici costituzionali è in definitiva da ritenersi lesiva dell’autonomia regionale in materia di servizi pubblici locali, in quanto non effettivamente conformi ai criteri di adeguatezza e proporzionalità secondo cui devono essere valutati gli interventi legislativi statali rispetto all’obiettivo della tutela concorrenza.
Gli effetti della pronuncia della Corte 272/2004 sono stati incisivi nel diritto dei servizi pubblici locali sia sotto il profilo della definizione della nozione di servizio pubblico a rilevanza economica e privo di tale rilevanza e quindi di servizio locale rientrante nell’uno o nell’altro sia sotto il profilo più strettamente inerente alla disciplina applicabile in ordine alle modalità di gestione e di affidamento posto che è stato interamente eliminato l’art.113 bis del TUEL e il comma 7 secondo e terzo periodo dell’art.113 del TUEL con le conseguenze che vedremo. Tuttavia numerose sono le problematiche non risolte dalla sentenza della Corte Costituzionale 272/2004. In particolare:
1) Non si rinviene una definizione dei servizi pubblici privi di rilevanza economica. Il legislatore italiano non affronta il problema e analoga incertezza in merito si rinviene negli indirizzi della Commissione Europea espressi nel Libro Verde 2003 sui servizi di interesse generale che si limita a ribadire il carattere dinamico ed evolutivo della distinzione tra attività economiche e non ma espressamente rileva l’impossibilità di fissare a priori un elenco di tali servizi. (vedi capitolo due della presente tesi di dottorato ).
2) La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea richiamata dalla Corte Costituzionale definisce i servizi privi di rilevanza economica come quelli in cui vi siano “l’assenza dello scopo precipuamente lucrativo, la mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche l’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione” (Corte Giust. CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001). Ma risulta difficoltosa la ricostruzione di tali servizi, infatti, diventa raro individuare dei servizi con tali caratteristiche in conseguenza del fatto che anche modeste attività (vedi il caso delle lampade votive nella sentenza TAR Toscana, sez. II, 28/07/03, n°. 2833 o servizi socio-assistenziali: gestione della comunità alloggio per minori, del centro educativo diurno per minori e della mensa sociale, di assistenza domiciliare in favore di persone anziane e/o svantaggiate, consegna di pasti caldi a domicilio, lavanderia e stireria, nonché gestione del centro di aggregazione per anziani v. recentissimo Consiglio di Stato Sez. V 30.8.2006 n. 5072[11]; anche il servizio pubblico di assistenza e ricovero sanitario rientra tra quelli a rilevanza economica(mentre è servizio strumentale l’allestimento di locali e la fornitura di servizi di tipo alberghiero: TAR Lazio, Sez. III, 9/8/2006 n. 7126; Cass. 22 luglio 2002, n. 10726) assumono rilevanza economica in presenza di soggetti imprenditoriali interessati ad assumerne la gestione, nonché i relativi rischi, in cambio di un compenso determinato (corrispettivo o tariffa) perché presentano il carattere anche solo potenzialmente e astrattamente della redditività e della concorrenzialità sul mercato nel senso di suscettibilità a sviluppare la competizione e produrre profitto.
3) Terzo aspetto si presenta il pericolo di frequenti conflitti tra Stato e Regioni in materia di servizi pubblici. Considerando che difficilmente il legislatore regionale dichiarerà che taluni servizi pubblici (salvo quelli che tradizionalmente sono riconosciuti come tali: gas, energia, trasporti, igiene ambientale e servizio idrico intergrato) siano a rilevanza economica, sottraendoli così alla propria competenza legislativa esclusiva con conseguente probabile proliferare di tale categoria e della potestà regionale e quindi di leggi sempre più settoriali e rispettose delle esigenze locali, almeno si auspicherebbe tale orientamento. Infine 4) quarto aspetto: la Corte, nel dichiarare che la legittimazione dell’intervento del legislatore statale in tema di servizi va ricondotto alla competenza dello Stato in materia di concorrenza e non in tema di “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” ammette che “la gestione dei servizi pubblici non può certo considerarsi funzione propria ed indefettibile dell’Ente locale” con la conseguenza che mediante tale affermazione viene ribadita esplicitamente la sussidiarietà dell’azione dell’Ente locale rispetto al mercato nel settore dei servizi.
4.1 Sentenza Corte Cost 272/2004 ed i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica
Il principale effetto della sentenza della Corte Costituzionale 27 luglio 2004 n. 272 è di avere prodotto una spaccatura nella disciplina dei servizi pubblici locali tra servizi pubblici locali a rilevanza economica e privi di tale rilevanza creando due segmenti autonomi dotati di una propria disciplina [12]. L’interrogativo che si pone per i servizi privi di rilevanza economica è quello di individuare i modelli organizzativi e di gestione di questi servizi visto che la materia esula dalla competenza del legislatore nazionale non ponendosi un esigenza di tutela della concorrenza.
Con riferimento alla disciplina dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica deve preliminarmente osservarsi come l’art. 113-bis del Dlgs 267/2000 (TUEL) nella ultima versione introdotta dall’art. 14, d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. in legge 24 novembre 2003, n. 326) e subito dopo dall’art. 4, comma 234, legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004) introduceva una nuova disciplina per la gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, privilegiando – fatte salve le disposizioni previste per i singoli settori – l’affidamento diretto a:
a) istituzioni;
b) aziende speciali, anche consortili;
c) società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitassero sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzasse la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.
La norma inoltre ammetteva l’affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate, nonché in generale la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non si potesse, perché non era opportuno, procedere all’affidamento esterno dei servizi.
La sentenza della Corte Costituzionale 272/2004 ha completamente caducato l’art.113 bis del TUEL che aveva una origine particolare. Infatti con atto di messa in mora del 26 giugno 2002, la Commissione europea aveva dato avvio nei confronti dello Stato italiano ad una procedura di infrazione, ai sensi dell’art. 226 del Trattato CE, in riferimento all’art. 35 della l. 448/2001 per illegittimità in quanto contraria ai principi comunitari di libera concorrenza e suoi corollari. L’art.113 bis TUEL si inseriva all’interno dell’ originario testo dell’ art. 113 del TUEL dettando una specifica disciplina per i servizi priva di rilevanza economica(precedentemente detti privi di rilevanza industriale). La modifica della normativa introdotta a fine del 2001 con la finanziaria 2002 era stata nuovamente oggetto di osservazione da parte della Commissione Europea che infatti aveva già da tempo (prima ancora della finanziaria 2002) iniziato tale procedimento con riferimento all’art. 22 della legge 142 del 1990 ( poi art.113 TUEL), nella parte in cui questa disposizione disciplinava gli affidamenti di servizi pubblici senza il rispetto dei principi comunitari, in particolare erano state considerate non solo le lett. b), c) ed e) della norma, ma anche la lett. d) relativa all’Istituzione. [13]
La Commissione nel nuovo atto di messa in mora data 26 giugno 2002, evidenziava che l’art. 35 della l. 448/2001 “continua(va) a consentire numerose ipotesi di affidamento diretto dei servizi pubblici locali senza il rispetto” della disciplina comunitaria. Coerentemente con l’impostazione enunciata la Commissione ritenne non conformi a tale disciplina gli affidamenti diretti previsti come regola generale in tema di gestione di servizi pubblici “privi di rilevanza industriale” (art. 113-bis TUEL)[14]
Il Governo italiano di fronte al nuovo atto di messa in mora si difese replicando che l’omessa emanazione del regolamento previsto nell’art.35 per disciplinare dettagliatamente ed applicare quanto stabilito nella stessa norma(…) “avrebbe privato di alcuna pratica e concreta efficacia l’intero disposto dell’art. 35 e che, quindi, in assenza del regolamento di attuazione da esso previsto al comma 16, non sarebbe stato “ammissibile instaurare una sorta di processo alle intenzioni[15]” In secondo luogo, riguardo ai servizi privi di rilevanza industriale si segnalava che avrebbero dovuto rientrarci pure taluni marginali servizi sociali destinati alle categorie deboli[16].
Il Governo italiano a seguito della segnalazione e della procedura di infrazione comunitaria intervenne disciplinando nuovamente la materia dei servizi pubblici locali con la recente normativa introdotta con l’art. 14, D.l. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. in legge 24 novembre 2003, n. 326) e subito dopo con l’art. 4, comma 234, legge 24 dicembre 2003, n. 350. In primo luogo tale normativa eliminava la distinzione fra servizi pubblici locali "di rilevanza industriale" e servizi pubblici locali "privi di rilevanza industriale" sostituendola con quella fra servizi pubblici locali "di rilevanza economica" e servizi pubblici locali "privi di rilevanza economica"
Il giudice costituzionale affronta la problematica questione di chiarire i concetti di rilevanza economica e privi di rilevanza economica e si sofferma non solo sul profilo della compatibilità comunitaria della precedente disciplina ma anche sulla distribuzione delle competenze tra legislatore nazionale e regionale disegnata dalla riforma del Titolo V della Costituzione.
Infatti con la sentenza della Corte Cost. n. 272 del 27 luglio 2004 viene interamente eliminata la disciplina dell’art.113 bis TUEL poiché, a parere della Corte, non si può invocarela tutela della concorrenza e l’inderogabilità della disciplina da parte di norme regionali in riferimento ai servizi "privi di rilevanza economica" previsti dall’art. 113-bis, dal momento che il titolo di legittimazione per gli interventi del legislatore statale costituito dalla tutela della concorrenza non è applicabile a questo tipo di servizi, proprio perché in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale.
Inoltre la Corte richiamando la costante giurisprudenza comunitaria ricorda che i servizi privi di rilevanza economica sono caratterizzati in particolare, a) dall’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, b) dalla mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche c) dall’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione (Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001).
Non si può a priori determinare tali servizi ma il giudice nazionale è il soggetto a cui spetta la competenza di valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato per accertarne la natura, tenendo conto del soggetto erogatore, dei caratteri e delle modalità della prestazione, dei destinatari. Quindi viene valorizzato il ruolo degli Enti locali e si apre un ampio spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche locale.
La Corte, dichiara illegittimo l’art. 14, comma 2, in merito alla disciplina della gestione dei servizi pubblici locali "privi di rilevanza economica", di cui all’art. 113-bis del TUEL, in quanto ritiene che esso non possa essere certamente ricondotto alle esigenze di tutela della libertà di concorrenza e quindi, sotto questo profilo, si configura come illegittima compressione dell’autonomia regionale e locale.
L’effetto della pronuncia è stato prorompente con grande incertezza per gli operatori del diritto e per i giudici chiamati ad applicare la legge in quanto la caducazione dell’art.113 bis ha creato un vuoto normativo non facilmente colmabile posto che i soggetti istituzionali sono chiamati a intervenire (giudici e operatori) rapidamente e coerentemente con le indicazioni della Corte Costituzionale e con i principi comunitari in un settore molto delicato dell’economia e della vita economico-sociale del nostro Paese e che la puntuale distinzione tra servizi a rilevanza economica e privi di rilevanza economica e quindi di servizio pubblico locale rientrante nell’una o nell’altra categoria è l’elemento chiave che delimita in maniera abbastanza netta l’ambito oggettivo della disciplina del novellato art.113 del Dlgs 267/2000 per l’affidamento della gestione ed erogazione dei servizi pubblici locali.
Un utile criterio inoltre per mettere ordine ed individuare i servizi privi di rilevanza economica discende dalla esistenza per questi servizi di normative speciali che gia prevalevano sul disposto dell’art 113 bis del TUEL in virtù dell’inciso del comma 1 che appunto richiamava e faceva salve espressamente tali disposizioni e le singole discipline settoriali.
Vi è anche da considerare che l’ambito di applicazione del regime dei servizi pubblici locali sociali (…) si è nel tempo drasticamente ristretto a causa dell’entrata in vigore di una serie di provvedimenti settoriali (statali e regionali) che ne hanno previsto delle specifiche e distinte forme di gestione per l’esercizio di tali servizi[17].
Le normative di settore già numerose prima della emanazione del testo unico degli enti locali hanno continuato a proliferare anche successivamente e tutt’ora in vigenza del TUEL, numerose normative quali quelle che si sono sviluppate per il terzo settore (v. la legge sul volontariato n. 266/91, quella sulle cooperative sociali n. 381/91 modificata dalla legge 52/96 e, infine, quella sull’associazionismo n. 383/2000) dettano disposizioni di principio che le regioni, a loro volta, hanno reso operative con linee di attuazione, per gli enti locali, in ordine alla gestione dei servizi stessi.
Nel dettaglio esse prevedono in particolare ad esempio il ricorso alle convenzioni come provvedimento mediante il quale viene a costituirsi un rapporto bilaterale che funge da atto di regolamentazione con il contraente selezionato attraverso forme che non rientrano nelle procedure di evidenza pubblica né nelle altre forme menzionate del TUEL[18] e ciò discende dall’essere servizi che non si devono svolgere in regime di libera concorrenza perché non esiste un mercato di riferimento.
Tuttavia è curioso osservare che le regole di settore per i servizi privi di rilevanza economica molto spesso vanno al di là dei modelli che prevedeva l’art.113 bis (affidamento diretto se l’ente affidatario era una sorta di longa manus dell’ente locale affidante-controllante e sussistono i requisiti dell’in house providing: subordinazione gerarchica, controllo, prevalenza dell’attività svolta dall’affidatario per l’ente controllante[19] c.f.r.TAR Sardegna, sez. I, 2/8/2005 n. 1729).
Spesso le leggi di settore istituiscono forme di confronto concorrenziale tra gli aspiranti aggiudicatari del servizio[20] in questo modo continua a farsi ricorso alla esternalizzazione dei servizi che viene contemplata dalle norme di carattere speciale che regolano quella tipologia di servizi. Un esempio potrebbe essere l’affidamento dei servizi sociali, sportivi e culturali.
Nonostante la riforma dell’art. 113 bis TUEL fosse ispirata al principio dell’in house providing non discostandosi poi molto dalla disciplina dettata dall’art.113 TUEL per i servizi a rilevanza economica[21], la normativa di settore molto spesso, al contrario, si discosta dall’art. 113 bis TUEL, ora caducata dalla Corte Cost., e recepisce lo strumento dell’affidamento ai terzi come criterio generale salvaguardando ed evidenziando il principio della sussidiarietà.
Infine una ultimo problema in ordine al regime applicabile ai servizi privi di rilevanza economica si pone, in particolare, per quei servizi che non sono disciplinati da leggi statali o regionali di settore.
In tal caso, senza ombra di dubbio, continueranno a trovare applicazione le disposizioni di carattere speciale regolanti il servizio.
Qualora, invece, il servizio non risulti disciplinato da alcuna disciplina di settore, statale o regionale, né la regione abbia adottato una disciplina generale in materia, “..ci dovrebbe essere dunque spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche locale”.
Quindi in assenza di previsioni statali di settore, ovvero generali o settoriali regionali, gli enti locali, nell’esercizio del proprio potere organizzativo, vedranno il ventaglio della scelta delle forme organizzative.
E’ stato osservato come: “Nel nuovo quadro normativo, gli enti locali risultano quindi legittimati a ricorrere a più forme organizzative per la gestione dei servizi privi di rilevanza economica, anche se non previste direttamente dal D.Lgs.267/2000.
Legittimamente potrà essere costituita, allora, un’istituzione, ma anche un’azienda speciale, figure entrambe disciplinate dall’art.114 D.lgs.267/2000.
Qualora più enti locali intendano addivenire alla gestione associata di uno o più servizi, potrà inoltre essere utilizzato il modello del consorzio, ai sensi dell’art.31 D.Lgs.267/2000.
Deve ritenersi, altresì, consentita la gestione in economia.
Un discorso a sé merita la forma societaria.
All’interno del D.Lgs.267/2000, l’unica norma legittimante la gestione di servizi pubblici locali, economici o non economici, tramite società è ravvisabile nell’art.115 D.Lgs.267/2000 (come evoluzione organizzativo del modello azienda speciale), a cui va ad aggiungersi la particolare ipotesi gestionale prevista dal successivo art.122 , in materia di lavori socialmente utili, di cui all’art. 4, commi 6, 7 e 8, D.L.31/01/1995, n. 26, conv. con L.29/03/1995, n.95[22] “.
L’utilizzo della forma societaria risulta problematico osserva l’autore, sotto un altro profilo che già la Consulta aveva individuato evidenziando che ” i servizi privi di rilevanza economica si caratterizzano per l’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, per la mancata assunzione dei rischi connessi all’attività e per l’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione, e se quindi la particolarità dei bisogni perseguiti richiedono un soddisfacimento diverso dall’offerta di beni o servizi sul mercato” e quindi il modello societario potrebbe essere inidoneo per la gestione di tali servizi sia se Stato optasse per la gestione diretta sia se preferisse per alcuni servizi mantenere un’influenza determinante.
Analoghe perplessità potrebbero, in vero, sollevarsi con riferimento all’azienda speciale e al consorzio, tipici enti pubblici economici, dotati di autonomia imprenditoriale.
Potrebbe trovarsi una chiave di volta dalle indicazioni della Commissione Europea “seguendo le indicazioni espresse dalla Commissione Europea nel Libro Verde sui servizi d’interesse generale (per cui i servizi non economici sono caratterizzati dal fatto che, per motivi di interesse generale, lo stato preferisce provvedervi direttamente o sui quali intende mantenere una posizione dominante), devono però ritenersi compatibili con la gestione di servizi non economici, non tutte le forme societarie, ma i soli modelli che costituiscono espressione della gestione diretta dei servizi pubblici locali da parte dell’ente locale” Pertanto “gli enti locali potranno, quindi, legittimamente provvedere alla costituzione di società a capitale interamente pubblico, purché sussistano le condizioni previste per l’affidamento diretto del servizio, dedotte dalle argomentazioni contenute nella sentenza capostipite sul punto c.d. ‘sentenza Teckal’ e riprodotte nello stesso art.113, comma 5, lett.c), D.Lgs.267/2000”. In merito invece alle società mista secondo la giurisprudenza interna, il modulo organizzativo della società mista risulta compatibile con l’affidamento cd. in house del servizio pubblico, in quanto tra comune e società viene ad istaurarsi un rapporto di delegazione interorganica che fa sì che quest’ultima divenga ente strumentale del comune[23] .
Anche il Consiglio di Stato è intervenuto sostenendo che “Il modulo gestorio dell’affidamento del servizio pubblico ad una società per azioni, a capitale misto, appositamente costituita dall’ente locale, esimendo quest’ultimo dallo svolgimento di una selezione pubblica per la scelta del gestore, va qualificato come gestione diretta del servizio da parte dell’Ente locale (Consiglio di Stato Sez. V, 19 febbraio 1998, n.192), assimilabile all’affidamento c.d. in house di matrice comunitaria, e che il fondamento della sua attribuzione senza gara dev’essere rinvenuto negli atti costituivi della società ed in quelli di selezione del socio privato”. Consiglio di Stato, Sez. V, 30/6/2003 n. 3864. In merito è recentemente intervenuta la Corte di Giustizia Europea, secondo cui “La partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi”. (Sentenza della Corte di giustizia europea, Sez. I, 11/1/2005 n. C-26/03).
4.2.Possibili conclusioni sulla gestione mediante modulo societario
Seguendo la posizione del giudice europeo, dovrebbe quindi escludersi il modello della società mista per la gestione dei servizi privi di rilevanza economica. Analoghe perplessità, dovrebbero, in vero, sollevarsi relativamente alla concessione, laddove diversa disposizione non sia rinvenibile all’interno della normativa di settore.
Un’altra soluzione prospettabile potrebbe essere il ricorso a forme organizzative non citate dal D.Lgs. 267/2000 che potrebbero trovare la legittimazione nell’art.11 codice civile, cioè nella capacità di diritto privato dell’ente locale
Una idea potrebbe essere il ricorso al modello della fondazione e dell’associazione, già oggetto di previsione nell’abrogato art.113 bis, e particolarmente diffuse nella prassi per la gestione di servizi di tipo culturale.
Il ricorso dell’ente a tali figure soggettive di diritto privato deve in ogni costruirsi garantendo la congruità tra la causa della forma giuridica e la logica del servizio gestito affinché il modello prescelto configuri una modalità di gestione diretta del servizio.
5. Sentenza Corte Cost 272/2004 servizi pubblici locali ‘ di rilevanza economica ‘ e giurisprudenza nazionale sulla rilevanza economica
Con riferimento ai servizi che assumono rilevanza economica l’interrogativo che sorge dalla lettura della sentenza 272/2004 è di individuare i limiti al potere legislativo della regione e comprendere che tipo d’intervento il legislatore regionale sia legittimato ad effettuare nel rispetto del nuovo quadro costituzionale e degli obblighi comunitari ed internazionali. Infatti “la gestione di detti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria e indefettibile dell’ente locale” e della determinazione dei livelli minimi inerenti le prestazioni essenziali a tutela dei diritti civili e sociali (perché “riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali”) mentre sembra plausibile ritenere che essa attenga piuttosto alla materia “trasversale” della tutela della concorrenza[24].
Argomentando la tesi sostenuta dalle regioni nell’impugnativa della normativa statale per illegittimità costituzionale perché destinata, non a tutelare la concorrenza, ma a creare artificialmente tali condizioni all’interno di in mercato monopolistico, la Corte Costituzionale ha accolto una nozione estesa della materia “tutela della concorrenza”, comprendente anche interventi normativi diretti a promuovere situazioni di concorrenza.
Questo vuol dire che la materia della tutela della concorrenza, deve essere interpretata sia in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche nella sua dinamica che appartiene proprio al diritto comunitario e che ha determinato la adozione di misure pubbliche (interventi regolatori) volte a ridurre squilibri ed inefficienze e a favorire le condizioni per un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali (Corte Costituzionale sentenza n. 14 del 2004)
Il concetto di concorrenza accolto dal legislatore interno corrisponde, infatti, alla nozione comunitaria di concorrenza, che include gli interventi regolativi, la disciplina anti-trust e le misure destinate a promuovere un mercato aperto.
Alla luce di tali conclusioni, risultano legittime le disposizioni contenute nell’art.14 D.L.269/2003 nella misura in cui esse siano appartenenti alla tutela e/o promozione della concorrenza nel senso che sono volte alla creazione e sviluppo di situazioni di concorrenzialità all’interno di un mercato che è ancora di impronta ampiamente monopolistica.
Spetta quindi al giudice costituzionale individuare le disposizioni legittime senza spingersi a sindacarne il merito e tale giudizio ha portato la Corte a dichiarare fondate le censure di legittimità dell’art. 113, comma 7, D.Lgs.267/2000, che in maniera troppo dettagliata e con tecnica autoapplicativa definiscono i vari criteri in base ai quali la gara deve essere aggiudicata[25] con la conseguenza che l’intervento statale è invasivo della competenza della regione.
Al contrario sono legittime le norme contenute nell’art.113 D.Lgs.267/2000, in tema di gestione di servizi di rilevanza economica, perché rispettose del principio della concorrenza e sono effettivamente finalizzate alla creazione di condizioni di concorrenzialità ( lo ribadisce il comma 1 dell’art.113). Tali norme concernono la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore.
5.1.Evoluzione della giurisprudenza nazionale sui servizi a rilevanza economica
Per i servizi a rilevanza economica la giurisprudenza nazionale della Suprema Corte di Cassazione nonché il Consiglio di Stato ed i Tribunali Amministrativi richiamandosi ai principi fissati dalla Cassazione sul servizio pubblico e della UE per servizi di rilevanza economica hanno svolto un ruolo determinante nella individuazione di una vasta tipologia di servizi a rilevanza economica sulla base delle circostanze concrete e caratteristiche economiche del mercato.
L’evoluzione giurisprudenziale amministrativa nazionale più recente : (ex pluribus TAR Puglia, Bari, sez. I, 12/4/2006 n. 1318, TAR Sardegna sez. I 2.8.2005 n.1729 e Consiglio di Stato Sezione V 22.12.2005 n.7345 nonché la recente sentenza TAR Lazio Sez. II 23.8.2006 n.7373 e Consiglio di Stato Sez. V 30.8.2006 n.5072). E sempre in tale orientamentogiurisprudenziale si inserisce inoltre quanto èstato puntualizzato “in assenza di una disposizione legislativa che fornisca la definizione dei servizi pubblici locali, devono essere ricostruite in via interpretativa la nozione di servizio pubblico locale di rilevanza economica e, per converso, quella di servizio privo di siffatta rilevanza. Gli “indici rivelatori” in ordine alla rilevanza economica dei servizi pubblici locali possono desumersi dai principi comunitari che informano la materia e dagli interventi della Commissione Europea in merito. (TAR Puglia, Bari, sez. I, 12/4/2006 n. 1318) L’ordinamento comunitario distingue tra i servizi di interesse economico generale ed i serviziordinari per il fatto che i primi devono essere garantiti con carattere di continuità, mediante l’imposizione di obblighi di servizio pubblico, anche quando essi non siano economicamente remunerativi e, pertanto, il mercato non sia sufficientemente incentivato a provvedervi da solo.
Ciò non esclude che il mercato e la concorrenza possano costituire, di regola, la formula migliore per gestire anche tali servizi (tant’è che, ai sensi del citato art. 86 comma 2 del Trattato CE, le imprese che ne sono incaricate sono senz’altro sottoposte alle regole di concorrenza), salvo il caso che, per il fatto di non essere remunerativi, il mercato non consenta concretamente di assolvere alla loro specifica missione e si renda pertanto indispensabile il riconoscimento di diritti speciali o esclusivi.(TAR Puglia, Bari, sez. I, 12/4/2006 n. 1318). Ritiene il Collegio , dunque che la distinzione tra servizi di rilevanza economica e servizi privi di tale rilevanza sia legata all’impatto che l’attività può avere sull’assetto della concorrenza ed ai suoi caratteri di redditività, con la conseguenza che deve ritenersi di rilevanza economica il servizio che si innesta in un settore per il quale potrebbe esistere -quantomeno potenzialmente- una redditività, e quindi una competizione sul mercato e ciò ancorché siano previste forme di finanziamento pubblico, più o meno ampie, dell’attività in questione. Di converso, può essere considerato privo di rilevanzail servizio che, per sua natura o per i vincoli ai quali è sottoposta la relativa gestione, non dà luogo ad alcuna competizione e, quindi, appare irrilevante ai fini della concorrenza. In altri termini, se il settore di attività è economicamente competitivo e la libertà di iniziativa economica consente di conseguire anche gli obiettivi di interesse pubblico sottesi alla disciplina del settore, al servizio dovrà riconoscersi rilevanza economica ai sensi dell’art. 113 del D.Lgs 267/2000, mentre, in via residuale, il servizio potrà essere qualificato come privo di rilevanza economica nel caso in cui non sia possibile riscontrare i caratteri che connotano l’altra categoria (cfr. T.A.R. Liguria II Sez., 28/4/2005 n°527).
5.2.Una ricostruzione della disciplina dei Servizi di rilevanza economica
In ordine ai Servizi di rilevanza economica la loro disciplina è dettatadall’art.113 D.Lgs.267/2000 precisamente dalle previsioni che in termini generali sono inerenti le modalità di gestione e l’affidamento dei servizi pubblici locali, mentre sono incostituzionali quelle norme che, disciplinando dettagliatamente aspetti che hanno carattere applicativo e quindi esulano dalla disciplina di tale genere e risultano sproporzionate ed inadeguate rispetto all’obiettivo statale della tutela della concorrenza.
L’art. 14 D.L. 269/2003, conv. in L.326/2003 (e quindi l’art.113 D.Lgs.267/2000) viene considerato sostanzialmente una norma-principio della materia, che potrà essere un criterio guida per interpretare le stesse disposizioni impugnate e per regolare il rapporto della normativa generale con le normative di settore dal momento che “la disciplina stessa contiene un quadro di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale”. Mediante tale orientamento la Corte delimita lo spazio riservato alla competenza legislativa della regione in materia risolvendo la annosa questione.
Non vi è nel nuovo quadro costituzionale sotto tale specifico aspetto un grosso stravolgimento rispetto al sistema precedente alla legge 1/2001 in ordine al potere legislativo regionale relativamente ai servizi pubblici locali di rilevanza economica[26]
In buona sostanza la regione è tenuta a limitare il proprio intervento ad una regolamentazione di tipo integrativo e di dettaglio delle previsioni generali di derivazione statale, lasciando, nel contempo, un adeguato spazio al potere organizzativo degli enti locali.
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Luisa Capicotto Avvocato
Dottore di ricerca diritto Pubbl. dell’Economia e delle imprese -Università di Pisa
Socio AGEIE
[1]Il presente lavoro ripropone in piccola parte e amplia l’analisi svolta dalla autrice nella tesi di dottorato in Diritto pubblico dell’economia e delle imprese presso Università di Pisa consegnata nel mese di ottobre 2006 intitolata “La disciplina dei servizi pubblici locali. Innovazioni nelle fonti comunitarie-costituzionali e nazionali”.
[2] Capicotto L.‘’Autonomia Finanziaria delle Regioni e degli Enti locali tra vecchio e nuovo art.119 della Costituzione: effetti sul sistema dei controlli di gestione nelle pubbliche amministrazioni e sulla riforma della contabilità pubblica ’’, pubblicato nella raccolta degli atti del convegno ‘’Le linee di Riforma dei Bilanci Pubblici’’, a cura della professoressa Cavallini, Giappichelli, Torino. Convegno organizzato dalla facoltà di giurisprudenza di Cagliari il 7-8-giugno 2002.
[3] Sull’art.35 della legge 448/2001 si veda Losco V.”La riforma dei servizi pubblici locali secondo l’art.35 della legge finanziaria del 2002” in Economia Pubblica n.3/2003; Si veda anche sul tema Perfetti L.R : “ I servizi pubblici locali .Riforma del settore operata dalla legge 448 del 2001 possibili profili i evolutivi”, in Dir Amm.2002 p.575 ss
[4] Si veda per una trattazione generale AAVV ”I servizi pubblici locali” Cosa e Come della Giuffrè edizione 2004;
[5] Sul riparto delle competenze legislative, regolamentari ed amministrative tra Stato ed Enti Locali in base al principio di sussidiarietà verticale e quindi individuazione delle fonti normative abilitate a determinare la nuova disciplina si veda Caravita B La Costituzione dopo la riforma del Titolo V, Stato, Regioni, autonomie fra Repubblica ed Unione federale Torino 2002. Mangiameli La riforma del regionalismo italiano, Torino 2002, Pizzetti F. il nuovo ordinamento italiano fra riforme amministrative e riforme costituzionali, Torino 2002. Poggi A. Le autonomie fra sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale,.Milano 2002.
[6] Sulla competenza in materia di servizi pubblici locali dopo la riforma del titolo V della Costituzione si veda Zito A. “I Riparti di competenze in materia di servizi pubblici locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, pubblicato tra gli scritti in onore di G.Berti tratto dal Convegno sulla riforma dei servizi pubblici locali- Roma 15 0ttobre 2002.
Cammelli M., Amministrazione ed interpreti davanti al nuovo titolo V della Costituzione in Le Regioni 2001 p.1273.
Moscarini A., Competenza e sussidiarietà nel sistema delle Fonti, Padova 2003 e sulle funzioni amministrative; Follieri E, Profili amministrativi nella individuazione delle materie di cui all’art.117 Cost., in AIPDA Annuario 2002 Milano 2003 p.479.
[7] Sul punto si veda Berti G, I pubblici servizi tra funzione e privatizzazione, in Jus 1999 p.867 ss;
Pastori G Diritti e Servizi oltre la crisi dello Stato Sociale, in scritti in onore di V.Ottaviano I Milano 2003 p,1082 sulla tematica dello Stato sociale e dei servizi pubblici.
[8] Sul tema dell’inquadramento delle materie non ricompresse nell’elenco dell’art.117 e loro inquadramento, si veda in dottrina Gallo G. Le Fonti del diritto nel nuovo ordinamento regionale Torino 2001.
Torchia La potestà legislativa residuale delle Regioni in Le Regioni 2002 p.343
[9] Sulla novità introdotte dall’art.14 DL 269/2003 convertito in legge con modifiche L. 326/2003[9] si veda CAPICOTTOL.‘’Novità introdotte dalla finanziaria del 2004 e dall’art.14 del DL 269/2003 in merito a: A) modelli di gestione e affidamento dei servizi pubblici locali; B) modelli di gestione delle reti e degli impianti; C realizzazione dei lavori connessi alla gestione della rete. Solo spiragli di Concorrenza? Pubblicato nel 2004 sul sito www.covalori.net ( link contributi) anno 2004.
[10] In poche parole la scelta è rimessa alla potestà discrezionale dell’ente locale titolare del servizio, il quale potrà scegliere la strada più conservatrice, mantenendo ancora in vita le società pubbliche e dunque non favorire la concorrenza in casa propria oppure potrà percorrere la strada più favorevole alla concorrenza. Resta la facoltà delle normative di settore di introdurre delle deroghe e dei criteri di gradualità nella scelta delle modalità di conferimento del servizio al fine di assicurare il superamento degli assetti monopolistici e favorire la concorrenzialità del mercato dei servizi.
[11] Ribadisce il Consiglio di Stato una sentenza precedente chiarificatrice sul punto del TAR Sardegna: “La distinzione tra servizi pubblici di rilevanza economica e servizi privi di tale rilevanza è legata all’impatto che l’attività può avere sull’assetto della concorrenza ed ai suoi caratteri di redditività; di modo che deve ritenersi di rilevanza economica il servizio che si innesta in un settore per il quale esiste, quantomeno in potenza, una redditività, e quindi una competizione sul mercato e ciò ancorché siano previste forme di finanziamento pubblico, più o meno ampie, dell’attività in questione; può invece considerarsi privo di rilevanza quello che, per sua natura o per i vincoli ai quali è sottoposta la relativa gestione, non dà luogo ad alcuna competizione e quindi appare irrilevante ai fini della concorrenza.
[12] Franchi Scarselli G. La gestione dei servizi culturali tramite fondazione,in www.Aedon.Mulino.it,n.1/2002
[13] Sciullo, I servizi culturali degli enti locali nella finanziaria per il 2002, in www.aedon.mulino.it, n. 1/2002 per alcune riflessioni sul tema in esame.
[14] In particolare pp. 27,28 dell’atto di messa in mora della Commissione
[15] pp. 9 e 10 op.sopra cit.
[17] Franchi Scarselli G. o.p. cit.
[18]Ad esempio la giurisprudenza amministrativa ha qualificato la Gestione di una casa di riposo comunale come servizio pubblico locale di rilevanza sociale. VedasiTAR Marche, 24/5/2004 n. 317
[19] Secondo una recentissima sentenza del Consiglio di Stato Sez. V, 30/8/2006 n. 5072, che conferma l’orientamento precedente ormai consolidato: “ in base all’art. 113, c. 5 lett. c), del D. Lgs. n°267/2000, anche la gestione dei servizi di rilevanza economica può essere affidata senza gara "a società a capitale interamente pubblico", ma ciò, "a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano" (c.d. affidamento in house providing). Secondo la giurisprudenza amministrativa e comunitaria, "per controllo analogo si intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario" (così Cons. Stato, VI Sez., 25/1/2005 n°168, si veda anche Corte Giust. C. E. 18/11/1999, in causa C-107/98).
[20] Franchi Scarselli G. o.p. cit
[22] Per una ampia trattazione: si veda: Caroselli A. “Gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale 27/07/2004, n. 272 sul sistema normativo in materia di gestione di servizi pubblici locali” in www.dirittodeiservizipubblici.it del 17.2.2005
[23] TAR Campania, Salerno, Sez. I, 6/11/2003 n. 1494.
[24]G.Sciullo “Stato, Regioni e servizi pubblici locali nella pronuncia n. 272/04 della Consulta”, pubblicato. sulla rivista telematica: lexitalia.it, 7-8/2004. , recentemente, G.Marchi, I servizi pubblici locali tra potestà legislativa statale e regionale, su Giornale di diritto amministrativo, 1/2005.
[25] ) Il comma 7 dell’art.113 ormai caducato disponeva : “ La gara di cui al comma 5 è indetta nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla competente Autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti locali. La gara è aggiudicata sulla base del migliore livello di qualità e sicurezza e delle condizioni economiche e di prestazione del servizio, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale. Tali elementi fanno parte integrante del contratto di servizio. Le previsioni di cui al presente comma devono considerarsi integrative delle discipline di settore .”
[26] Con riferimento al quadro normativo antecedente alla L.C.3/2001, cfr, M.Dugato, Le società per la gestione dei servizi pubblici locali, Il ruolo della legge regionale, Ipsoa, 2001, pagg.48 e ss..
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