(Ricorso rigettato)
(Normativa di riferimento: D.lgs., 9 aprile 2008, n.81)
Il fatto
La Corte di Appello di Milano confermava la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Como nei confronti di R. L. E., in relazione al reato di cui all’art. 590, commi 1,2 e 3, cod. pen. commesso in … il ….
All’imputato si era contestato, in qualità di Amministratore Unico della A. R. S. s.r.I., di aver cagionato alla lavoratrice S. A. lesioni personali per non aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all’art.70 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, con particolare riferimento all’utilizzo di bicchieri di vetro per la distribuzione di bevande, per non aver provveduto affinchè il luogo di lavoro fosse conforme ai requisiti di sicurezza di cui all’Allegato IV del d.lgs. n. 81/2008, con particolare riguardo al pavimento della zona retro-bancone non dotato di copertura antisdrucciolo, per non aver fornito alla lavoratrice i dispositivi di protezione individuale, segnatamente le scarpe antiscivolo, per non aver valutato tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Nella fattispecie in esame, il fatto veniva così ricostruito nelle fasi di merito: la sera tra il 31 ottobre ed il 1 novembre S. A., il cui datore di lavoro era il R., stava lavorando presso il locale pubblico «…» con mansioni di cameriera e barista assunta con contratto a tempo determinato dal mese di febbraio 2010, rinnovato ad ottobre 2010; mentre si trovava sulla pedana dietro il bancone, dopo aver depositato i bicchieri nella lavastoviglie, si stava avviando verso la sala quando era scivolata sulla pedana bagnata; nel cadere all’indietro, aveva battuto il polso sinistro sul piano d’acciaio, sul quale si trovava un bicchiere rotto; era stata, successivamente, sottoposta ad intervento chirurgico per lesione del nervo ulnare e dell’arteria ulnare con flessione ulnare del carpo, riportando un’invalidità permanente pari al 18%.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
L’imputato ricorreva per cassazione censurando la sentenza impugnata, con unico motivo, per carenza di motivazione, motivazione apparente, motivazione manifestamente illogica e contraddittoria rispetto allo specifico elemento probatorio della testimonianza di C. S., violazione e falsa applicazione dell’art. 581 lett. c) e 606 cod.proc.pen.
Secondo il ricorrente, in particolare, la credibilità della persona offesa avrebbe dovuto imporre maggior rigore argomentativo, trattandosi di parte portatrice di interessi confliggenti con quelli dell’imputato in quanto percettrice di una somma pari a 123.000,00 euro, liquidata a titolo risarcitorio dall’assicuratore prima del processo.
Al riguardo si osservava che l’argomentazione decisoria secondo la quale la S. sarebbe stata credibile per aver mantenuto sempre la stessa versione dei fatti sarebbe stato autoreferenziale e avrebbe celato una motivazione apparente, laddove la diversa dinamica descritta dalla testimone C. non avrebbe consentito alla persona offesa di ottenere il risarcimento del danno in quanto avrebbe provato l’ascrivibilità dell’evento in via esclusiva alla lavoratrice caduta perché portava una pila di bicchieri troppo alta.
Si assumeva inoltre come l’attività investigativa sarebbe stata carente e tardiva nonché la sentenza sarebbe stata manifestamente contraddittoria nel punto in cui aveva valutato quale riscontro alle dichiarazioni della persona offesa le testimonianze di chi non aveva assistito alla dinamica dell’infortunio.
Su segnalava infine come l’inattendibilità della teste C. fosse stata valutata in considerazione del tempo trascorso tra l’incidente e la sua audizione in contraddizione con il fatto che anche gli altri testimoni fossero stati sentiti un anno dopo l’evento.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
La Cassazione stimava il ricorso infondato alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si evidenziava prima di tutto come la Corte di Appello: a) avesse richiamato gli argomenti spesi dal giudice di primo grado per affermare l’attendibilità della persona offesa, non costituita parte civile in quanto già interamente risarcita e ritenuta e, per tale ragione, non portatrice di interessi personali; b) avesse rimarcato il tempo trascorso tra l’evento e la deposizione resa da C. S. a fronte dell’immediata e dettagliata versione dei fatti fornita dalla persona offesa e del riscontro offerto dalle dichiarazioni degli altri testimoni; c) avesse ribadito la sussistenza di plurimi profili di colpa a carico dell’imputato replicando alle doglianze difensive in punto di valutazione della prova testimoniale; d) avesse analizzato con cura le dichiarazioni della persona offesa anche alla luce dei riscontri esterni forniti dalla prova testimoniale, e segnatamente la circostanza che il pavimento dietro il bancone fosse a volte bagnato e che in passato altri dipendenti fossero caduti, o che i bicchieri si fossero rotti in altre occasioni e, al contempo, avesse smentito l’attendibilità della versione difensiva rimarcando come nessun testimone avesse dichiarato che, al momento della caduta, vi fossero bicchieri rotti in terra e che, anzi, il teste Z. avesse escluso con certezza la presenza di cocci di vetro sul pavimento.
Posto ciò, il Supremo Consesso, a fronte del fatto che la Corte di Cassazione avesse più volte enunciato, anche a Sezioni Unite, il principio secondo il quale le dichiarazioni della persona offesa possono essere poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato e, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez.U, n.41461 del 19/07/2012, omissis, Rv. 25321401), faceva presente come la Corte di Appello avesse, tuttavia, fornito adeguata e congrua motivazione circa l’attendibilità della persona offesa, ancorchè nel caso in esame non fosse costituita parte civile, indicando gli elementi di riscontro emergenti dall’istruttoria.
I giudici di Piazza Cavour facevano al contempo presente come, al di là di quanto sin qui esposto, l’infondatezza del ricorso risiedesse, piuttosto, nella conformità della pronuncia al principio secondo il quale l’inosservanza da parte del lavoratore di precise norme antinfortunistiche, ovvero la sua condotta contraria a precise direttive organizzative ricevute, non esclude la responsabilità del datore di lavoro qualora l’infortunio risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza dal medesimo datore adottate (Sez.4, n.3455 del 03/11/2004, dep. 2005, omissis, Rv.23077001) e, in tale prospettiva, osservava la Corte nella pronuncia in commento, il rilievo per cui l’imputato avesse omesso di sistemare la pavimentazione con presì di antisdrucciolo rappresentava una motivazione idonea a fondare un giudizio di responsabilità per non avere il datore previsto il rischio né adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alle particolarità del lavoro.
Tal che la Corte, come già accennato in precedenza, rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Conclusioni
La sentenza è sicuramente condivisibile in quanto si allinea lungo il solco di un pregresso orientamento nomofilattico con cui era stato parimenti asserito che l’inosservanza da parte del lavoratore di precise norme antinfortunistiche, ovvero la sua condotta contraria a precise direttive organizzative ricevute, non esclude la responsabilità del datore di lavoro qualora l’infortunio risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza dal medesimo datore adottate.
Da ciò deriva che è sconsigliabile una linea difensiva che si incentri esclusivamente sul fatto che il lavoratore non abbia osservato la normativa vigente in materia antinfortunistica, senza che a ciò si provi pure che il datore di lavoro abbia adottato tutte le misure di sicurezza del caso per evitare il verificarsi dell’infortunio.
Solo in questo modo, difatti, può essere garantita una valida strategia difensiva a favore del datore di lavoro ove si verifichino casi di questo tipo.
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