Commette il reato previsto dall’articolo 392 c.p. il condomino che installa un cancelletto metallico ad un pilastro portante del palazzo per ostacolare il passaggio tra le parti comuni degli altri condomini.
riferimenti normativi: art. 392 c.p.
precedenti giurisprudenziali: Cass. pen., Sez. VI, Sentenza del 21/02/2017, n. 25262
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Indice
1. La vicenda: ostacolo all’accesso di aree comuni
Un condomino, pur potendo ricorrere al giudice, al fine di esercitare il preteso diritto ad impedire l’accesso in un’area asseritamente di privata pertinenza, installava un cancelletto metallico nel seminterrato, fissato su un pilastro portante dell’edificio, così impedendo, in ragione della preesistente situazione di fatto protrattasi nel tempo, il più agevole passaggio ai condomini (tra i quali la parte civile) tra diverse zone di proprietà comune, in tal modo costretti, per transitare da quelle zone, ad aprire ogni volta la basculante generale per l’accesso alla zona dei garage. Per questo comportamento veniva condannato in relazione al reato di cui all’art. 392 c.p., sia dal Tribunale sia Corte di appello della sua città. Il condannato ricorreva in cassazione lamentando un’errata valutazione delle prove che riteneva idonee a dimostrare che il cancelletto di chiusura, menzionato nel capo d’imputazione, era stato apposto in un’area di esclusiva proprietà dello stesso ricorrente e non anche in una zona condominiale; inoltre non riteneva sussistenti gli elementi costitutivi del contestato reato (e cioè la esistenza di un preteso diritto, la possibilità di tutela tale diritto con azione giudiziarie e la pregressa sua contestazione, la possibilità in concreto di ricorrere al giudice). Il ricorrente sosteneva poi che la Corte avesse deciso sull’appello senza rispettare il canone dell’affermazione di colpevolezza “al di là di ogni ragionevole dubbio”; infine riteneva ingiustificata la condanna al risarcimento, in favore della parte civile, di danni dei quali non era stata provata l’esistenza.
2. La questione
Ai fini della sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, nella nozione di “violenza” rientra anche il mutamento della destinazione delle cose stesse, che si verifica quando con qualsiasi atto o fatto materiale sia impedita, alterata o modificata la loro utilizzabilità?
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3. La soluzione
La Cassazione ha dato torto al ricorrente. I giudici supremi hanno sottolineato come lo stesso ricorrente abbia sostanzialmente riproposto gli stessi identici motivi che erano stati formulati con l’appello, trascrivendone esattamente il contenuto, senza in alcun modo considerare o senza confrontarsi con le ragioni che la Corte di merito aveva esposto per ritenere quei motivi infondati. In ogni caso la Cassazione ha evidenziato che la decisione di secondo grado si è posta in linea con il consolidato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’autoreintegrazione nel possesso di una cosa, della quale taluno sia spogliato clandestinamente o con violenza, opera come causa speciale di giustificazione solo quando sia impossibile il ricorso al giudice e l’azione reattiva avvenga nell’immediatezza di quella lesiva del diritto, per l’impellente necessità di ripristinare il possesso perduto, al fine di impedire il consolidamento della nuova situazione possessoria.
4. Le riflessioni conclusive
Secondo l’articolo 392 c.p. chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 516. Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione (Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose).
Tale reato si caratterizza per il fatto che il soggetto che vanta la titolarità di un preteso diritto, e per tale ragione potrebbe “ricorrere al giudice”, acquisisce la c.d. legittimazione al reato in quanto la sua qualifica limita la meritevolezza di un trattamento processuale e sanzionatorio indiscutibilmente di favore; detto trattamento di favore non si pone in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Cost.), trovando ragionevole giustificazione nella tutela di un interesse che lo legittima.
Quindi, il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, previsto dall’art. 392 c.p., richiede, oltre il dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà di farsi ragione da sé pur potendo ricorrere al giudice, anche quello specifico, rappresentato dall’intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità.
Così integra esercizio arbitrario delle proprie ragioni il comportamento dell’amministratore o del gestore immobiliare che, senza essersi preliminarmente rivolto al giudice, dispone di staccare la corrente elettrica al condominio in ritardo con i pagamenti da almeno un semestre (Cass. pen., sez. VI, 05/11/2015, n. 7276). Analogamente si può parlare di delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose se una condomina rende impossibile alla vicina l’accesso al lastrico solare per stendere i panni, costruendo un cancello, chiuso a chiave, nelle scale in comproprietà tra le due proprietarie.
Non commette invece il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni colui che usi violenza sulle cose al fine di difendere il diritto di possesso in presenza di uno atto di spoglio, sempre che l’azione reattiva avvenga nell’immediatezza di quella lesiva del diritto (Cass. pen., sez. VI, 08/01/2010, n. 2548: fattispecie relativa alla rottura da parte di un condomino di una catena e di un paletto di ferro posto in prossimità di un cancello carrabile sull’area condominiale adibita a parcheggio rendendone disagevole l’accesso).
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