Recentemente, il premier Enrico Letta -come anche altri politici- ha chiesto pubblicamente un abbassamento dei toni ed una riconciliazione, considerando la possibile rilevanza penale di certe esternazioni, giudicate dal premier inaccettabili.
In questi tempi di antipolitica e d’indignazione prét-à- poter, il Procuratore Generale di Trento, nella redazione di una richiesta di archiviazione di un procedimento penale per diffamazione, ha affermato un interessante principio di diritto, inerente all’ipotesi di insulto nei confronti di un soggetto politico.
Il Procuratore, nella redazione della richiesta di archiviazione, ha considerato che nella polemica politica si assiste ad una vera e propria “desensibilizzazione” del significato ingiurioso e della portata di determinate parole, ha quindi ritenuto che il reato non può dirsi realizzato.
Se la magistratura seguirà questa interpretazione, essa sarà dirompente in molteplici casi analoghi, con la conseguente liceità dal punto di vista penale delle offese rivolte in ambito politico; di contro si inizia ad avvertire in più ambiti istituzionali e nella gente comune una forte insofferenza al clima pesante degli insulti mediatici tra personaggi politici.
Sono altresì diffuse negli elettori logiche di questo tipo: i politici sono tutti uguali, i politici sono ladri. Vediamo quali sono stati gli orientamenti della giurisprudenza negli anni passati.
La Cassazione, sul punto della scriminante, non è unanime.
Con la sentenza 20 dicembre 2011, n.47037, ha rilevato che non è corretto; la critica politica, per quanto aspra, deve avere a fondamento fatti reali. Diversamente accusare un politico diventa un fatto criminale e configura il reato d’ingiuria. Questa, in sintesi,la massima contenuta in sentenza: il diritto di critica è un diritto fondamentale collegato al diritto costituzionale, alla libera manifestazione del pensiero che spetta ai cittadini, e la critica essendo espressione di una valutazione personale, non necessariamente deve essere obiettiva e può essere molto aspra ed essere rappresentata in modo suggestivo anche per catturare l’attenzione di chi ascolta. Tuttavia deve essere sempre espressa in modo continente, non può trasformarsi in un puro attacco personale e deve poggiare su un dato fattuale vero. In difetto di tali requisiti l’autore della condotta non può ritenersi scriminato e risponde penalmente delle proprie affermazioni.
L’ingiuria rientra nella categoria dei delitti che offendono l’onore di una persona, inteso come valore sociale della stessa ed è rappresentato sia dall’apprezzamento dell’individuo su di sé, sia dal giudizio degli altri sullo stesso individuo; si riferisce alla reputazione, alla considerazione del soggetto nella comunità.
Il reato d’ingiuria è una manifestazione di pensiero, per realizzarsi è necessario che l’espressione offensiva pervenga a conoscenza dell’offeso o di una terza persona, ma in questo ultimo caso si configura la diffamazione.
La manifestazione offensiva ha un significato che non è sentito nello stesso modo dalle persone; tuttavia, esiste un onore ed un decoro minimo che è comune ad ogni persona e che merita rispetto da parte di ogni uomo.
Per il reato di ingiuria è sufficiente un dolo generico, inteso come volontà di utilizzare espressioni offensive con la consapevolezza dell’attitudine oltraggiosa ed ingiuriosa delle parole stesse.
Ne consegue che il dolo è sempre configurabile a prescindere da particolari dimostrazioni, quando l’espressione usata, ha il significato, e non necessariamente il fine, di offendere la dignità della persona.
L’art. 594 c.p. deve limitarsi ad un “minimum”, per accertare se sia stato leso il bene giuridico protetto dalla norma, occorre una media convenzionale in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore.
Ciò premesso, appare clamorosa, la sentenza della Suprema Corte Penale, Sezione V, del 28 febbraio 2008 n. 9084 che ha stilato una sorta di elenco di “epiteti” che, in alcuni casi, è ammissibile, o comunque non punibile,rivolgere agli uomini di governo e ai politici in genere.
La Cassazione ha ritenuto che dare del “Giuda” è legittimo se un politico si è macchiato di alto tradimento, ovvero “buffone” può rappresentare una legittima critica, così come “idiota” nell’ipotesi in cui chi governa ha sollevato una vera e propria indignazione popolare.
Non si tratta di una sorta di licenza d’insultare i politici, in quanto il diritto di critica ha necessariamente connotazioni soggettive ed opinabili quando si svolge in ambito politico, e risulta preminente, nell‘animus l’interesse generale del libero svolgimento della vita democratica. Pertanto la Corte ha valutato la condotta dell’imputato alla luce della scriminante prevista dall’art. 51 c.p.
Per cui, se il Giudice ritiene che l’operato di un politico merita di essere apostrofato con un epiteto che in un diverso contesto risulterebbe ingiurioso, l’autore dello sfogo potrà essere assolto dal reato di ingiuria o diffamazione, per aver esercitato mera libertà di “critica politica”.
Nella sentenza in esame, i giudici hanno ritenuto che la definizione delle persone offese come “Giuda” non fosse da intendere come attacco personale, ma come atto politico dell’imputato, il quale “aveva inteso portare a conoscenza degli elettori la scelta, altrettanto politica delle parti civili, di dissociarsi dalla linea ufficiale del gruppo”, ponendosi anche nelle condizioni di una espulsione dal partito. In tale assetto “la comunicazione riguardava un tradimento a connotato chiaramente politico e del tutto scevro da profili di corruttela, dai quali Giuda nell’uso comune, è ormai disancorato”.
Un’anticipazione della tendenza in questo senso, si è avuta con la sentenza della Corte di Cassazione della stessa Sez. V penale del 7 giugno 2006 n. 19509, con cui la Corte ammette la sussistenza della scriminante dell’esercizio del diritto di critica politica nell’uso dell’espressione “buffone” rivolta ad un soggetto politico pubblico, quando detta espressione, per il contesto nel quale è inserita e per le circostanze di tempo e di luogo nelle quali si colloca, non presenti il carattere di una gratuita aggressione alla persona, ma assuma il significato di una forte critica, speculare, per intensità, al livello di dissenso originato nell’ambito politico e nell’opinione pubblica dalla delicatezza dei problemi posti ed affrontati dalla persona offesa.
E’ opportuno però registrare che l’attuale dilagante violenta polemica politica, dei giorni nostri, porta nell’opinione pubblica conseguenze, sentori, umori, stati d’animo, in ultimo un pessimismo incontrollato dalla stessa opinione pubblica, con conseguenze dannose non solo per il politico “offeso” ma anche per la gente comune, quando, come sta accadendo, la violenza verbale si innesca in un periodo di crisi nazionale, quale quello che ci troviamo costretti a subire in modo massiccio, ad affrontare e constare da politici ed economisti attraverso i media: tv, giornali, social network, web.
Riferimenti: vedi Consulenza Penale; Giornalettismo; Overlex
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