Merita segnalazione una recente sentenza della Corte di giustizia europea (21 settembre 2023, in causa 47/22, Apotheke) che fa chiarezza su una questione di non poco momento relativa alla disciplina della distribuzione intermedia dei medicinali.
Indice
1. La sentenza della Corte di giustizia europea 21 settembre 2023
I giudici europei del Lussemburgo erano stati richiesti dal Tribunale amministrativo austriaco di pronunciarsi sul quesito:
se l’articolo 80, primo comma, lettera b, della direttiva 2001/83/CE debba essere interpretato nel senso che la condizione stabilita da tale disposizione sia soddisfatta anche qualora, come nel procedimento principale, il titolare di un’autorizzazione di distribuzione all’ingrosso si procuri medicinali da altri soggetti del pari autorizzati, in forza di disposizioni nazionali, a fornire medicinali al pubblico, ma che non siano a loro volta in possesso di un’autorizzazione del genere ovvero siano esentate dall’obbligo di ottenerla in forza dell’articolo 77, paragrafo 3, di detta direttiva, e l’approvvigionamento abbia luogo solo su scala ridotta.
Nel procedimento a quo si discuteva della sanzione di revoca dell’autorizzazione ad operare anche come grossista applicata ad una farmacia che aveva acquistato partite di medicinali da un’altra farmacia anziché da produttori od altri soggetti autorizzati ad operare come grossisti.
La norma comunitaria riferita nel quesito prescrive infatti che il soggetto autorizzato alla distribuzione all’ingrosso deve “procurarsi gli approvvigionamenti di medicinali unicamente da persone in possesso dell’autorizzazione di distribuzione, ovvero esentate da tale autorizzazione in forza dell’articolo 77, paragrafo 3” (vale a dire da un soggetto autorizzato alla produzione).
La risposta della Corte di giustizia è stata che:
L’articolo 80, primo comma, lettera b), della direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, come modificata dalla direttiva 2011/62/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2011, deve essere interpretato nel senso che: una persona titolare di un’autorizzazione di distribuzione all’ingrosso di medicinali non può procurarsi medicinali da altre persone che, in forza della normativa nazionale, sono autorizzate o abilitate a fornire medicinali al pubblico, ma che non sono a loro volta titolari di una siffatta autorizzazione di distribuzione né sono esentate dall’obbligo di ottenere detta autorizzazione ai sensi dell’articolo 77, paragrafo 3, della direttiva 2001/83, come modificata, anche se l’approvvigionamento abbia luogo solo su scala ridotta, o se i medicinali così acquisiti sono destinati alla rivendita solo a persone autorizzate o abilitate a fornire medicinali al pubblico o a persone che sono a loro volta titolari di un’autorizzazione di distribuzione all’ingrosso.
La risposta al quesito appare ovvia alla luce del chiaro testo della norma, ma conferma (ed è qui la rilevanza per le questioni domestiche che riferiremo in dettaglio tra poco) che l’acquisto del distributore all’ingrosso presso un soggetto titolare della duplice autorizzazione (distribuzione al pubblico e distribuzione all’ingrosso) è del tutto legittima.
2. Medicinali: la vicenda italiana dell’incompatibilità tra distribuzione al pubblico e distribuzione all’ingrosso
In Italia la direttiva europea è stata attuata con il d. lgs. 219/2006 (il c.d. “Codice del farmaco”.
L’art. 80 della direttiva trova corrispondenza letterale nell’art. 104 comma 1 lettera b) del decreto legislativo, secondo il quale il titolare dell’autorizzazione alla distribuzione all’ingrosso deve “approvvigionarsi di medicinali unicamente da persone o società che possiedono esse stesse l’autorizzazione ovvero sono esonerate dall’obbligo di possederla ai sensi dell’articolo 100, comma 3; tale obbligo riguarda anche le forniture provenienti da altri Paesi della Comunità europea, compatibilmente con le legislazioni ivi vigenti”). La violazione trova sanzione amministrativa pecuniaria nell’art. 148 comma 13.
La questione italiana su cui acquista rilevanza la riaffermazione della legittimità dell’acquisto di medicinali da parte del grossista presso il titolare di una duplice autorizzazione discende dalla vicenda normativa che ha visto in un primo tempo sancita l’incompatibilità, in un secondo tempo abolita, dell’esercizio della distribuzione al pubblico con l’esercizio della distribuzione all’ingrosso.
L’incompatibilità assoluta e generale tra esercizio della farmacia aperta al pubblico ed attività di distribuzione all’ingrosso, originariamente stabilita dall’art. 100 comma 2 del d. lgs. n. 219/2006, non era presente nella legislazione anteriore disciplinante la distribuzione all’ingrosso (d. lgs. n. 538/1992). Vigeva l’articolo 8, comma 1 lett. a) della l. 8 novembre 1991, n. 362, recante “Norme di riordino del settore farmaceutico”, il quale disponeva che “la partecipazione alle società di cui all’articolo 7 (…) è incompatibile con qualsiasi altra attività esplicata nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco”. Le società di cui all’articolo 7 sono le società di farmacisti titolari di farmacie private (secondo i tipi delle società di persone o delle società cooperative a responsabilità limitata che gestiscano farmacie anteriormente alla data di entrata in vigore della legge). La Corte Costituzionale, con la sentenza 24 luglio 2003 n. 275, dichiarò poi, per contrasto con il principio di eguaglianza, l’illegittimità costituzionale di questa norma per la mancata previsione dell’incompatibilità per le società di gestione delle farmacie comunali.
Quindi, anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 100 comma 2 del d. lgs. n. 219/2006, l’incompatibilità era una regola riservata alle società.
L’incompatibilità generalizzata fu introdotta nel già ricordato d. lgs. n. 219/2006, di attuazione della direttiva comunitaria 2001/83/CE, benché non prevista dalla direttiva (che, anzi, all’art. 77 comma 2 prevede espressamente l’ipotesi di duplice autorizzazione) e nonostante il parere contrario dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), che, nella sua segnalazione n. AS326 del 10 febbraio 2006 (Bollettino settimanale n. 4/2006), aveva osservato:
considerato che per i farmacisti esercenti la farmacia in forma individuale non vige alcun divieto espresso di svolgere attività di distribuzione all’ingrosso e che, comunque, oltre il 50% di essi sono già impegnati nel mercato della distribuzione intermedia, considerato altresì che le società di farmacisti titolari di farmacie private, alle quali pure si applica tale incompatibilità, rappresentano una percentuale assolutamente modesta rispetto ai farmacisti esercenti in forma individuale, la norma in esame di fatto impedisce l’accesso all’esercizio della farmacia alle società di distribuzione intermedia e, pertanto, impedisce la concorrenza che esse possono esercitare nei confronti dei soggetti già operanti sul mercato, cioè i farmacisti. Questi ultimi, inoltre, consistono in circa 16.000 esercizi che, notoriamente, in ragione di vari elementi – sia di carattere regolamentare che a causa di scelte comportamentali delle imprese stesse – competono assai debolmente fra loro.
La norma, peraltro, arresta quell’impulso alla concorrenza che il processo di privatizzazione della gestione delle farmacie comunali aveva avviato in Italia a partire dalla fine degli anni 90.
L’Autorità intende innanzitutto rilevare alcuni vantaggi che, sotto il profilo della tutela della concorrenza e del consumatore, risultano derivare dalla modifica delle norme in esame.
A riguardo, l’ingresso delle società di distribuzione comporta l’integrazione a valle delle stesse e, per tale via, un aumento del livello di concorrenza sul mercato della vendita al dettaglio di prodotti farmaceutici e parafarmaceutici.
Dall’integrazione derivano – quali effetti tipici – la riduzione del costo della distribuzione che, in Italia, è molto elevato, specialmente per i farmaci rimborsabili, nonché ulteriori benefici in termini di logistica e di gestione degli stock.
Inoltre, le dimensioni medio-grandi delle società di distribuzione verticalmente integrate e, dunque, il know-how, le capacità tecniche e professionali, nonché le economie di scala e di gamma di cui queste dispongono, consentono di assicurare un miglioramento complessivo del servizio farmaceutico.
Ancora, perlomeno alcuni dei nuovi potenziali entranti, avvalendosi del proprio potere contrattuale nei confronti dei produttori, sembrano in grado di acquistare e, conseguentemente, di offrire al pubblico, almeno in parte, i medicinali (il cui prezzo è libero) a prezzi maggiormente concorrenziali.
Successivamente il legislatore si orientò verso le liberalizzazioni auspicate dall’AGCM e, con il d.l. n. 223/2006, conv. dalla l. n. 248/2006 (c.d. “legge Bersani”), soppresse l’incompatibilità generale stabilita dall’art. 100 comma 2 del d. lgs. n. 219/2006, introducendo anche altre liberalizzazioni nel mercato dei farmaci.
La soppressione pura e semplice dell’incompatibilità riportò tuttavia la situazione allo stato quo ante (incompatibilità limitata alle società, stabilite dalla legge n. 362/1991).
Il legislatore perciò intervenne nuovamente con il d. lgs. n. 274/2007, introducendo il comma 1-bis dell’art. 100 ed ampliando la facoltà di esercizio congiunto delle due attività distributive, con estensione alle società di farmacisti, e prevedendo addirittura che le società che svolgono attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali potessero svolgere attività di vendita al pubblico di medicinali attraverso la gestione di farmacie comunali.
Pertanto il quadro normativo ora vigente è quello di una completa liberalizzazione e di favore dell’integrazione imprenditoriale verticale tra distribuzione all’ingrosso ed esercizio della distribuzione al dettaglio in farmacia.
Il richiamo del comma 1-bis dell’art. 100 del d. lgs. n. 219/2006 al rispetto delle disposizioni stabilite nel titolo VII del medesimo decreto, in sé piuttosto ovvio, ebbe soprattutto lo scopo di affermare (ciò che, come si è visto, non era espressamente necessario, almeno per le farmacie private, che esercitavano da tempo anche attività di distribuzione all’ingrosso) la necessità dell’autorizzazione specifica alla distribuzione all’ingrosso. Sul tema si veda Corte di giustizia europea 28 giugno 2012, in causa C-7/11, Caronna, la quale, affermando la conformità alla direttiva 2001/83/CE della norma del comma 1-bis dell’art. 100, secondo cui anche il farmacista persona fisica debba munirsi di autorizzazione specifica per l’esercizio di distribuzione all’ingrosso, ha tuttavia osservato che
Tale interpretazione della direttiva non può, di per sé e indipendentemente da una legge adottata da uno Stato membro, creare o aggravare la responsabilità penale di un farmacista che ha esercitato l’attività di distribuzione all’ ingrosso senza munirsi dell’autorizzazione ad essa correlata.
Questo assetto normativo ha dunque creato una figura imprenditoriale prima inesistente (o, almeno, inespressa nel corpo normativo), quella del medesimo soggetto imprenditoriale “farmacista-grossista”.
Le due attività richiedono autorizzazioni distinte ed hanno regolamentazioni specifiche ad ognuna di esse: ma, è fuori discussione, esse possono essere esercitate dal medesimo soggetto in forma integrata.
L’attività di farmacia aperta al pubblico contempla la sussistenza di un adeguato magazzino e la presenza obbligatoria di determinati medicinali previsti dalla farmacopea ufficiale (art. 123 T.U. leggi sanitarie n. 1265/1934). Del pari, l’attività di grossista comporta l’osservanza di specifiche norme di conservazione e distribuzione, vincoli di assortimento dei medicinali, obblighi di celerità nel soddisfacimento degli ordinativi. Ovvio ed incontestato è che il farmacista-grossista deve osservare entrambi i corpi normativi, l’uno finalizzato prevalentemente a disciplinare la distribuzione al pubblico, l’altro orientato alla movimentazione su larga scala. Si tratta di una compatibilità che contiene una sola limitazione, data dalla circostanza che la distribuzione di medicinali al pubblico è riservata esclusivamente al farmacista in farmacia (art. 122 T.U. leggi sanitarie n. 1265/1934, fatte salve le eccezioni per i “punti vendita” di medicinali non soggetti a prescrizione, introdotti dalla stessa “legge Bersani”): l’unica cosa che il farmacista-grossista non può fare è erogare medicinali al pubblico fuori dalla farmacia.
Questo assetto normativo si è venuto ad intersecare con le norme italiane che, anticipando le norme comunitarie (direttiva 2011/62/UE e successive norme di attuazione), avevano da tempo introdotto sistemi di identificazione dei medicinali e di tracciatura delle loro movimentazioni.
La codificazione delle attività inerenti alla produzione e commercializzazione dei medicinali ha origine dall’art. 5-bis del d. lgs. n. 540/1992, inserito dal comma 1 dell’art. 40 della l. n. 39/2002 (legge comunitaria 2001). L’art. 5-bis disciplina la “bollinatura” di ogni singola confezione di medicinali erogati dal Servizio sanitario nazionale ed istituisce una banca dati centralizzata alla quale tutti i partecipi della filiera del farmaco, dai produttori fino agli smaltitori devono comunicare le rispettive movimentazioni in entrata e in uscita.
In attuazione di tale disposizione l’art. 3 del d.m. 15 luglio 2004 così provvede nei primi due commi:
A ciascuno dei soggetti di cui all’art.5-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 540, e successive modificazioni ed integrazioni, verrà assegnato dal Ministero della salute un identificativo univoco, eventualmente distinto per ciascuna sede territoriale del soggetto stesso. Tale elenco sarà pubblicato sul sito internet del Ministero della salute.
Tutti i soggetti di cui al precedente comma devono attenersi alle specifiche di raccolta, registrazione e trasmissione alla Banca dati centrale delle informazioni riguardanti: a) numero identificativo della confezione riportato sul bollino in codice a barre tipo 39; b) numero progressivo della singola confezione riportato sul bollino in codice a barre tipo 2/5; c) numero identificativo del mittente e numero identificativo del destinatario, nell’àmbito dei soggetti autorizzati, così come riportato nel disciplinare allegato al presente decreto.
I soggetti della filiera espressamente previsti dalle norme appena richiamate, anteriori alla istituzione della figura imprenditoriale del farmacista-grossista, sono: i produttori di medicinali; i depositari di medicinali; i grossisti di medicinali; le farmacie aperte al pubblico; i centri sanitari autorizzati all’impiego di farmaci; le aziende sanitarie locali; gli smaltitori di rifiuti farmaceutici.
Il d.m. non è stato aggiornato con la figura del farmacista-grossista ed è dunque giocoforza che quest’ultimo riceva due codici.
3. Norme liberalizzatrici e vischiosità della prassi
Ebbene, e siamo finalmente giunti al problema, vi è una corrente di pensiero, riflessa anche in alcuni provvedimenti giurisdizionali (Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana n. 2407/2021, Consiglio di Stato n. 5486/2018) e, a quanto si sa, in prassi amministrative sanzionatorie attualmente sub judice, che ritiene che il farmacista-grossista, il quale abbia regolarmente acquistato (da produttori o grossisti) e immesso nel magazzino della farmacia medicinali utilizzando il codice identificativo assegnatogli come farmacista e poi abbia trasferito (nel rispetto delle norme sulla tracciabilità) alcuni quantitativi nel magazzino esercitato come grossista, per una successiva attività di distribuzione, commetta l’illecito del grossista che si approvvigiona presso una farmacia, anziché dal produttore o da altro grossista.
Tale punto di vista è collegato alla distinzione dei codici come strumento funzionale alla corretta tracciatura delle movimentazioni.
A parere di chi scrive, il collegamento è incongruo: dalla necessità che i movimenti tra i due magazzini siano tracciati con i rispettivi codici non può dedursi che ad agire siano due soggetti diversi e tanto meno è deducibile che le movimentazioni da magazzino-farmacia a magazzino-grossista corrispondano ad un approvvigionamento attuato presso un soggetto non autorizzato ai sensi dell’art. 104 d. lgs. n. 219/2006. Ancor meno si può dedurre dalla duplice codificazione che il farmacista/grossista possa movimentare i medicinali esclusivamente al pubblico. Pur non prevedendo una codificazione specifica per il farmacista-grossista, il disciplinare allegato al d.m. 15 luglio 2004 prevede distintamente, per il farmacista, “le confezioni consegnate al singolo utilizzatore finale” e “le confezioni inviate presso terzi”.
L’esistenza di due codici non implica una duplicità di titoli di possesso con l’assurda conseguenza che il passaggio tra i due magazzini configuri una sorta di inaudita e inammissibile interversione del possesso per causa propria.
Le norme amministrative esecutive dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 540/1992 devono invece essere interpretate in armonia con le norme sopravvenute che hanno consentito la concentrazione in unico soggetto di due attività o applicare direttamente la legge primaria al caso nuovo.
Per giungere alla conclusione che sia vietato il passaggio fisico (non giuridico, data l’identità soggettiva) di medicinali (anche se debitamente tracciato) da un’attività all’altra, occorrerebbe compiere delle operazioni argomentative arbitrarie: “personificare” cioè le due attività concentrate nel medesimo soggetto, personificazione di due attività consentite al medesimo soggetto è giuridicamente del tutto arbitraria e sostanzialmente negatrice della compatibilità. Per rimanere nel campo, dal 1988, per effetto del d.m. n. 375/1988, il farmacista è autorizzato a commercializzare, oltre ai medicinali, una serie cospicua di altri beni diversi (inclusi, tra gli altri, “amari, liquori, vini e pastigliaggi medicati”), ma il tutto pacificamente avviene senza soluzione di continuità e senza necessità di personificare tali commerci disparati distinti dai medicinali.
È poi vero che la farmacia ha il monopolio della vendita al pubblico di medicinali (art. 122 T.U. leggi sanitarie, derogato solo dalla istituzione dei punti di vendita di medicinali non soggetti a prescrizione ad opera del d.l. n. 223/2006), ma un monopolio non implica l’esclusione di ogni altra attività; vero è pure che l’art. 46 del r.d. n. 1706/1938 sulla regolamentazione del servizio farmaceutico dispone che il grossista non può che vendere a farmacie autorizzate o ad altri soggetti comunque autorizzati ad approvvigionarsi di medicinali, ma ciò riguarda la movimentazione dal grossista verso terzi (e sostanzialmente conferma il divieto che il grossista possa vendere al pubblico).
Gli interessi tutelati in materia sono la tutela dell’integrità e autenticità delle confezioni, la prevenzione delle falsificazioni e, in ultima istanza, la tutela della salute e (strumentale a tali tutele) la codificazione delle confezioni e la tracciatura delle movimentazioni.
La norma che si assume violata fa obbligo al grossista di approvvigionarsi di medicinali unicamente da persone o società che possiedono esse stesse l’autorizzazione (e, quindi, soggette a vigilanza), ma la norma non può che riguardare i rapporti con economie terze: una volta che l’imprenditore integrato farmacista-grossista abbia acquisito alla propria sfera giuridica i medicinali, fin tanto che essi rimangono nella stessa sfera giuridica, rilevante ai fini degli interessi tutelati è la tracciatura delle eventuali movimentazioni fisiche da un magazzino all’altro.
Un’interpretazione delle norme talmente restrittiva da impedire, pur nella tutela della tracciatura e delle altre condizioni di custodia e conservazione, il pieno esplicarsi della liberalizzazione attuata con la soppressione dell’incompatibilità del cumulo delle due attività non appare plausibile.
La sentenza della Corte di giustizia da cui abbiamo preso la mosse afferma con chiarezza che è coerente con la norma comunitaria una norma statuale che vieti al grossista di acquistare presso una farmacia, a meno che quest’ultima sia autorizzata anche ad esercitare l’attività di distribuzione all’ingrosso; a maggior ragione dunque il passaggio interno tra due magazzini del medesimo farmacista-grossista deve essere ritenuto lecito.
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