Nel tentativo di chiarire uno tra i punti più controversi della disciplina codicistica in materia di intercettazioni telefoniche, i giudici di legittimità hanno avvalorato il principio dell’inutilizzabilità delle informazioni rese dai confidenti di polizia giudiziaria (combinato disposto di cui agli artt.203, comma 1, 1-bis e 267 comma 1-bis del Cpp), seppure fornite nella sola fase investigativa, qualora i medesimi non siano stati interrogati ovvero ascoltati a titolo di sommarie informazioni, atteso che le norme sopra riportate pongono un generale divieto sia al giudice delle indagini preliminari che allo stesso pubblico ministero nei casi di urgenza, nel motivare i rispettivi provvedimenti di intercettazione sulla base delle notizie scaturite da fonti anonime o in ogni caso incognite e, come tali, non sottoponibili ad accertamento in sede giurisdizionale sino al momento del concreto riconoscimento delle stesse.
La questione
La vicenda in esame trae origine da un provvedimento del Tribunale del Riesame mediante il quale si disponeva il rigetto della relativa istanza ex art.309 Cpp, avanzata nei confronti di un’ordinanza del giudice delle indagini preliminari che aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere a carico di alcuni soggetti, indagati per il delitto di tentata estorsione aggravata e continuata.
Gli indagati ricorrevano per Cassazione avverso il provvedimento di rigetto del Tribunale del Riesame, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, sia in riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza che delle necessità cautelari.
Veniva in particolare desunta la nullità dell’ordinanza cautelare alla luce del combinato disposto di cui agli articoli 203, 266, 267 e 271 del codice di procedura penale, da cui sarebbe derivata l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche dei colloqui, in base ai quali invece il provvedimento del Tribunale distrettuale aveva giustificato le proprie argomentazioni.
Ed invero, la doglianza avanzata dai ricorrenti faceva leva sulla contestata legittimità dei decreti autorizzativi delle predette intercettazioni, nonché sulle relative motivazioni, che a parere dei ricorrenti riposavano sui risultati di una primitiva intercettazione ordinata urgentemente dal pubblico ministero sulla base, tuttavia, di una semplice nota della direzione investigativa antimafia con cui si erano ritenuti sussistenti gravi indizi di reato alla luce delle “riservate acquisizioni investigative”.
La risoluzione della Corte di legittimità
Le predette “riservate acquisizioni investigative”, cioè le notizie ottenute dai c.d. informatori confidenziali di polizia, giammai possono rappresentare quegli indizi di reato che, secondo il giudizio insindacabile della Corte di Cassazione, siano in grado di fondare validamente i conseguenti provvedimenti autorizzativi.
Sul punto, per la Corte, appare già sufficientemente chiaro il richiamo operato dal combinato disposto di cui agli articoli 203 comma 1,1-bis e 267 comma 1-bis del Cpp che, in linea con i principi di cui all’art.111 Cost., “impongono che al provvedimento del giudice per le indagini preliminari e a quello urgente del pubblico ministero in materia di intercettazioni, rimanga estraneo tutto ciò che proviene da fonti anonime o comunque ignote, come tali non assoggettabili a verifica giurisdizionale fino al momento dell’identificazione delle stesse”.
Nello stesso senso si era del resto già espressa tempo addietro la stessa sezione con altra decisione (Cass.pen.sez.VI, 3 dicembre 2007, O.L.M.E., in Ced Cass. n.239458; Esiste tuttavia una pronuncia di segno contrario resa da Cass.sez.II, 7 ottobre 2010, X, seppur con riferimento alla ricerca del latitante).
La Corte di legittimità pertanto, non ha potuto che disporre l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio della stessa per un nuovo esame al Tribunale distrettuale.
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