Interdizione, inabilitazione e “caregiver”

Redazione 28/11/19
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Gli istituti giuridici della interdizione e della inabilitazione vedono come presupposto l’accertamento giudiziale di uno stato di totale o semi incapacità di intendere o di volere. Questo stato di incapacità è spesso occasionato da una compromissione delle capacità psichiche di un determinato soggetto che, dunque, risulta bisognoso di cure e di un’assistenza particolari. E’ quest’ultimo il tipo di attività svolta dal caregiver.

Per approfondire la differenza tra la nuova figura del “caregiver” e gli istituti della interdizione e inabilitazione leggi pp. 9 ss. di “La nuova figura del caregiver familiare: come si evolve l’assistenza familiare” di Monia Dottorini.

Tipi di capacità

La capacità di agire coincide con l’idoneità del soggetto maggiorenne alla cura dei propri interessi. Questi può dunque compiere atti giuridici ritenuti validi e meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Tali atti potranno così creare, modificare od estinguere validamente i rapporti giuridici.

Diversamente, la capacità di intendere e di volere indica l’attitudine dell’individuo a comprendere il significato delle proprie azioni nel contesto in cui agisce. Essa si pone a monte della capacità di agire in quanto fonda la capacità c.d. contrattuale. Al contempo, sul versante penalistico, la capacità di intendere e di volere è alla base della imputabilità.

Istituto della interdizione

In base all’art. 414 c.c. “Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è reso necessario per assicurare la loro adeguata protezione”. Tale è il testo risultante a seguito della modifica alla norma operata dall’art. 42 della Legge 9 gennaio 2004 n. 6.

Come si vede l’istituto ha alla base un doppio accertamento: (i) la condizione di abituale infermità di mente di un soggetto tale da renderlo incapace di provvedere ai propri interessi; (ii) la necessità di assicurare una adeguata protezione.

Dunque, in tal caso, l’interdizione viene definita come giudiziale in quanto necessariamente deriva da un provvedimento del giudice, suscettibile di essere impugnato e passare in giudicato.

Chiara è la differenza con l’interdizione legale prevista dall’art. 32 c.p.: quest’ultima è la conseguenza diretta e automatica di una sentenza penale ed ha funzione sanzionatoria (anziché di tutela).

Gli atti compiuti dall’interdetto sono annullabili in base all’art. 1425 c.c.: “il contratto è annullabile se una delle parti era legalmente incapace di contrarre. È parimenti annullabile, quando ricorrono le condizioni stabilite dall’articolo 428, il contratto stipulato da persona incapace di intendere o di volere”.

Quanto allo stato di abituale infermità di mente, essa consiste nella grave e perdurante alterazione delle facoltà mentali di un soggetto. Tuttavia, per il riscontro di tale presupposto, non occorre sia stata a monte diagnosticata un tipo di malattia mentale tale da rendere completamente demente la persona. Inoltre, non è necessario che tale malattia sia inguaribile. Al contempo, non vale ad escludere l’applicazione dell’istituto dell’interdizione la costante alternanza tra momenti di lucidità e momenti di infermità, purché resti ferma, in presenza dei secondi, la necessità di assicurare una adeguata protezione.

In base all’art. 417 c.c. “L’interdizione o l’inabilitazione possono essere promosse dalle persone indicate negli articoli 414 e 415, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o curatore ovvero dal pubblico ministero. Se l’interdicendo o l’inabilitando si trova sotto la potestà dei genitori o ha per curatore uno dei genitori, l’interdizione o l’inabilitazione non può essere promossa che su istanza del genitore medesimo o del pubblico ministero”.

Il Tribunale territorialmente competente nominerà un tutore. La sentenza con a quale il Tribunale dichiara lo stato di inabilitazione, va annotata a margine dell’atto di nascita.

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Istituto della inabilitazione

In base all’art. 415 c.c. “il maggiore d’età infermo di mente, lo stato del quale non é talmente grave da far luogo all’interdizione, può essere inabilitato.Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcooliche o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Possono infine essere inabilitati il sordo e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un’educazione sufficiente, salva l’applicazione dell’articolo 414 quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi”.

L’espressione “sordo” è stata sostituita al termine “sordomuto” dall’art. 1 della L. 20 febbraio 2006 n. 95.

Con riferimento all’inabilitazione nella Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile  si legge che “Per quanto riguarda le persone che possono essere inabilitate, è stato modificato l’art. 410 del progetto per riferire anche al prodigo, in conformità della proposta pervenuta, l’estremo del pericolo di pregiudizio economico: con questo rimane chiarito e meglio precisato il concetto stesso di prodigalità, la quale è presa in considerazione dalla norma in esame in rapporto a chi con lo sperpero e la dilapidazione minacci di rovinare la famiglia. Secondo i voti espressi, nel terzo comma dello stesso articolo, si è parlato, anzichè di “cieco dalla nascita”, di “cieco dalla nascita o dalla prima infanzia”, consacrando così nel testo legislativo l’interpretazione estensiva che è stata data dalla giurisprudenza all’art. 340 del codice civile del 1865. Si è ritenuto superfluo aggiungere una disposizione per precisare, come fa l’art. 339 del codice predetto, di quali atti sia incapace l’inabilitato. Ciò risulta già chiaramente dal combinato disposto dell’art. 424 c.c., che rende applicabile alla curatela degli inabilitati le norme riguardanti la curatela dei minori emancipati, e dell’art. 394 del c.c. sulla capacità dell’emancipato”.

Per l’applicazione dell’istituto della inabilitazione occorre quindi che il soggetto di cui si chiede la tutela si trovi in uno stato di semi-incapacità d’intendere e di volere. In tal caso, il Tribunale territorialmente competente nominerà curatore. Quest’ultimo non si sostituirà all’inabilitato, bensì lo assisterà limitandosi ad integrarne la volontà nel compimento degli atti di ordinaria amministrazione che riguardano la cura dei suoi interessi.

La sentenza con la quale il Tribunale dichiara lo stato di inabilitazione va annotata a margine dell’atto di nascita.

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