Esaminiamo alcuni dei temi affrontati.
L’azione di ripetizione è sempre ammissibile?
Il Tribunale di Taranto conferma, in primis, che l’azione di ripetizione è inammissibile quando proposta prima della chiusura definitiva del rapporto di conto corrente, ossia quando non si è ancora realizzato alcun “pagamento” in senso tecnico-giuridico a favore della banca.
Tale situazione però non preclude il fatto che il correntista possa legittimamente proporre la domanda di accertamento.
Infatti, a prescindere dal fatto che il conto corrente bancario è un contratto di durata che dà luogo ad un unico rapporto giuridico articolato in una pluralità di atti esecutivi e che, pertanto, solo con il saldo finale si stabiliscono definitivamente i crediti ed i debiti tra i contraenti, non può comunque essere disconosciuto al correntista, medio tempore, l’interesse, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., alla pronuncia giurisdizionale che rilevi non solo le invalidità negoziali ed i relativi addebiti contra legem, ma accerti altresì l’effettivo saldo del conto corrente in essere.
Il Giudice sottolinea sia la necessità di espungere dall’ordinamento giuridico disposizioni pattizie violative di norme imperative, sia la connessa esigenza di eliminare una situazione di incertezza oggettiva sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi scaturenti dal rapporto di conto corrente, che prelude ad un pregiudizio economico per il contraente.
L’usurarietà della commissione di massimo scoperto
Per ciò che attiene la valutazione di usurarietà delle commissioni di massimo scoperto, le stesse devono essere prese in considerazione soltanto a partire dal 1° trimestre del 2010 poiché le istruzioni pubblicate da Bankitalia nell’agosto del 2009, non possiedono efficacia retroattiva.
Da tanto discende che per il periodo anteriore vale la regola della esclusione delle C.M.S. dettata dalle precedenti istruzioni di Bankitalia per la rilevazione del T.E.G..
Infatti, sotto il profilo operativo, osserva il Tribunale di Taranto, “convivono attualmente due diversi metodi di rilevazione dei tassi medi, alternativamente applicabili in funzione del periodo di riferimento”.
In base al primo metodo, come si ricava dalle istruzioni pubblicate sulla G.U. del 4.5.2006 n. 102, e recepito nei decreti ministeriali pubblicati trimestralmente, viene esclusa la c.m.s. dal calcolo del TEG di riferimento per l’apertura di credito in conto corrente.
Inoltre, la c.m.s. è stata regolata dall’art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, convertito in L. n. 2 del 2009, l’art. 117 bis del T.U.B. entrato in vigore il 28.12.2011 e poi con l’art. 27 della L. n. 27 del 2012 che ne ha sancito in modo definitivo la nullità.
Le nuove istruzioni e i D.M. attuativi, che prevedono l’inserimento della c.m.s. nel plafond per il calcolo del costo del finanziamento risultano applicabili a partire dal primo trimestre del 2010 e non possono avere efficacia retroattiva (cfr. Cass., n. 12695 del 2016; Cass., n. 22270 del 2016) e, pertanto, per il periodo anteriore, la c.m.s. va esclusa in virtù di quanto previsto nelle precedenti istruzioni di Bankitalia per la rilevazione del tasso effettivo globale.
Il piano di ammortamento alla francese
Il Tribunale ritiene che per come è strutturata l’operazione di rimborso sia esclusa la capitalizzazione degli interessi passivi.
Il piano di ammortamento comprende interessi calcolati sul solo debito residuo ovvero sul capitale via via decrescente che rimane da restituire al finanziatore secondo le regole dell’interesse semplice.
Tale metodo di calcolo implica che l’interesse non è mai produttivo di altro interesse, per cui non viene sommato al capitale ma, attraverso pagamenti periodici viene “staccato” dal capitale.
Quando l’interesse viene corrisposto, il capitale torna ad evolvere depurato da qualsiasi accumulazione anatocistica nonché ridotto per effetto della restituzione di una parte dello stesso tramite la quota capitale.
La conclusione del tribunale è che “con questo meccanismo la generazione di interessi su interessi è del tutto preclusa”.
La somma degli interessi corrispettivi e di quelli di mora è sempre legittima?
Il Tribunale di Taranto, mostrando di condividere quanto statuito dalla Suprema Corte nella decisione n. 11400 del 2014, ritiene che la produzione di interessi moratori su interessi corrispettivi nelle operazioni di finanziamento, viene eccezionalmente consentita, con ciò derogando a quanto disposto dall’art. 1283 c.c., unicamente in presenza di un’apposita pattuizione anteriore rispetto al sorgere del credito per interessi, come agevolmente si evince dalla lettura del combinato disposto degli artt. 120 TUB e 3 della Delibera CICR 9.2.2000.
L’accertamento dell’usura oggettiva
Il Giudice, dopo aver illustrato la natura e la funzione degli interessi corrispettivi (rappresentano il prezzo dell’operazione di mutuo ed il vantaggio che il mutuante riceve dal sinallagma negoziale) e degli interessi di mora (sono un onere affatto eventuale che si applica solo in caso di andamento patologico del rapporto di finanziamento ed hanno lo scopo di risarcire il danno causato dal mancato o ritardato adempimento), sostiene che ci si trova in presenza di “due entità tra loro eterogenee, che rimandano a basi di calcolo differenti” e che , pertanto, “sarebbe errato e fuorviante operare il cumulo dei tassi”, rifacendosi ad un consolidato e condivisibile orientamento della giurisprudenza di merito (ex multis, Corte Appello Milano, n. 2195/17; Trib. Brescia, n. 561/17; Trib. Monza, n. 94/15).
Tale orientamento non è stato contraddetto neanche dagli Ermellini nella pronuncia n. 350 del 2013 che ha semplicemente ribadito il principio secondo cui la regola dettata dall’art. 1815 c.c. si applica alla pattuizione di interessi a qualunque titolo dovuti, e, pertanto, anche a quelli moratori.
Di diverso avviso è invece la Suprema Corte nelle ordinanze nn. 5598/17 e 23192/17, non ritenute attendibili dal Tribunale di Taranto, poiché sfornite di adeguata motivazione.
Le rilevazioni trimestrali di Bankitalia
Altro argomento su cui la sentenza in commento si sofferma è quello relativo alla assenza di una previsione di legge determinativa di una specifica soglia per l’interesse moratorio, ragione che ha indotto Bankitalia a farne oggetto di separata rilevazione, proprio per evitare un confronto tra grandezze disomogenee, adottando un criterio orientativo basato su indagine statistica, recepito dai decreti ministeriali.
Secondo il Tribunale, quindi, ci si deve uniformare all’orientamento del Ministero dell’Economia e delle Finanze che, con il decreto del 25.3.2003, ha precisato che la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali.
In verità, rileva il Tribunale di Taranto, nessuna norma e nessuna fonte prevedono l’obbligo della maggiorazione pari a 2,1 punti percentuali per la mora media rilevata da Bankitalia, tuttavia tale maggiorazione viene applicata per sopperire a “quello che evidentemente è un vuoto, ovvero la mancata rilevazione trimestrale dei tassi medi di mora”.
E la funzione della rilevazione media è quella di rendere confrontabile un dato, ossia l’interesse di mora.
In caso contrario, osserva il Tribunale di Taranto, la rilevazione media presterebbe il fianco alla facile censura di voler confrontare il tasso di mora medio soglia usura con una cosa diversa ovvero il tasso corrispettivo medio soglia-usura, mostrando così di condividere le statuizioni del Tribunale di Padova nella sentenza del 13.1 2016 e del Tribunale di Roma nella decisione n. 2142 del 26.1.2017.
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