Internet e social network: i limiti alla liberta’ di espressione

a cura del dott. Ivan El Knizi e dal Dott. Federico Lione

La diffusione dei social network ha ormai rivoluzionato il nostro modo di intendere le relazioni interpersonali. Possiamo essere in contatto e comunicare con amici, conoscenti, estranei a qualsiasi distanza e in qualsiasi momento.

Accanto all’evoluzione tecnologica, anche il diritto ha, ormai da qualche tempo, mosso i suoi passi all’interno di questo enorme contesto, tentando di disciplinare nuove fattispecie, ampliando e aggiornando i propri orizzonti.

La diffamazione

Perché se è vero che i social network sono un utile strumento di comunicazione, tuttavia, così come sono strutturati, rappresentano un pericoloso veicolo, capace di far compiere agli utenti delitti che offendono l’onore e la reputazione attenenti all’offesa dell’onore e della reputazione altrui – si consideri il delitto di diffamazione ex art. 595 c.p. – con estrema semplicità. Pericolo che si amplia se si pensa a quanto rapidamente queste nuove tecnologie hanno invaso e stravolto la nostra concezione di vita sociale. Questo breve testo ha lo scopo di sottolineare la facilità con cui un utente rischia di oltrepassare quella sottile linea che divide l’esercizio di un diritto dalla commissione di un reato attraverso l’uso di Internet.

Innanzitutto, è necessario chiedersi se uno spazio virtuale come il web, sia idoneo ad accogliere contenuti potenzialmente lesivi per l’altrui reputazione.

La dottrina e la giurisprudenza hanno più volte rilevato l’applicabilità dell’articolo che disciplina la fattispecie della diffamazione anche a fatti commessi tramite il mezzo di Internet. Non solo, l’utilizzo dei social network è un’aggravante ai sensi dell’art.595 comma 3 c.p. La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone. (Cassazione penale sez. I 28 aprile 2015 n. 24431), inoltre, sempre secondo la giurisprudenza La pubblicazione di frasi o immagini diffamatorie sulla piattaforma social “Facebook” costituisce un ambito quantitativamente apprezzabile ed ampiamente sufficiente ad integrare l’elemento oggettivo del reato di diffamazione, il che vale configurare l’ipotesi aggravata di cui al comma terzo dell’art. 595 c.p. poiché trattasi di condotta potenzialmente idonea a raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone. (Tribunale Pescara 05 marzo 2018 n. 652)

Ingiuria

Persino il legislatore, nel trasformare l’ingiuria da delitto ad illecito civile sottoposto a sanzione pecuniaria con il D.lgs. n.7 del 15 gennaio 2016, ha ampliato la relativa fattispecie. Se si compara, infatti, il previgente art. 594 c.p. con la nuova formulazione si nota che il legislatore aggiunge l’espressione ‘informatica’ tra l’elenco dei mezzi con cui si può offendere l’onore o il decoro di una persona presente.

Appurata la piena configurabilità del reato di diffamazione o dell’illecito d’ingiuria anche alla manifestazione del pensiero mediante l’utilizzo di Internet, una pericolosa convinzione da debellare riguarda l’idea che tramite l’utilizzo del web, poiché si tratta di piattaforme virtuali create allo scopo di condividere i propri pensieri, vi siano limiti minori alla libertà di espressione. La dottrina si è interrogata sul punto e alcuni autori hanno sottolineato che Non si pongono problemi specifici rispetto ai social network, anche per quanto riguarda il necessario bilanciamento con l’esercizio della libertà d’espressione, che per l’esplicito disposto dell’art. 10, par. 2 CEDU, trova fra i suoi limiti l’esigenza di «protezione della reputazione e dei diritti altrui» (Picotti Lorenzo I DIRITTI FONDAMENTALI NELL’USO ED ABUSO DEI SOCIAL NETWORK. ASPETTI PENALI).

Se da un lato può stupire la facilità con cui siamo catapultati in una realtà virtuale in cui possiamo dare libero sfogo ai nostri pensieri, dall’altro lato però tale astrattezza è in grado di generare danni di enorme entità. Anche un contenuto postato in un profilo personale, destinato alla visione di un numero limitato di soggetti, può essere da questi soggetti condiviso, finire nella Home page di un altrui profilo personale, visto da un’altra cerchia di persone e così via, fino a diventare di pubblico dominio. È la difficile distinzione tra sfera privata e pubblica a far riflettere gli operatori del diritto, orientati a considerare, come già visto, anche la potenziale capacità di raggiungere un indeterminato e indeterminabile numero di persone.

Quanto detto sopra è riscontrabile anche nella giurisprudenza più recente: La condotta di postare un commento su facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, con la conseguenza che, se, come nella specie, lo stesso è offensivo nei riguardi di persone facilmente individuabili, la relativa condotta integra gli estremi della diffamazione (Cassazione civile sez. lav.  27 aprile 2018 n. 10280).

Nel caso di specie si discuteva della legittimità del licenziamento di una dipendente a seguito del seguente commento postato su facebook. “mi sono rotta i c……i di questo posto di m…a e per la proprietà”. La Corte da un lato come già detto ha ritenuto integrata la fattispecie della diffamazione con la seguente motivazione La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, posto che il rapporto interpersonale, proprio per il mezzo utilizzato, assume un profilo allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione. (c.f.r.), dall’altro lato ha ritenuto insindacabile, come da orientamento consolidato, il bilanciamento tra sanzione disciplinare e condotta effettuato dalla Corte di merito, che ha ritenuto intaccato il rapporto fiduciario necessario per la prosecuzione del contratto di lavoro, valutando legittimo il licenziamento.

Sono sempre più numerose le cause di diffamazione che traggono origine dall’utilizza di un social network, manca, forse, la piena consapevolezza che quella realtà, da un lato astratta e virtuale è da un punto di vista della diffusione più concreta ed efficace che mai.

Il dibattito sulla diffamazione a mezzo di Internet, si sta spingendo anche oltre l’uso dei social network. Un esempio concreto riguarda il fenomeno delle recensioni online. Non è errato sostenere che la maggior parte delle imprese, piccole o grandi che siano, godano di una certa reputazione informatica. Tale reputazione è spesso costruita sulla base dei feedback dei consumatori ed è idonea ad influenzare le scelte di consumatori successivi. È possibile però che questo sistema, per via della facilità grazie ad Internet con cui i soggetti possono intervenirvi, sfugga di mano creando non pochi danni agli operatori del mercato.

Dovremmo pertanto chiederci quale sia il limite tra diritto alla critica e diffamazione o lesione della reputazione con conseguente risarcibilità del danno.

La giurisprudenza

Il Tribunale di Pistoia con sentenza n.5665 del 16 dicembre 2015 si è così pronunciato sulla questione L’ironica recensione di un locale pubblico pubblicata su Facebook dagli avventori insoddisfatti non integra gli estremi della diffamazione perché il gestore di un esercizio pubblico, operando sul mercato, accetta anche il rischio che i propri servizi non siano graditi e vengano, pertanto, criticati.

Secondo il Tribunale il limite tra diritto alla critica e diffamazione risiede in una recensione che può si contenere espressioni goliardiche o ironiche, ma non tali da ledere l’onore e il prestigio del titolare dell’esercizio.

La Corte di Cassazione riduce la portata del diritto di critica, sostenendo che le recensioni negative non rechino un danno ingiusto sempre che esse siano indispensabili per l’esercizio del diritto costituzionalmente garantito alla manifestazione del pensiero e non si risolvano, invece, nell’adozione di espressioni “gratuite”, inutilmente volgari, umilianti o dileggianti, non necessarie all’esercizio di tale diritto. (Cassazione civile sez. III  11 settembre 2014 n. 19178)

È necessario estendere la riflessione anche alle conseguenze che una recensione negativa sia fatta al solo scopo di danneggiare il soggetto colpito e per di più con l’utilizzo di credenziali false. D’altronde applicazioni quali TripAdvisor non prevedono un severo e specifico controllo circa l’identità dei propri utenti, consentendo anche la creazione di account falsi. La Cassazione penale con la sentenza del 26 febbraio 2014, n. 9391 si è espressa sull’argomento rilevando che questo fenomeno integra la fattispecie dell’art. 494 c.p. Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno. Nel caso di specie si trattava della creazione di un profilo falso di Facebook utilizzato al fine di molestare un altro utente.

Di conseguenza se un utente, anche tramite l’utilizzo di un account falso, trasmette per mezzo di Internet o dei social network messaggi offensivi tali da integrare la fattispecie di diffamazione aggravata, non solo commette i reati di cui agli artt.494 e 595 c.p., ma sarà chiamato a rispondere anche dei danni che la sua recensione ha prodotto in forza del generale principio di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.

Infine, la recente giurisprudenza in questi casi considera diffamazione, non solo il commento lesivo dell’altrui onore o reputazione, ma altresì la critica negativa non veritiera o pretestuosa.

Per concludere, in un’ottica di bilanciamento, non si può che tendere verso una sempre più marcata e decisa tutela del diritto all’onore e alla reputazione, Internet non è e non può essere considerato una zona franca nella quale ogni affermazione resta priva di conseguenze; si impone, dunque, una risposta da parte del nostro ordinamento per punire e scoraggiare il più possibile l’utilizzo di questo incredibile strumento nei confronti di chi lo utilizza in maniera lesiva e offensiva dell’altrui onore e reputazione.

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Dott. Lione Federico

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