Interposizione di manodopera: l’omesso ripristino del rapporto di lavoro
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si pronunciano in materia di interposizione di manodopera con la sentenza n. 2990 del 7 febbraio scorso, nella quale hanno affermato che, nell’ipotesi di comprovata esistenza di un rapporto a tempo indeterminato, il mancato ripristino del rapporto per fatto del committente, determina l’obbligo di questo a corrispondere le retribuzioni, a partire dalla messa in mora. Il caso di specie è approdato alle Sezioni Unite in quanto veniva rilevato un contrasto giurisprudenziale in merito alla natura delle somme spettanti ai lavoratori che, a seguito di interposizione di manodopera, non siano poi stati riammessi nonostante avessero, medio tempore, messo a disposizione le proprie potenzialità lavorative. In particolare, le due tesi principali sostengono, rispettivamente, la natura risarcitoria e retributiva di dette somme.
Il principio affermato dalle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, preso atto del contrasto giurisprudenziale nonché del dato normativo vigente, ritengono che debba farsi applicazione, al caso di specie, della disciplina delle obbligazioni; invero, non vi sono disposizioni normative che derogano al diritto comune delle obbligazioni e non è pertinente il richiamo alla disciplina del licenziamento, che contiene previsioni speciali, riconoscendo un risarcimento nei casi di interruzione illegittima del rapporto di lavoro.
Inoltre, la Corte rileva come sia necessario un ripensamento della giurisprudenza precedente che ha fatto applicazione analogica dell’interpretazione delle ipotesi di cessione del ramo d’azienda ai casi di interposizione di manodopera. Diversamente, qualora il committente sia responsabile dell’omessa riammissione del lavoratore nel posto di lavoro, lo stesso è tenuto al pagamento delle retribuzioni. Occorre però che l’interposizione fittizia sia giudizialmente dichiarata, così venendo riconosciuto il rapporto lavorativo in essere. Peraltro, l’obbligo retributivo sussiste altresì qualora l’attività lavorativa non sia stata prestata e sia dunque maturata la cosiddetta mora credendi.
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