La Terza Sezione Penale della Suprema Corte, con la sentenza 20 febbraio 2013, pubblicata l’8 luglio (rv. 28919/13) sofferma, una volta di più, la propria attenzione sulla tematica della detenzione ad uso personale di sostanze stupefacenti, esaminando, non solo quei requisiti che militano per la formulazione del giudizio di non punibilità della condotta in esame, ma anche e, soprattutto, il rapporto che intercorre fra la condotta detentiva e quella di trasporto.
Nel caso specifico, il PM si doleva della circostanza che il GIP, prima, ed il Tribunale del Riesame, poi, avevano ritenuto che la condotta dell’indagato – nei cui confronti si chiedeva l’adozione di una misura cautelare – si concretasse, nella sostanza, in una forma di detenzione “dinamica”.
L’attività di trasporto della sostanza (rinvenuta all’interno di un autoveicolo condotto dall’indagato stesso) doveva, infatti, venire assorbita – e, dunque, ricondotta – ad una fattispecie di possesso espressamente finalizzata all’uso personale.
Il PM ricorrente – anche ammettendo in ipotesi la prova della destinazione ad uso personale dello stupefacente rinvenuto – sosteneva, invece, l’autonomia , di fatto ed in diritto, della condotta di trasporto, rispetto a quella di detenzione, anche sul presupposto che si poteva ravvisare nella fattispecie il concorso tra una norma incriminatrice (l’art. 73 che esplica effetti penali in relazione alla condotta di trasporto) ed una di natura amministrativa (l’art. 75 che governa le ipotesi di condotte non penalmente rilevanti).
La Corte, per rispondere al quesito così proposto, ha ripercorso la struttura sia dell’art. 73, che dell’art. 75 dpr 309/90 nella loro formulazione post novella del 2006.
E’, così, emersa palese una tripartizione di situazioni giuridicamente rilevanti, all’interno della quali, peraltro, è apparso evidente e particolarmente significativa l’osservazione che la detenzione costituisce, nel disegno complessivo del legislatore, che ha introdotto con il comma 1 bis dell’art. 73 una causa di giustificazione concernente “importazione, esportazione, acquisto, ricezione e detenzione” (tutte ad uso personale), una condotta ontologicamente indipendente e differente dal trasporto.
Quest’ultima condotta, proprio per la sua oggettiva-astratta pericolosità ed offensività – che la Corte riconnette, in sentenza, condivisibilmente “alla potenzionale diffusività della droga rispetto alla condotta di detenzione o acquisto, importazione etc….” – non viene menzionata in alcun modo né nel citato comma 1 bis dell’art. 73 dpr 309/90 e tanto meno nel successivo art. 75.
Posto, quindi,
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che la disposizione di cui all’art. 73 comma 1 bis dpr 309/90, nel suo carattere spiccatamente esimente, trae il proprio fondamento giuridico nel diretto collegamento fra la condotta materiale (tra una di quelle indicate expressis verbis) e la prova della destinazione al consumo personale dell’agente,
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che la norma di cui al successivo art. 75 si pone indubbiamente in correlazione – al di là di un’infelicissima struttura lessicale – con l’art. 73 comma 1 bis, laddove quest’ultima norma (anche essa concepita in spregio alle più elementari regole grammaticali da un legislatore che ha usato violenza alla nostra lingua madre) deve essere interpretata come disposizione di deroga al regime sanzionatorio penale, in presenza effettiva di indicatori esemplificativamente dalla stessa esposti,
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è possibile ragionevolmente affermare che qualsiasi condotta, non riportata nel combinato disposto dei due articoli citati, mantenga una sua assoluta autonomia ed indipendenza rispetto ad altre indicate nel comma 1 dell’art. 73.
Tale principio di ordine generale va, peraltro, coniugato con la reale natura dell’art. 73 che ad avviso della Corte “costituisce norma a più fattispecie tra loro alternative, con la conseguenza, da un lato, della configurabilità del reato, allorchè il soggetto abbia posto in essere anche una sola delle condotte ivi previste e, dall’altro, dell’esclusione del concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative…”.
In buona sostanza, porre in essere anche una sola tra le condotte previste nell’ampia gamma dei commi 1 ed 1 bis dell’art. 73 dpr 309/90 integra certamente gli estremi di reato prevista da questa norma, va però, osservato che ove, in un unitario contesto temporale, sia ravvisabile la sussistenza di una pluralità di condotte illecite alternative (che rientrino nel novero di quelle ricordate) appare indiscutibile l’effetto di assorbenza delle ipotesi di reato di minore gravità da parte di quelle di maggiore gravità.
La fattispecie in oggetto, dunque, appare pertinente al ragionamento della S.C. perchè:
a) l’agente trasportava e deteneva al contempo sostanze stupefacenti;
b) non vi è stata una scansione distintiva temporale fra le due citate condotte, le quali, invece, si sono verificate contemporaneamente e si sono poste – tra loro – in una condizione di sovrapponibilità.
La conclusione cui, quindi, naturalmente la Corte di Cassazione perviene è obbligata.
Essa consiste nel superamento della dicotomia esistente fra le condotte, sin qui esaminate, giacchè risulterebbe del tutto illogico che un comportamento, (quale quello di trasportare da un luogo ad un altro un quantitativo di stupefacente, peraltro, posseduto dall’agente per un dimostrato fine di consumo personale), venisse considerato come ultroneo e disancorato rispetto a quello scopo finale che, invece, colora e priva di illiceità la condizione detentiva, costituendo una vera e propria causa di giustificazione.
Appare, dunque, fondamentale – ad avviso dei supremi giudici – il ricorso ad una interpretazione individualizzata, la quale si dimostri, pertanto, informata a principi sia giuridici, che logici.
Una corretta esegesi della fattispecie in questione, dimostra, infatti, che risulterebbe incomprensibile la duplicazione di una condotta, la quale, invece, si palesa senza dubbio come unitaria.
La scelta di sdoppiare le autonome azioni di trasporto e detenzione (prendendo ognuna in senso autonomo rispetto all’altra) provocherebbe, inoltre, l’inammissibile ed irrazionale conseguenza di comportare l’assoggettamento dell’agente/indagato a due sanzioni, ciascuna riferita ad uno distinto comportamento, per un unico comportamento che non viola più norme di legge.
Sarebbe questa un’impostazione ed una soluzione che – come si legge testualmente in sentenza – “non è autorizzata nemmeno dal testo normativo”.
La tesi dell’assorbimento dell’un comportamento nell’altro, risponde, invece,
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sia al carattere di funzionalità e strumentalità che una delle sue condotte (trasporto) assume verso l’altra (detenzione),
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sia a quel profilo di generalità, proprio del concetto di detenzione e, quindi, idoneo a ricomprendere anche aspetti di carattere specifico, quali possono essere quelli delle modalità di esecuzione della detenzione stessa.
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Non a caso una di queste modalità va ravvisata nell’azione di trasporto, che si risolve in una forma di detenzione in movimento (“dinamica”).
Da ultimo, si deve osservare come rilevante, ai fini del giudizio sulla contingente coincidenza concettuale fra detenzione e trasporto, appaia la circostanza che i giudici di merito abbiamo ritenuto debitamente provata la sussistenza dell’esimente della destinazione ad uso personale dello stupefacente detenuto.
Tale dimostrata finalizzazione condiziona, pertanto, in senso favorevole all’indagato la qualificazione giuridica del fatto attribuito, escludendo che – nel caso che ci occupa – si possa ravvisare una prevalenza della condotta illecita di trasporto rispetto a quella scriminata di detenzione.
Il concetto di trasporto, infatti, esprime la sua autonoma importanza di rilievo penale, solo se in grado di evocare il metus di “una futura attività di cessione o di illecita detenzione a tali fini” (n.d.a. di spaccio).
Il trasporto per uso personale – che si risolve in una forma di detenzione qualificata – appare incompatibile con tale situazione, connotata dalla potenziale diffusività della condotta.
Le risultanze fattuali della fattispecie – ad opinione sia dei giudici di merito, che di quelli di legittimità – (nonostante la droga fosse stata rinvenuta addosso all’indagato, mentre nel vano portaoggetti dell’auto vi era un coltellino con tracce di stupefacenti) non erano, infatti, tali da potere contraddire efficacemente la tesi difensiva della destinazione ad un uso esclusivamente personale.
In tal modo trasporto e detenzione si vengono a fondere in un situazione di unicità e costituiscono, quindi, un illecito amministrativo.
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