1.- In tema di obbligo di fedelt? ex art. 2105 c.c. in capo al prestatore di lavoro, l?unanime attuale orientamento dottrinale e giurisprudenziale richiede, perch? sia integrata la violazione dei doveri di fidelitas, un?attivit? di danno concretamente percepibile ed economicamente apprezzabile, che si concreti in atti concorrenziali effettivamente perpetrati, non bastando, come sostenuto in passato presso le Corti, un?attivit? meramente preparatoria e prodromica, quindi meramente potenziale:
?Cos?, sul punto, la recente giurisprudenza:
??Ai fini della configurabilit? di una violazione del divieto di concorrenza previsto, nei confronti del prestatore di lavoro subordinato, dall?art. 2105 c.c. – divieto che riguarda non gi? la concorrenza che il prestatore, dopo la cessazione del rapporto, pu? svolgere nei confronti del precedente datore di lavoro, bens? quella illecitamente svolta nel corso del rapporto di lavoro, attraverso lo sfruttamento di conoscenze tecniche e commerciali acquisite grazie al rapporto stesso – non sono sufficienti gli atti che esprimano il semplice proposito del lavoratore di intraprendere un?attivit? economica concorrente con quella del datore di lavoro, eventualmente in un momento successivo allo scioglimento del rapporto di lavoro, ma ? necessario che almeno una parte dell?attivit? concorrenziale sia stata compiuta, cos? che il pericolo per il datore di lavoro sia divenuto concreto durante la pendenza del rapporto (Cass., 23 aprile 1997, n. 3528; conf., ex plurimis, id., 15 dicembre 2003 n. 19132 e, tra la giurisprudenza di merito, Pret. Arezzo, 22 gennaio 1999).
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2. – Passando all?esame dell?altro tema oggetto delle presenti fugaci riflessioni, vale a dire l?esame dell?art. 2, commi 2 e 3, della legge 604 del 1966, non pu? non ravvisarsene l?assoluta collateralit? con il precedente sub 1, e ci? perch? concernente l?esame di altra disposizione ? appunto l?art. 2, commi 2 e 3 della legge citata ? che ha conosciuto un?interpretazione benevola verso il lavoratore da parte della giurisprudenza.
?Com?? noto, tale ultima norma prevede il diritto per il lavoratore, nei quindici giorni dalla comunicazione di un licenziamento, a conoscerne i motivi, da comunicarsi dal datore nei successivi sette giorni per iscritto (comma 2), pena l?inefficacia del provvedimento espulsivo (comma 3).
?Presso scrittori e giudici i motivi del recesso, da comunicarsi dal datore a richiesta del lavoratore ex art. 2, comma 2 della legge 604 del 1966, si ? ritenuto debbano essere caratterizzati da specificit? e completezza.
?Sul punto,
?? . . . la motivazione del licenziamento deve essere, perch? risponda al fine cui ? destinata e il datore di lavoro ottemperi realmente all?obbligo posto a suo carico dal 2? comma del citato art. 2 (l. 604/66), sufficientemente specifica e completa, e tale cio? da consentire al lavoratore di individuare con chiarezza e precisione la causa del provvedimento espulsivo, s? da poter esercitare un?adeguata difesa, svolgendo ed offrendo idonee osservazioni o giustificazioni. In tale situazione di fatto (. . .) le conseguenze giuridiche dell?inefficacia del licenziamento dovuta comunque ad assoluta genericit? dei motivi, equivalente a mancata contestazione degli stessi, devono rinvenirsi (. . .) nelle conseguenze previste dall?art.
?In termini analoghi, ancora di recente,
??la? motivazione? del? licenziamento? –? nel caso in cui il lavoratore licenziato chieda al datore di lavoro la comunicazione dei motivi del recesso? –? deve? essere sufficientemente specifica e completa, ossia tale? da? consentire? al? lavoratore? di? individuare con chiarezza e precisione? la? causa? del? suo? licenziamento s? da poter esercitare un’adeguata? difesa? svolgendo? ed? offrendo? idonee? osservazioni? o giustificazioni? (cos?, Cass. civ., sez. lav., 18 giugno 1998, n. 6091).
Giorgio Vanacore
avvocato in Napoli
giorgiovanacoreavv@libero.it
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