Quaestio iuris
Tizio è imputato del reato di favoreggiamento in concorso per aver facilitato l’ingresso di 82 immigrati clandestini nel territorio dello Stato, trasportandoli a bordo di un’imbarcazione sino alla costa italiana.
Il g.i.p. presso il Tribunale di Locri applica una misura cautelare sulla base delle dichiarazioni rese da 3 persone presenti a bordo.
La difesa inoltra una richiesta di riesame, ritenendo che le dichiarazioni sono inutilizzabili, in quanto rilasciate da soggetti imputati di un reato collegato ? in particolare, del reato di cui all’art. 10 bis d.lgs. n. 286 del 1998 ?, per cui era necessario il previo avvertimento che m se avessero reso dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, avrebbero assunto, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimoni, purchè compatibili.
Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria rigetta l’istanza e conferma l’ordinanza cautelare, affermando che tali dichiarazioni sono utilizzabili, dato che sono state rese da persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’indagine, per le quali non è richiesto il preventivo avviso di cui sopra: infatti, «La disposizione di cui all’art. 64 comma 3 lett. c) c.p.p. trova applicazione solo in caso di dichiarazioni rese da soggetto già indagato o comunque raggiunto da indizi di reità, e non in caso di dichiarazioni rese da soggetti sentiti ai sensi dell’art. 351 c.p.p. e quindi non ancora raggiunti da alcuna imputazione, seppure provvisoria».
L’imputato ricorre per Cassazione, ribadendo che quelle dichiarazioni non sono utilizzabili, perché rese da soggetti imputati in un procedimento collegato probatoriamente senza il previo avviso di cui all’art.64.3 lett.c) c.p.p.
Soluzione
La Cassazione è chiamata a chiarire la natura dei 3 soggetti, in modo da determinare il tipo di atto, per inquadrare la disciplina applicabile.
Secondo il g.i.p. ed il Tribunale del riesame, i 3 immigrati sono persone informate sui fatti, l’atto è un’assunzione di sommarie informazione da persona che può riferire circostanze utili ai fini dell’indagine e la disciplina applicabile è l’art.351.1 c.p.p.
Mentre, nel ragionamento della difesa, le 3 persone sono imputati di reato collegato, l’atto è un interrogatorio di soggetto imputato in procedimento collegato probatoriamente e la normativa di riferimento è l’art.363 c.p.p.
La Suprema Corte perviene ad affermare che i 3 immigrati sono imputati di reato collegato.
Infatti, «I soggetti sentiti dalla polizia giudiziaria, già al momento in cui resero dichiarazioni, erano raggiunti da elementi indiziali per il reato di ingresso clandestino nei territorio dello Stato, di cui all’art. 10 bis d.lgs. n. 286 del 1998, come peraltro emerge dal preambolo dei verbali di dichiarazioni, allegati al ricorso, in cui si premette che erano sentiti “in merito al(lo)… sbarco clandestino…».
Chiarito che si tratta di imputati in procedimento probatoriamente collegato, la Corte è chiamata a chiarire se l’atto sia sussumibile all’assunzione di sommarie informazioni da parte della p.g. di cui all’art.351.1bis c.p.p. o si tratti di un vero e proprio interrogatorio del p.m. ex art.362 c.p.p.
Infatti, almeno stando al dato codicistico letterale, nel primo caso, le garanzie si riducono all’avviso al difensore, che ha diritto ad assistere all’atto; mentre, nel secondo caso, la tutela ha un quid pluris, rappresentato, tra l’altro, dalla necessità del previo avviso di cui all’art.64.3 lett.c) c.p.p.
Tuttavia, il problema non riveste alcuna importanza pratica, dato che, nonostante il tenore letterale delle norme, nell’una come nell’altra ipotesi è comunque necessario l’avvertimento sopra menzionato
Infatti, l’art.351.1bis c.p.p. e l’art.362 c.p.p., pur essendo atti omologhi, contengono una diversità di disciplina palesemente priva di giustificazione.
In primo luogo, «Potrebbe dirsi oltremodo irragionevole che le garanzie della persona da sottoporre ad interrogatorio siano minori per il caso in cui proceda la polizia giudiziaria, e maggiori per il caso in cui proceda il pubblico ministero e quindi un organo che, in quanto autorità giudiziaria, è, proprio sul piano della tutela delle prerogative di libertà, maggiormente affidabile per l’ordinamento processuale e costituzionale».
In secondo luogo, bisogna considerare che i due atti omologhi sono destinati ad avere lo stesso trattamento in fase dibattimentale in caso di sopravvenuta impossibilità di ripetizione.
In terzo luogo, è bene far notare che, probabilmente, la disparità di trattamento tra le due norme deriva da un difetto di coordinamento, dovuto al fatto che ambedue gli articoli sono stati novellati, ma con provvedimenti legislativi diversi e distanti temporalmente: infatti, prima fu modificato l’art. 351 c.p.p., con l’aggiunta del comma qui di interesse, ad opera del d.l. 8 giugno 1992, n 306, in una prospettiva volta a potenziare gli sforzi investigativi nel contrasto del crimine organizzato di tipo mafioso, con l’individuazione più tempestiva possibile di eventuali soggetti intranei alle consorterie mafiose e disposti ad offrire collaborazione alla giustizia; quindi, nei contesto del più ampio intervento di novella che adeguò la disciplina codicistica alle nuove disposizioni costituzionali dell’art. 111, fu interpolato l’art. 363 c.p.p., con modifiche di certo maggiormente consapevoli della necessità di assicurare un pieno equilibrio tra le esigenze dell’investigazione e il diritto al silenzio dei soggetti comunque coinvolti dall’accertamento.
La Corte di Cassazione conclude che «pur quando l’atto sia compiuto d’iniziativa dalla polizia giudiziaria, l’interrogatorio delle persone indagate in reato connesso o collegato ai sensi dell’art. 371 comma 2 lett. b) c.p.p. debba essere preceduto, pena l’inutilizzabilità delle dichiarazioni comunque rese, dagli avvisi di cui all’art. 64 c.p.p.».
Per questi motivi, le dichiarazioni dei 3 immigrati sono inutilizzabili e spetta al giudice di merito stabilire se i presupposti per l’applicazione della misura cautelare emergano aliunde.
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