L’esame delle sottoelencate massime della Cassazione, ci conduce a qualche riflessione.
Sez. 3, Sentenza n.5844 del 13/03/2007
L’art. 844 cod. civ. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Viceversa, l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all’articolo 844 cod.civ., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente in "re ipsa", l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’articolo 2043 del codice civile e specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’articolo 2059 cod. civ..
Sez. 2, Sentenza n.17281 del 25/08/2005
I parametri fissati dalle norme speciali a tutela dell’ambiente (dirette alla protezione di esigenze della collettività, di rilevanza pubblicistica), pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l’intollerabilità delle emissioni che li eccedano, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell’ambito privatistico, può anche discostarsene, pervenendo al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 cod. civ., delle emissioni, ancorché contenute in quei limiti, sulla scorta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica (invero posta preminentemente a tutela di situazioni soggettive privatistiche, segnatamente della proprietà). La relativa valutazione, ove adeguatamente motivata, nell’ambito dei criteri direttivi indicati dal citato art. 844 cod. civ., con particolare riguardo a quello del contemperamento delle esigenze della proprietà privata con quelle della produzione, costituisce accertamento di merito insindacabile in sede di legittimità
L’art. 844 cod. civ. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione (peraltro essenzialmente rilevante agli effetti della concessione o meno, da parte del giudice, della tutela inibitoria), l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Al di fuori di tali limiti, si è in presenza di un’attività illegittima, in ordine alla quale non trova ragione di applicazione il criterio della priorità dell’uso, con la conseguenza che l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi rende l’azione inquadrabile nello schema generale di cui all’art. 2043 cod. civ.
Sez. 3, Sentenza n. 19057 del 12/12/2003
Riportata la responsabilità aquiliana nell’ambito della bipolarità prevista dal codice vigente tra danno patrimoniale ( art. 2043 cod.civ.) e danno non patrimoniale ( art. 2049 cod.civ.), e ritenuto che il danno non patrimoniale debba essere risarcito non solo nei casi previsti dalla legge ordinaria, ma anche nei casi di lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti, poiché il danno biologico, quale danno alla salute, rientra a pieno titolo ,per il disposto dell’art. 32 Cost., tra i valori della persona umana considerati inviolabili dalla Costituzione, la sua tutela è apprestata dall’art. 2059 cod.civ., e non dall’art. 2043 cod.civ., che attiene esclusivamente alla tutela dei danni patrimoniali.
Per Cass. 1° febbraio 1995 n. 1156 occorre una situazione di intollerabilità delle immissioni derivante da una continuità, o almeno periodicità, anche se non ad intervalli regolari, delle medesime.
E’ senz’altro idonea la titolarietà di un diritto personale di godimento; secondo Cass. 12 luglio 2006 n.15871 qualora le immissioni siano causate dal locatario del fondo contiguo, la domanda va proposta nei confronti del proprietario quando contenga una pretesa che contenga un accertamento negativo del diritto di servitù oppure comporti una richiesta di modificazione dello stato dei luoghi; altrimenti, se l’azione è diretta alla mera rimozione di una situazione lesiva o a far cessare un’attività, legittimato passivo è soltanto il locatario quale autore delle immissioni (in senso analogo Cass. 29 aprile 2005 n.899).
Nella stessa Corte di Cassazione, tuttavia, sussistono visioni opposte: da un lato, infatti, si ricorre alla nozione di danno esistenziale per offrire un ristoro ai danni riconducibili a lesioni che altrimenti potrebbero restare prive di tutela (si veda ad esempio la compromissione anche soltanto psicologica della capacità sessuale in Cass. 2 febbraio 2007 n.2311, secondo cui la detta perdita costituisce di per sé un danno esistenziale, la cui rilevanza deve essere valutata autonomamente ed apprezzata equitativamente).
Sotto altro profilo, al contrario, emergono periodicamente resistenze verso il riconoscimento di una categoria di danno esistenziale nella quale rischierebbero di essere ricomprese situazioni non previste dall’art. 2059 c.c. (si veda il caso di una lesione deturpante a seguito di intervento chirurgico, ove l’attore chiedeva, in aggiunta al danno liquidato secondo parametri di danno biologico,anche una integrazione a titolo di pregiudizio alla qualità della vita in Cass. 9 novembre 2006 n.23918).
Il punto di approdo odierno sembra essere quello dell’affermazione della tutela dovuta a seguito del deterioramento della qualità della vita, senza necessità di ricondurre la lesione necessariamente nell’ambito del danno biologico, accertabile secondo criteri medico-legali (nel senso della tutela della qualità della vita Cass. 11 aprile 2006 n.8420).
Nel caso delle immissioni oltre la tollerabilità sussisterebbe, quindi, la presunzione di un danno in re ipsa, con esonero della vittima della dimostrazione dell’an del pregiudizio (Cass. 12 marzo 1987 n. 2580 e Cass. 19 ottobre 1978 n. 4963). Non vi sarebbe, pertanto, l’onere della prova di un danno riferibile alla dimensione esistenziale; in particolare non sarebbe necessaria la prova di uno sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto. (Cass. 7 marzo 2007 n. 5221; nonché Cass. 12 giugno 2006 n. 13456 che ammette il ricorso a presunzioni semplici).
L’ipotesi di un automatismo fra immissioni intollerabili e prova del danno esistenziale merita un approccio molto cauto; occorre resistere alla tentazione di dare un valore monetario a qualsiasi manifestazione di fastidio soggettivo, ancorchè conseguente ad un valore di intollerabilità accertato in via obiettiva.
Renato Amoroso
coordinatore dell’ufficio del Giudice di Pace di Monza
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