Introduzione all’informatica giuridica

Dalla toga al computer palmare
 
               La professione di avvocato è certamente antica, risalendo al diritto romano, e fortemente formalista, come conferma il suo simbolo – la toga – che nell’antica Roma costituiva l’abbigliamento delle persone importanti, e delle occasioni solenni.
               Forse proprio per tali caratteristiche, la nostra professione ha resistito, più di ogni altra, alla introduzione delle moderne tecnologie.
               E’ infatti davvero da pochissimo tempo che la maggioranza degli studi legali (anche se non tutti) si è dotata dei moderni, e sempre più indispensabili, strumenti informatici: personal computer, banche dati su cd-rom[1] o dvd[2], collegamenti internet.
 
               Mentre non più di vent’anni fa la tecnologia della massima parte degli avvocati si limitava ad una macchina da scrivere meccanica;
               i repertori di giurisprudenza erano tutti rigorosamente cartacei (e le ricerche di giurisprudenza, con cui i praticanti “procuratori legali” si facevano le ossa, erano davvero estenuanti);
               – per la ricezione o l’invio di rari telefax, da e per evoluti studi milanesi o importanti aziende, gli avvocati utilizzavano il fax del Consiglio dell’Ordine;
               – per le fotocopie, quando non si usavano le veline realizzate con la carta carbone, si andava in copisteria.
              
               Solo alcuni studi, i più importanti, possedevano il telefax e la fotocopiatrice: ed ai pochissimi che volevano affrancarsi dai rulli di nastro inchiostrato e dalla carta carbone, il mercato proponeva costosissimi “sistemi di videoscrittura”, costituiti da uno schermo abbinato ad una macchina per scrivere elettronica; mentre i personal computers utilizzavano stampanti ad aghi dai risultati davvero brutti, e comunque non riuscivano, utilizzando interlinee in pollici, a centrare le righe dei fogli di carta bollata, spaziati dieci millimetri.
              
               Oggi, le applicazioni dell’informatica negli studi legali sono sempre più note ed accessibili:
               – perché facciamo le nostre ricerche di giurisprudenza, o di legislazione, utilizzando quotidianamente le banche dati su DVD (e, magari, provando ad estendere la ricerca anche ai siti giuridici sempre più diffusi su Internet);
               – perché, sempre più spesso, comunichiamo con i colleghi ed i clienti utilizzando, oltre al fax, anche la posta elettronica;
               – perché scriviamo normalmente utilizzando un personal computer, e spesso anche un minuscolo computer “palmare”[3] e stampiamo i nostri atti e le nostre comparse con i risultati perfetti consentiti dalla stampante laser;
               – perché abbiamo addirittura difficoltà a tornare ad usare le macchine per scrivere, le cui tastiere sono diverse da quelle dei computer (che recano in alto a sinistra i tasti “QWERTY”, anziché i tasti “QZERTY”, e non hanno il tasto “L” a destra del tasto “M”).
 
               Le applicazioni del computer alla nostra professione non esauriscono – però – l’ambito dell’informatica giuridica: che è una materia in via di formazione, che propone – ad ogni nuovo passo – nuovi quesiti, e nuove risposte.
               Cercheremo, in proposito, di illustrare alcuni argomenti, di rilevante attualità.


la firma digitale
 
               Va innanzitutto precisato che la firma digitale non è l’immagine digitalizzata della sottoscrizione apposta ad una scrittura privata.
               Il chiarimento – benché banale – appare necessario: visto che una società catanese, che si occupa di informatica, è rimasta sbigottita sentendosi dire dal Direttore di un Istituto del C.N.R. (consiglio nazionale delle ricerche), che per formalizzare una fornitura di software era sufficiente la trasmissione, in formato PDF[4], della lettera d’ordine e della successiva lettera di consegna (avente valore di licenza d’uso del software fornito): essendo le lettere regolarmente sottoscritte dal Direttore, infatti, tali PDF contenevano già – secondo lui – la “firma elettronica”.
               Con buona pace di tali ricercatori, tuttavia, quel documento costituisce bensì un documento informatico, ossia “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti” [5]; e tuttavia, essendo privo della necessaria autenticazione, esso equivale in tutto e per tutto ad una fotocopia non autenticata, avente efficacia, ai sensi dell’art. 2719 del cod. civ., soltanto se non espressamente disconosciuta.
               Premesso che la legge distingue tra “normale” firma elettronica (pari ad una generica autenticazione informatica del documento) e firma elettronica qualificata [6] (avente avanzatissime caratteristiche di sicurezza), la firma digitale appartiene alla seconda di tali categorie, e consente di equiparare il documento informatico all’originale di un documento autografo [7].
               La firma digitale, infatti, conferisce certezza:
               – alla paternità del documento, similmente a quanto consente la sottoscrizione autografa (essendo sicuramente stato formato utilizzando la “smart card” del firmatario – simile ad una carta bancomat od alla scheda di un telefono cellulare – ed il correlato PIN – Personal Identification Number) [8];
               – all’integrità del suo contenuto, nel senso che benché qualsiasi documento informatico (e qualsiasi file) possa essere agevolmente modificato, mediante sostituzione del suo contenuto o di parte di esso, la firma digitale consente di rilevare se il documento digitalmente “firmato” abbia subito una qualsiasi modifica, e non possa perciò ritenersi veramente autentico.
               Il risultato di tale autenticazione è il valore legale pari a quello della “scrittura privata”, che la legge espressamente attribuisce al documento digitale “firmato” [9], con ogni conseguenziale effetto in materia di atti per i quali la forma scritta è richiesta “ad substantiam”.
 
 


il valore legale delle comunicazioni e notificazioni informatiche.
 
               Le più recenti innovazioni apportate alla procedura civile riguardano le comunicazioni e notificazioni eseguite con strumenti informatici, ossia mediante il telefax e la posta elettronica.
               Non tutto, però, è semplice come sembra.
 
il telefax
               Il telefax (o, semplicemente, fax) è oggi uno strumento comunissimo e capillarmente diffuso: mediante il quale, attraverso una normale linea telefonica, all’altro capo della quale sia installato un analogo apparecchio telefax, viene trasmessa in pochi secondi l’immagine (c.d. telefoto) di un documento.
               L’apparecchio telefax, al termine di una trasmissione, rilascia un cosiddetto “rapporto di trasmissione”: nel quale è indicata la data e l’ora del messaggio, il numero di telefono del destinatario, e l’esito positivo della trasmissione.
               Ora, in caso di contestazione, tale rapporto di trasmissione costituisce la prova dell’invio del documento ?
               E’ convinzione diffusa che la risposta non possa che essere positiva: e tale convinzione è supportata non solo dalla circostanza che molti Giudici abbiano previsto già negli anni passati, quale modalità di notificazione di alcuni provvedimenti, l’invio a mezzo telefax;
               ma addirittura da espresse, recenti, previsioni normative[10] che hanno introdotto la comunicazione e la notificazione a mezzo telefax e posta elettronica, “nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi”.
 
               In effetti, la comunicazione o notificazione a mezzo telefax, se effettuata da un Pubblico Ufficiale preposto alla comunicazione o notificazione , non sembrerebbe porre particolari problemi.
               In tali casi infatti, così come il Cancelliere può eseguire le comunicazioni dei biglietti di cancelleria[11], e l’Ufficiale Giudiziario può notificare atti e provvedimenti[12], certificando quali Pubblici Ufficiali la consegna, si riteneva ovvio che gli stessi soggetti avessero la capacità di certificare di aver inserito nell’apparecchio telefax quel documento, di aver composto quel numero di telefono (corrispondente al destinatario), e di aver ottenuto dall’apparecchio quel “report”, conferendo certezza all’invio.
               Per come esattamente osservato[13], però, tali precauzioni non consentono di dimostrare, in caso di contestazione, che il messaggio sia effettivamente pervenuto al destinatario: essendo ben possibile – ad esempio – che l’apparecchio telefax del destinatario sia rimasto privo di carta o si sia inceppato, o che abbia subito una interruzione della alimentazione elettrica, ovvero un qualunque malfunzionamento.
 
               A ciò occorre aggiungere che, qualora le operazioni di invio del documento non siano attestate da Pubblico Ufficiale, la esistenza di un report – ancorché regolare e non falsificato [14] – non dimostra per nulla l’effettiva composizione di un certo numero telefonico: l’apparecchio telefax, infatti, ben può essere ingannato da appositi “simulatori di linea telefonica” [15], e quindi attestare l’effettuazione di una trasmissione mai compiuta.
               Poiché non esiste nessuna normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi (avendo tutt’altro scopo quella posta dalla Legge 7 giugno 1993, n. 183[16]) deve ritenersi che la norma sia attualmente lacunosa, non offrendo alcuna garanzia al difensore che decida di eseguire una notifica del nuovo processo societario mediante telefax (con il rischio di incorrere in nullità), nè a quello che risulti aver ricevuto un biglietto di cancelleria, e sia costretto – per ciò – a dover richiedere la rimessione in termini di cui all’art. 184 bis c.p.c..
la posta elettronica
 
               Diverso è il caso della posta elettronica: che consiste in un messaggio informatico, inviato al proprio "Interner provider" dal mittente, identificato da un preciso indirizzo e-mail (ad es: a.augerio@tin.it; il provider nell’esempio e’ identificato dal suffisso @tin.it );
               da questo, quindi, recapitato all’"Internet provider" del destinatario, identificato da altro indirizzo e-mail (ad. es: n.negidio@tiscali.it);
               ed infine, trasmesso al destinatario (quando il medesimo si colleghi al proprio provider, per scaricare la propria posta).
 
               Il problema è – però – che nè il provider del mittente, nè quello del destinatario, sono normalmente in grado di documentare il contenuto, l’invio, e la ricezione del messaggio: sicché non vi è prova legale dell’invio, così come avviene per la corrispondenza inviata per posta ordinaria.
               Vero è che esiste la possibilità di richiedere una “conferma di lettura del messaggio”: e però non solo il destinatario ha la possibilità di negare l’invio di tale conferma, subordinata alla sua espressa accettazione, ma non vi è comunque prova circa l’effettivo contenuto del messaggio.
 
               Per ovviare a tale problema è stata introdotta la c.d. Posta Elettronica Certificata (PEC), equiparabile – in sostanza – alla posta raccomandata con ricevuta di ritorno: l’unico problema – in parte aperto – è quello della identificazione del mittente, possibile con vari sistemi ma sicura soltanto attraverso l’uso della “smart card” (la stessa che consente la firma digitale) e dell’associato PIN.
               L’uso della Posta Elettronica Certificata, tuttavia, è sempre subordinato alla espressa preventiva adesione del destinatario a tale sistema di comunicazione: perché “il documento informatico trasmesso per via telematica (…) si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato” [17], e ciò costituisce una grave conseguenza per il normale utente che – come spesso accade – dimentica di aprire la propria casella di posta elettronica.
               Per tale motivo, deve ritenersi che sia una facoltà dell’avvocato (che, prima, dovrà porre attenzione alle conseguenze legali di tale presunzione di conoscenza della posta elettronica), e non certo un obbligo, la indicazione dell’indirizzo di posta elettronica prevista dagli artt. 132, 170, 176, 183 e 366 del codice di procedura civile, nonché dagli artt. 2, 4 e 17 del D.L. 17-01-2003 n. 5 (nuovo processo societario).il polis-web
 
               Da pochissimo tempo molte Cancellerie civili sono dotate di personal computers, mediante i quali molti registri di cancelleria sono stati informatizzati (e molti lo saranno fra breve): è quindi possibile disporre di una enorme quantità di dati, che occorreva rendere accessibile anche agli avvocati, che di tali dati sono i più assidui fruitori.
               Giova ricordare – ad onore della classe forense – che l’informatizzazione della giustizia italiana è anche merito “nostro”: nel senso che, gravata da croniche carenze di personale e di investimenti, l’amministrazione della giustizia è stata in grado di provvedere soltanto al caricamento dei “nuovi” fascicoli, mentre sono stati gli avvocati, a proprie spese e con proprio personale, a provvedere al caricamento dei fascicoli “vecchi”.
               Senonché, per ragioni di sicurezza, la consultazione dei registri informatici di cancelleria non è cosa semplice, occorrendo evitare accessi non autorizzati (anche ai fini della tutela della privacy), e la possibilità di alterazioni dei dati, da parte di hackers malintenzionati.
               L’accesso ai dati, e la possibilità di metterli a disposizione dei propri utenti, attraverso Internet, è quindi sottoposto a particolari regole, ed è consentito soltanto ad importanti Società in grado di soddisfare particolari requisiti organizzativi e tecnici, oppure ai Consigli dell’Ordine degli Avvocati.
               Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna è stato il primo, e quello di Catania il secondo, a provvedere direttamente, con propri tecnici e proprie attrezzature, alla creazione di un punto di accesso PolisWeb, del quale andiamo giustamente orgogliosi: mentre altri Ordini hanno preferito rivolgersi alle Società accreditate, con conseguenti ben maggiori costi.
               Oggi, quindi, ciascuno dei nostri iscritti può collegarsi – previa abilitazione, da richiedere all’Ordine – al punto di accesso dell’Ordine degli Avvocati di Catania: e consultare, quindi, tutti i procedimenti nei quali risulta costituito, avanti ciascuno degli Uffici Giudiziari presenti sul sito nazionale PolisWeb [18].
               Non occorre più, quindi, recarsi ogni giorno nelle varie cancellerie, per chiedere se il Giudice ha sciolto una riserva, se è stata pubblicata una sentenza, o se il Consulente tecnico d’ufficio ha depositato una perizia: ottenute tali informazioni via Internet, è possibile recarsi in Cancelleria solo “a colpo sicuro”.
               Attraverso il PolisWeb possiamo compiere tutta una serie di utili ricerche, quali:
               – la consultazione dell’agenda, ossia la ricerca di qualunque evento relativo alle nostre cause (anche in relazione ad un certo arco temporale);
               – la consultazione dei nostri fascicoli, per numero di ruolo, oppure per nome della parte, o per data di udienza;
               – la consultazione dell’archivio fascicoli, che permette di conoscere il numero di ruolo generale, il giudice, la sezione di assegnazione e la data di prossima udienza di un fascicolo e quindi di identificare la causa della quale – ad esempio – conosciamo solo l’atto di citazione, appena portato da un nuovo cliente.
               Le funzionalità del PolisWeb sono in continua espansione, così come gli Uffici giudiziari presenti nel sistema.il processo civile telematico
 
               Per come riportato dalla stampa e dalla televisione, nei mesi scorsi, Catania è una (la terza, in ordine di tempo) delle sedi della sperimentazione del processo civile telematico.
               La sperimentazione, al momento, è limitata all’invio telematico dei ricorsi per ingiunzione di pagamento e consegna, e ad un gruppo di avvocati sperimentatori (in via di espansione); prevede comunque, in una prima fase, la parallela presentazione del fascicolo cartaceo, al fine di evitare ed approfondire ogni problema di eventuali nullità del procedimento.
 
               Il nostro sistema processuale, infatti, è ancora basato su una concezione cartacea del documento e del fascicolo: ed occorre ancora molta buona volontà, ed un certo tempo, prima che l’avvocato ed il giudice possano compiere buona parte della propria attività professionale dalla tastiera di un computer.
 
               Il processo telematico è vincolato dai soliti problemi in termini di sicurezza dei dati, ed autenticità dei documenti e della loro firma, che sembrano perfettamente risolti attraverso l’uso della solita smart-card;
               richiede una accurata strutturazione dei dati contenuti negli atti giudiziari informatici (al fine di consentire, ad esempio, l’automatica trascrizione dell’atto nei registri di cancelleria informatici), che risulta soddisfatta attraverso l’utilizzo del particolare formato XML[19].
               Il processo telematico è, però, molto più complesso di quanto sembri:
               non solo, perchè determina un completo stravolgimento dello stesso concetto di processo, strettamente connaturato al concetto di fascicolo e di documento cartaceo, che ha richiesto e richiederà importanti adattamenti normativi;
               ma perché comporta, anche e soprattutto, la necessità di immaginare, organizzare e risolvere – insomma, progettare – tutte le fasi del suo funzionamento, con la stessa meticolosità e perfezione con cui si progetta un qualunque software, prevedendo (come in un diagramma di flusso) ogni possibile caso pratico, e la sua automatica soluzione senza necessità far crescere esponenzialmente – anziché diminuire – gli interventi umani.
               Per tale motivo, la sperimentazione – e la sua estensione, quantitativa e qualitativa – appare necessaria per la verifica “sul campo” della completa funzionalità del sistema, e delle innumerevoli soluzioni studiate ed approntate;
               e perché emergano – anche – quei mille casi pratici, particolarissimi, che non sono stati previsti (e non potevano esserlo) dai tecnici, dai magistrati, dagli avvocati e dai cancellieri, che da anni lavorano al progetto.
               Ben più semplice è – per fortuna – l’utilizzo del processo telematico per gli avvocati: i quali non sembrano avere incontrato particolari difficoltà:
               – a redigere e firmare l’atto di parte, avvalendosi di un apposito software (Redattore Atti), fornito ai soli fini sperimentali, integrato con strumenti software per la firma, la cifratura e l’imbustamento;
               – a depositare, mediante invio telematico, l’atto di parte (ricevendo dal c.d. Gestore Centrale la relativa attestazione temporale e successivamente la ricevuta elettronica di avvenuta presa in carico da parte dell’Ufficio Giudiziario);
               – a ricevere le comunicazioni dell’Ufficio Giudiziario nella propria "Casella di Posta Elettronica del Processo Telematico" (nel seguito CPEPT).
 
               Anche se la strada da percorrere è ancora lunga, il momento in cui potremo esercitare la nostra professione all’interno di un unico, grande, ufficio giudiziario virtuale non appare poi così lontano.
(avv. Francesco Isola)


[1] acronimo di Compact Disc Read Only Memory (memoria a sola lettura su compact disc).
 
[2] nato come acronimo di Digital Video Disc, essendo inizialmente utilizzato per i files video, è stato poi modificato in Digital Versatile Disc, vista l’estensione delle sue applicazioni ad altri campi.
[3] “palm-top”, ossia computer che si tiene nel palmo della mano, evoluzione miniaturizzata del “lap-top”, cioè del computer che si poteva tenere sulle ginocchia
[4] il PDF, Adobe Portable Document Format, è il formato omogeneo nel quale il software commerciale Adobe Acrobat® converte documenti , consentendone il trasferimento su sistemi eterogenei (Windows, MacIntosh, IBM AIX, Palm OS, ecc.); i documenti in tale formato possono essere consultati e stampati da chiunque, utilizzando il programma gratuito Adobe Acrobat® Reader.
 
[5] come definito dall’art. 1, lett. P, decreto legislativo 07-03-2005 n. 82
[6] L’art. 1 del D.L.vo n. 82/2005 definisce:
q) firma elettronica: l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica;
r) firma elettronica qualificata: la firma elettronica ottenuta attraverso una procedura informatica che garantisce la connessione univoca al firmatario e la sua univoca autenticazione informatica, creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati, che sia basata su un certificato qualificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma, quale l’apparato strumentale usato per la creazione della firma elettronica;
s) firma digitale: un particolare tipo di firma elettronica qualificata basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici
 
[7] art. 25 co. 2 D.L.vo n. 82/2005: “L’apposizione di firma digitale integra e sostituisce l’apposizione di sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere ad ogni fine previsto dalla normativa vigente (…)”
 
[8] e l’art. 21 del D.L.vo n. 82//2005 stabilisce (presunzione iuris tantum) che “l‘utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che sia data prova contraria”, ma appare evidente la sostanziale impossibilità della prova contraria.
[9] art. 21, co. 2, D.L.vo n. 82/2005: “Il documento informatico, sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica qualificata, ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del codice civile.”
[10] legge 28-12-2005 n. 263 (Interventi correttivi alle modifiche in materia processuale civile), e D.L. 17-01-2003 n. 5 (nuovo rito societario)
 
[11] art. 136 cod. proc. civ. e art. 45 disp. attuazione c.p.c.
 
[12] art. 137 cod. proc. civ.
 
[13] Francesco Tedeschi, Il regime delle comunicazioni e delle notificazioni nel processo civile novellato, in http://avvocati.gocity.it/pubblica/articolo.php?articolo=406
 
[14] la falsificazione di un report ben può essere eseguita mediante una normalissima stampante su carta termica, od ink-jet, o laser, a seconda del modello di fax al quale si voglia fare riferimento.
 
[15] Tali apparecchi, prodotti per poter collaudare modem, fax, segreterie e telefoni senza necessità di collegarli ad una linea telefonica, sono normalmente in commercio a costi accessibili, o facilmente realizzabili da ogni tecnico od appassionato – in forma semplificata – utilizzando gli appositi schemi reperibili su internet.
 
[16] relativa soltanto alla trasmissione di atti fra codifensori, che ne certificano l’autenticità.
[17] v. comma 1 dell’articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, come modificato dal D.L.vo n. 82/2005
[18] Corte d’Appello di Lecce, Tribunale di Ancona, Tribunale di Bari, Tribunale di Bologna (Imola e Porretta Terme), Tribunale di Cassino, Tribunale di Catania, Tribunale di Firenze, Tribunale di Genova, Tribunale di Grosseto (Orbetello), Tribunale di Lecce (Casarano, Campi Salentina, Maglie, Nardò), Tribunale di Lucera, Tribunale di Macerata, Tribunale di Nocera Inferiore, Tribunale di Pesaro, Tribunale di Pescara, Tribunale di Ragusa (Vittoria), Tribunale di Rimini, Tribunale di Teramo (Atri e Giulianova), Tribunale di Verona
[19] acronimo di eXtensible Markup Language

Francesco Isola

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