Massima:
L’esclusione dalla iscrizione alla Cassa ingegneri e architetti (prevista dall’art. 2 della L. 1046/1971) per il professionista in relazione al periodo in cui questi sia stato iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria non opera per il solo fatto dell’iscrizione dell’ingegnere o architetto ad altra Cassa, essendo necessario anche, ai fini dell’esclusione, che il professionista abbia effettivamente svolto l’attività professionale tutelata dall’altra Cassa.
1. Questione
La corte di appello ha condannato l’INARCASSA (Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Ingegneri e Architetti Liberi Professionisti) a risarcire il danno cagionato ad un ingegnere, liquidato in misura pari alla pensione di reversibilità che le sarebbe spettata, oltre agli interessi.
La Corte d’appello precisa che è errata la pretesa di INARCASSA di invalidare l’iscrizione alla Cassa del defunto ingegnere per il periodo 1° dicembre 1979-30 novembre 1980 perché, essendo l’attività lavorativa pacificamente cessata il 30 novembre 1979 ed essendo da quella data cominciato il periodo annuale di preavviso con corrispondente versamento dei contributi all’INPDAI ma senza svolgimento di attività lavorativa, la suddetta fattispecie non poteva farsi rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 2 della legge n. 1046 del 1971. Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, tale ultima disposizione nell’escludere dall’iscrizione alla Cassa i professionisti iscritti ad altre forme di previdenza non opera per il semplice fatto della esistenza di una ulteriore iscrizione, ma presuppone che a tale ulteriore iscrizione corrisponda l’effettivo svolgimento della corrispondente attività lavorativa.
L’INARCASSA ha proposto ricorso per cassazione, che è stato rigettato.
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2. Esclusione alla cassa ed interpretazione dell’art. 2 della L. 1046/1971
La questione da decidere nella presente causa attiene alla interpretazione dell’art. 2 della L. 1046/1971 (che modifica la precedente L. 179/1958), per cui ” … sono esclusi dalla iscrizione alla Cassa gli Ingegneri ed architetti iscritti a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata”. La disposizione venne sostanzialmente reiterata con l’art. 1 del regolamento di esecuzione della legge medesima, approvato con D.P.R. 301/1975, il quale prevede che “l’iscrizione alla cassa è obbligatoria per tutti gli ingegneri e architetti iscritti nei rispettivi albi professionali nei cui confronti non esiste divieto, per legge, di esercitare la libera professione e che non siano iscritti a forma di previdenza obbligatoria in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato e comunque di altra attività esercitata”, ed ancora ripetuta con l’art. 21, comma 5, della L. 6/1981, per cui “sono esclusi dall’iscrizione alla Cassa ai sensi dell’art. 2 della L. 1046/1971, gli ingegneri e gli architetti iscritti a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata”.
In particolare si tratta di decidere se detta esclusione operi per il solo fatto della iscrizione dell’architetto o dell’ingegnere ad altra cassa, oppure se sia necessario anche, sempre ai fini dell’esclusione, la esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ovvero lo svolgimento di altra attività professionale.
La sentenza impugnata ha ritenuto che, stante il tenore letterale della disposizione, fosse sufficiente, per escludere il diritto di iscrizione alla Cassa, la semplice iscrizione ad altre forme di previdenza obbligatoria, senza necessità, anche dello svolgimento della attività corrispondente. Questa tesi è errata, in primo luogo alla luce del tenore letterale della disposizione, la quale – per determinare la esclusione della iscrizione alla Cassa ingegneri ed architetti – non fa riferimento solo “alla iscrizione a forme di previdenza obbligatorie” ma precisa che queste devono essere “in dipendenza” di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata. E’ ben vero che i vari sistemi previdenziali nell’ambito delle libere professioni conservano una propria autonoma individualità (Corte Costituzionale n. 108 del 1989 e n. 259 del 1992), di talchè ciascuno di essi regola diversamente le condizioni per l’accesso alla tutela, tuttavia, alla luce dei principi fondamentali del sistema della previdenza sociale, non può darsi alcuna forma di previdenza obbligatoria senza l’esercizio della attività a cui la medesima assicurazione è preordinata. Ad esempio non è neppure astrattamente ipotizzatale che un qualunque soggetto possa essere assicurato all’A.G.O. se non sussiste il rapporto di lavoro subordinato, lo vieta il principio generale di sistema per cui la iscrizione ad una qualunque gestione previdenziale ha come presupposto indefettibile, e ragione intrinseca della tutela, lo svolgimento della attività lavorativa corrispondente.
La disposizione è sicuramente finalizzata ad escludere ogni ipotesi di doppia iscrizione, in contemporanea, alla Cassa ingegneri ed architetti e ad altre diverse forme di assicurazione, perchè ogni qualvolta vige una di queste ultime, il che può avvenire solo in forza dello svolgimento dell’attività lavorativa prevista, viene meno il diritto e l’obbligo di iscriversi alla Cassa ingegneri ed architetti. Tuttavia il riferimento alla iscrizione ad altra assicurazione obbligatoria ha come presupposto imprescindibile lo svolgimento di quella attività per la quale vige l’obbligo di assicurazione, ed anzi il riferimento fatto dalla norma alla “dipendenza” della assicurazione alla atti viti esercitata può apparire addirittura pleonastico. D’altra parte ogni forma di previdenza obbligatoria comporta che si versi all’ente previdenziale un contributo commisurato al reddito percepito.
La precisazione “in dipendenza…” che appare, come detto, pleonastica, può trovare giustificazione considerando che, soprattutto nel passato, vigevano forme assicurative dei liberi professionisti che imponevano la iscrizione automatica ad una cassa di previdenza per il solo fatto di essere iscritti all’albo, anche se la attività professionale non veniva di fatto svolta. Ad esempio la L. 3 aprile 1958, n. 179, prevedeva “Sono iscritti alla Cassa tutti gli ingegneri e gli architetti che possono per legge esercitare la libera professione”. Questa disposizione, confermata dall’art. 2 della L. 1046/1971, faceva praticamente ed automaticamente coincidere iscrizione all’albo ed iscrizione alla cassa, anche se l’ingegnere o l’architetto non svolgevano di fatto la loro professione. Solo con l’art. 21 della L. 6/1981, è stata modificata la disciplina di accesso alla Cassa ingegneri ed architetti, condizionando il diritto alla tutela della Cassa non solo alla iscrizione all’albo, ma anche allo svolgimento continuativo dell’attività professionale. Quindi il riferimento alla “dipendenza” dell’attività svolta di cui alla norma in commento si può spiegare nell’intento di includere nella sfera di operatività della tutela approntata dalla Cassa, quegli ingegneri ed architetti che – essendo iscritti anche ad albo professionale diverso – erano obbligatoriamente assoggettati anche ad altra forma previdenziale, dalla quale però non ricevevano piena tutela perchè, non svolgendo l’attività professionale cui quella cassa era preordinata, non pagavano i contributi commisurati al reddito professionale conseguito.
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