Ipotesi di responsabilità da contatto sociale

Redazione 29/01/19
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La categoria della responsabilità da contatto sociale è sempre più utilizzata dalla giurisprudenza. Nonostante essa sorga in assenza di un contratto che vincoli le parti, la responsabilità da contatto sociale è sottoposta al regime di cui all’art. 1218 c.c.

Responsabilità da contatto sociale

E’ possibile ravvisare una responsabilità da contatto sociale in presenza di alcuni requisiti: (i) il carattere determinato dei soggetti tra i quali il contatto si instaura per il raggiungimento di uno scopo comune; (ii) il coinvolgimento nell’ambito del contatto di beni della vita meritevoli di protezione; (iii) la sussistenza di un obbligo di diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c.  in capo ad uno dei soggetti coinvolti nel contatto sociale, di tal che l’altro soggetto possa riporre un ragionevole affidamento sulla professionalità della condotta altrui; (iv) l’inadempimento di specifici obblighi di protezione da parte dell’operatore professionale; (v) la mancanza di un contratto che vincoli le due parti.

Detto altrimenti, pur in mancanza di un contratto che obblighi i soggetti coinvolti ad effettuare delle prestazioni, dal contatto sociale sorge un obbligo di protezione in capo all’operatore professionale, che implica anche l’obbligo di tenere talune condotte attive. Si è parlato, in proposito, di obbligazioni senza prestazione.

La responsabilità da contatto sociale non trova dunque fondamento in un contratto ma, piuttosto, in un contatto sociale giuridicamente qualificato dall’ordinamento giuridico e produttivo di obblighi di protezione. Tuttavia, essa è comunque sottoposta a quello che (con una sineddoche) viene definito come regime della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c..

Come noto, ex art. 1173 c.c. le fonti delle obbligazioni sono essenzialmente di tre tipi (il fatto illecito, il contratto e qualunque altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico). Tuttavia, le norme che regolano la responsabilità sono soltanto due: l’art. 1218 c.c. e l’art. 2043 c.c.

Si ritiene ormai che nell’ambito del modello contrattuale rientrino tutti i casi di responsabilità da inadempimento ad una precedente obbligazione (dunque non derivanti dal mero dovere del neminem laedere), ivi incluse le ipotesi di responsabilità da contatto sociale.

La riconduzione della responsabilità da  contatto sociale sotto il regime della responsabilità contrattuale produce rilevanti conseguenze sul piano del riparto dell’onere della prova giacché, secondo quanto affermato nella storica sentenza delle Sezioni Unite n. 13533/2001, il danneggiato (creditore) potrà limitarsi a provare il titolo della pretesa e ad allegare l’inadempimento del debitore, mentre sarà il debitore a dover dimostrare di avere adempiuto o che l’inadempimento non è a lui imputabile. Viceversa, qualora la responsabilità da contatto sociale fosse invece stata qualificata come aquiliana, l’onere della prova sarebbe gravato interamente sul danneggiato.

Sul tema:La teoria del contatto sociale: profili generali, disciplina, casistica

Contatto sociale e casistica

Uno dei campi di elezione della responsabilità da contatto sociale è sempre stato quello della responsabilità del medico dipendente dalla struttura sanitaria.

Fino alla introduzione della Legge Gelli-Bianco la responsabilità derivante da errore medico nei confronti del paziente veniva ricondotta in ogni caso sotto il regime dell’art. 1218 c.c.: quella della struttura sanitaria, in quanto con questa il paziente ha stipulato un contratto di spedalità; quella del medico dipendente dalla struttura sanitaria, in forza della sussistenza di un contatto sociale qualificato.

In particolare, nel caso di danni arrecati al paziente dal medico dipendente di una struttura sanitaria, il medico rispondeva direttamente in forza del contatto sociale qualificato e la casa di cura rispondeva ex art. 1228 c.c., con conseguente concorso di responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c..

La Legge Gelli-Bianco, per abbattere il rischio di una medicina difensiva e per introdurre un modello di responsabilità meno gravoso nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, ha espressamente stabilito la natura aquiliana della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria per i danni cagionati per effetto del suo operato.

La Corte di Cassazione (con sentenza n. 14188/2016) ha poi chiarito che anche la responsabilità precontrattuale è una responsabilità da contatto sociale, che soggiace al regime giuridico della responsabilità contrattuale. La trattativa è infatti una fonte di obbligazioni ex art. 1337 c.c. (obblighi specifici di diligenza e di buona fede) che precede la conclusione del contratto. In tal caso, manca dunque un contratto ma, al contempo, obbligazioni di protezione nei confronti della controparte sorgono in forza degli obblighi di correttezza e buona fede imposti dall’art. 1337 c.c.

È stata qualificata come responsabilità da contatto sociale anche quella della banca per false informazioni ai terzi e per il pagamento di assegni non trasferibili a soggetto non legittimato. Si è affermato che una responsabilità da contatto sociale in capo alla banca è ravvisabile qualora essa abbia illegittimamente consentito la riscossione di un assegno da parte di un soggetto non legittimato (in quanto diverso dal creditore legittimato), senza che la banca abbia adempiuto agli obblighi di diligenza in merito all’identificazione del soggetto asseritamente legittimato (sul punto, da ultimo, le Sezioni Unite n. 12477/2018).

Una responsabilità da contatto sociale è stata ravvisata anche nei rapporti tra insegnante e alunno, qualora vi sia stato un inadempimento agli obblighi di vigilanza. In particole le Sezioni Unite n. 9346/2002 hanno escluso l’applicabilità dell’art. 2048 c.c. (e quindi la natura aquiliana della responsabilità dell’insegnante), in quanto tale norma attiene alla responsabilità del vigilante per lesioni nei confronti dei terzi. La Cassazione (con sentenza n. 21593/2017) ha poi chiarito che l’obbligo di vigilanza si estende anche oltre l’orario scolastico e il confine della scuola, in quanto persiste fino a quando il minore non venga sottoposto alla vigilanza altrui.

Secondo la giurisprudenza di merito è poi possibile ascrivere all’ambito del contatto sociale anche la responsabilità dell’istituto penitenziario per il trattamento del detenuto che risulti contrario all’art. 3 CEDU. La qualificazione di tale responsabilità come da contatto sociale muove dalla assenza di un vero e proprio contratto tra il detenuto e l’istituto penitenziario.

È stata ipotizzata una responsabilità da contatto sociale anche nel caso di inadempimento di obblighi derivanti dal rapporto di mediazione tipica ex art. 1754 c.c. La giurisprudenza più recente (Cass. n. 16382/2009) nega infatti che si sia in presenza di un contratto, affermando invece la sussistenza di un contatto sociale qualificato. L’instaurazione da parte del mediatore della trattativa finalizzata alla conclusione dell’affare dà luogo a un contatto giuridicamente qualificato alla luce: (i) della determinatezza dei soggetti; (ii) della professionalità del mediatore che deve essere iscritto ad un albo; (iii) della rilevanza del bene giuridico tutelato e degli obblighi di correttezza e diligenza.

Di responsabilità da contatto sociale si potrebbe anche parlare, in ambito societario, con riferimento alla figura dell’amministratore di fatto. In tal caso manca una nomina giuridicamente vincolante e, al contempo, atti di mala gestio non potrebbero essere opportunamente ricondotti alla mera violazione del principio di neminem laedere.

Infine, la giurisprudenza ha cercato di configurare una responsabilità da contatto sociale in capo alla P.A. nel caso di violazione di obblighi comportamentali imposti dalla legge 241 del 1990 (es. garanzia della difesa, partecipazione procedimentale, garanzia del tempo, garanzia del contraddittorio) nel corso del procedimento. Prevale però la tesi che, in tal caso, verrebbe in rilievo una responsabilità di tipo aquiliano, sulla scorta dell’insegnamento della nota sentenza della Cassazione n. 500/1999.

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