La Sesta Sezione penale, in tema di prove, ha affermato che è illegittimo il decreto di ispezione informatica con il quale il pubblico ministero, prima di disporre la restituzione della “copia forense” dei dati acquisiti tramite il sequestro probatorio di telefoni cellulari, annullato dal tribunale del riesame, acquisisca nuovamente i medesimi dati, trattandosi di provvedimento inosservante della decisione giurisdizionale con conseguente venir meno del potere dell’organo inquirente di incidere ulteriormente sul bene, neppure soggetto a confisca obbligatoria, sicché l’acquisizione di tali dati configura la violazione della sfera di libertà e segretezza della corrispondenza, al di fuori dei presupposti stabiliti dall’art. 15 Cost. (In motivazione, la Corte ha precisato che le “chat” in tal modo acquisite, affette da “inutilizzabilità patologica”, non sono utilizzabili nella fase delle indagini e a fini cautelari).
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Indice
1. I fatti
Il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza del Gip di Nola applicativa della misura degli arresti domiciliari nei confronti dell’indagato per i delitti di cui agli artt. 110 e 353 cod. pen., artt. 319 cod. pen., artt. 81, 40 cpv., 110 cod. pen. e 21, comma 1, l.n. 646/1982.
Avverso tale ordinanza, l’indagato ha proposto ricorso per Cassazione affidato a molteplici motivi con cui, in sostanza, si sono dedotti: inutilizzabilità della messaggistica tratta dai cellulari sequestrati in quanto il sequestro probatorio è stato successivamente annullato per carenza di motivazione; violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta “proporzionalità e adeguatezza del sequestro dei dati digitali“; violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche disposte in un diverso procedimento penale in violazione dell’art. 270 cod. pen.; violazione di legge e vizi di motivazioni in relazione alla gravità indiziaria dei reati contestati.
2. Ispezione informatica prima della restituzione dei beni sequestrati: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare fondato il ricorso, ha osservato (per ciò che in questa sede rileva) che il Tribunale del riesame aveva effettivamente annullato per carenza di motivazione il sequestro probatorio del cellulare dell’indagato e di altri soggetti, disponendone la restituzione.
Prima di procedere all’incombente, però, il Pubblico ministero ha disposto una “ispezione telematica” con riacquisizione dei dati informatici, utilizzati quindi nella richiesta cautelare e posti a fondamento della misura detentiva applicata all’indagato.
Tale modus procedendi ha integrato, ad avviso della Suprema Corte, una violazione del provvedimento giurisdizionale, neutralizzandone gli effetti attraverso l’utilizzo improprio di un atto di ricerca della prova, che era stato ritenuto, dal tribunale del riesame reale, nullo.
Alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 170 del 2023 e di due pronunce delle Sezioni Unite, le chat costituiscono non mera documentazione acquisibile ex art. 234 cod. proc. pen., ma “corrispondenza informatica” che quindi doveva essere acquisita attraverso un provvedimento di sequestro ex art. 254 cod. proc. pen., nella specie non intervenuto.
I dati acquisiti in modo illegittimo non sono utilizzabili neppure nella fase delle indagini e a fini cautelari. Ritiene la Corte che gli elementi indiziari derivanti dalla ispezione informatica sopra descritta siano affetti da “inutilizzabilità patologica“.
Secondo un consolidato principio di diritto, infatti, “rientrano nella categoria delle prove sanzionate dall’inutilizzabilità, non solo le prove oggettivamente vietate, ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla legge e, a maggior ragione […], quelle acquisite in violazione dei diritti tutelati in modo specifico dalla Costituzione. La Corte costituzionale con sentenza n. 34 del 1973 ha ravvisato l’esistenza dei divieti probatori ricavabili in modo diretto dal dettato costituzionale, enunciando il principio per cui attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione e fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito. Il suddetto principio ha consentito l’elaborazione della categoria delle prove cosiddette incostituzionali, cioè di prove ottenute attraverso modalità, metodi e comportamenti realizzati in violazione dei fondamentali diritti del cittadino garantiti dalla Costituzione, da considerarsi perciò inutilizzabili nel processo“.
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3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha osservato che, nel caso in esame, la “patologia” deriva proprio dalla violazione del provvedimento giurisdizionale cui è conseguita una illegittima violazione della sfera di riservatezza al di fuori dei presupposti declinati dall’art. 15 Cost., il quale sancisce l’inviolabilità della libertà e segretezza della corrispondenza e ogni altra forma di comunicazione e che la loro limitazione può avvenire soltanto “per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge“.
Una compressione ulteriore della sfera costituzionalmente tutelata, attuata tramite la ispezione informatica, si pone fuori dal rispetto del perimetro delle garanzie derivanti dall’art. 15 cit.
Da ciò, ad avviso della Suprema Corte, discende l’inutilizzabilità delle chat che non possono essere valutate neppure in sede cautelare.
Dopo aver dichiarato fondati tutti i motivi del ricorso sottopostole, ed aver motivato minuziosamente il tutto, la Corte di Cassazione ha imposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale del riesame di Napoli che, alla luce dei principi indicati ed espungendo dalla piattaforma indiziaria gli elementi non utilizzabili, valuterà nuovamente la sussistenza dei presupposti dell’ordinanza cautelare personale.
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