Nell’ordinamento dei quiriti l’attuale locuzione “abuso del diritto” non viene menzionato, in considerazione della capacità di adottare gli istituti dello jus civile alle concrete esigenze, per cui nei casi di grave abuso del diritto si ricorreva, secondo la dottrina risalente e maggioritaria (Grosso), all’actio doli o, più specificamente all’exceptio doli.
Il divieto dell’abuso di una posizione di diritto soggettivo riconosciuta dall’ordinamento era prevista nel progetto italo-francese del codice delle obbligazioni negli anni ’30, ma l’abuso del diritto rappresentava un concetto etico-morale piuttosto che un istituto giuridico.
Il legislatore del codice civile del 1942, pertanto, non lo ha previsto in quanto meritevole di rimprovero sociale e non di una sanzione giuridicamente normata. Negli anni ’60 dottrina e giurisprudenza, a seguito dell’emanazione dei nuovi diritti e libertà costituzionali, in particolare dell’art.2, si sono interrogate se possa nel nostro odinamento considerarsi immanente il divieto di abuso del diritto per finalità che eccedono i limiti stabiliti dalla legge.
La rilettura successiva agli anni ’90 è stata in chiave preminentemente sociale attraverso un’ottica costituzionalmente orientata che teneva presente il principio di solidarietà sociale di cui al citato art.2 della Costituzione, concetto trasversale all’intero ordinamento giuridico. Autori ed interpreti di rilievo concordano nel ritenere che gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto consistono nella titolarità di un diritto soggettivo, la possibilità del suo concreto esercizio secondo più modalità non prederminate, che tale esercizio sia svolto secondo modalità censurabili, anche se rispettoso della legge attributiva nella forma che si verifichi una sproporzione non giustificabile tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrificio della controparte.
Esso si differenzia dall’eccesso del diritto in quanto l’abuso del diritto rientra formalmente nei limiti del diritto, mentre nella seconda ipotesi la condotta fuoriesce dal novero dei diritti attribuiti al titolare, come ad esempio l’eccesso di legittima difesa in diritto penale. Con l’abuso si ha un’apparente conformità del comportamento del soggetto al contenuto del suo diritto e sottintende la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti; laddove la finalità perseguita non sia quella consentita dall’ordinamento e si avrà la relativa violazione del divieto.
Nell’eccesso, invece, l’illiceità della condotta è percepibile facilmente, non sussistendo l’apparente conformità.
I riferimenti costituzionali, oltre il citato art.2 riferito alla solidarietà sociale, sono contenuti nell’art. 3 con il principio di ragionevolezza e nell’art. 41 Cost. con il principio di utilità e funzione sociale dell’iniziativa economica.
Il legislatore del 1942, che nel progetto preliminare al codice civile conteneva la clausola generale di abuso del dirittto all’art.7, non inserito nella stesura definitiva, ha preferito inserire nel codice disposizioni specifiche con cui sanzionare l’abuso in relazione a determinate categorie di diritti: l’abuso della potestà genitoriale; art.330 cod. civ.; l’abuso dell’usufruttuario all’art.1015 c.c.; l’abuso della cosa data in pegno da parte del creditore pignoratizio; art. 2793 c.c.
Di maggiore portata applicativa l’art. 833 del cod.civ., riguardante il divieto di atti emulativi, comunemente utilizzato per reprimere l’abuso dei diritti reali in genere e gli artt. 1175 e 1375 c.c. che costituiscono l’architrave della disciplina dell’abuso dei diritti relativi e di credito.
In base agli artt. 23, 103 e 113 Cost. il giudice deve limitarsi ad applicare la legge e non gli è dato un potere di creazione della norma, ma di interpretazione secondo i principi genrali dell’ordinamento giuridico. Anche se si è ritenuto pericoloso, per lo stesso ordinamento, consentire l’operazione ermeneutica di negare legittimità ed efficacia ad operazioni giuridiche consentite dal punto di vista formale.
Pertanto, fino alle sentenze della Cassazione civile riguardo questioni di diritto societario, laddove l’abuso in questione ha preso le prime mosse, quali le operazioni di lay out, le sottocapitalizzazioni artificiose, i compensi dei top managers amministratori, l’utilizzo delle c.d. scatole cinesi, l’abuso del diritto di voto, delle operazioni sul capitale, della maggioranza, del diritto di controllo del socio nella s.r.l., del diritto di esclusione, della violazione del principio di correttezza dell’informativa contabile e dell’abuso del potere di decisione e coordinamento,etc, la questione cogente che attanagliava i giuristi dell’epoca era se consentire spazi interpretativi vastissimi al giudice o meno, con il timore di laciare zone che non dovrebbero essere consentite come libere. Tali spazi conducono alla sostanziale disapplicazione di norme di legge, specie in ambito penale ove la reale offensività delle condotte poste in essere ha un?applicazione limitata a settori assai particolari, come nel caso del perdono giudiziale per quanto riguarda i crimini commessi da minori.
Infatti, per lungo tempo è prevalso l’orientamento restrittivo per cui il concetto di abuso del diritto veniva relegato ad una dimensione etica. Tale impostazione ha ceduto il passo alla tesi che ha valorizzato il principio enunciato dall’art. 833, Cassazione civile, sez.III, n°5348 del 5.3.2009, che statuisce il principo generale di civieto degli atti emulativi. Tale principio è, poi, considerato corollario dell’obbligo genrale del comportamento secondo buona fede, ossia con lealtà e correttezza,ex artt. 1175, 1337, 1358. 1366, 1375 del cod. civ.
L’abuso del diritto delinea l’utilizzazione alterata ell schema formale del diritto, secondo il Consiglio di Stato, sez.IV, n°3129, del 17.5.2010 e poichè i principi di buona fede oggettiva e dell’abuso del diritto si integrano a vicenda, l’abuso deve essere escluso qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall’ordinamento.
A parere della Cassazione civile, sez.III, n°20106 del 18.7.2009 si ha abuso del diritto quando lo si eserciti con modalità, non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti. In tal caso, al giudice è consentito di sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall’esistenza di un aspecifica volontà di nuocere, visto che ciò che viene censurato è l’abuso e non l’atto di autonomia negoziale.
Più recentemente, secondo il Cons. St., sez. IV, n°1209 del 2.3.2012, il divieto di abuso del diritto diviene anche abuso del processo, inteso quale esercizio improprio, sul piano funzionale e modale, del potere discrezionale della parte di scegliere le più convenienti strategie di difesa. Nel nostro sistema giuridico vige un generale divieto di abuso della posizione dominante soggettiva, il quale, ai sensi dell’art. 2 Cost. e dell’art. 1175 c.c., pervade le condotte sostanziali al pari dei comportamenti processuali di esercizio del diritto.
L’abuso del diritto si applica anche in chiave processuale; in tal modo diviene anche divieto di abuso del processo, inteso quale esercizio improprio del potere discrezionale della parte di scegliere le più convenienti strategie di difesa.
Il nostro ordinamento è carente di una precisa definizione di abuso del processo. Dottrina e giurisprudenza hanno proteso a considerarlo nel tempo quale proiezione dell’abuso del diritto, incentrata negli artt. 88 e 145 del c.p.c., i quali impongono il dovere di lealtà e probità tra le parti ed al giudice il dovere di esercizio del potere finalizzato ” al più sollecito svolgimento del processo”.
Si tratta, però, di u na base testuale precaria in quanto alla previsione dell’art.88 c.p.c. non corrisponde un adeguato apparato sanzionatorio. Solo il codice deontologico forense contiene un’azione disciplinare a carico dell’avvocato, effettivamente esercitata dal Consiglio dell’ordine raramente ed in casi eclatanti.
La Corte di Giustizia Europea ha ribadito, il 5.7.207, con sentenza n° C.321 del 2005 il divieto dell’abuso del diritto tra i principi generali dell’ordinamento comunitario ponendolo, così, tra i vertici delle fonti del diritto all’art.6 del Trattato del U.E.
La Cassazione, sez.III, nella sentenza n°20106 del 18.9.2009 ravvisa l’abuso del processo ” nel collegamento tra il potere conferito al soggtto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto alpotere che lo prevede”. Ancor più recentemente la Cassazione ha riunito due procediment, la sez. V civile n°7195 del 9.9.2015, stabilendo l’unicità del fatto illecito rispetto a due distinti giudizi instaurati innanzi a diversi giudici in quanto per i sinistri stradali la richiesta di risarcimento danni alla persona ed al mezzo non vanno separati.
I giudici intervenuti in diverse occasioni, impegnati ad un bilanciamento tra opposte esigenze;ovvero tra il diritto di azione, previsto all’art. 24 e gli artt. 2 e 111 della Cost, ovvero il diritto ad un giusto processo ed il principio di solidarietà sociale citato.
La giurisprudenza ha individuato in particolare quattro astratte ipotesi; innanzitutto il frazionamento del diritto di credito, infatti di recente i giudici della Cassazione, sez.IV, hanno emanato la sentenza n° 4702 del 9.3.2015 riguardo la violazione dei principi di correttezza, buona fede e del giusto processo; così anche la Cassazione civ n°10177 del 18.5.2015, per cui anche nella fase giudiziaria l’adempimento non può essere ottenuto aggravando la posizione del debitore scindendo il contenuto dell’obbligazione.
Successivamente gli interpreti hanno individuato come abuso del processo l’uso deviato o indiretto, degli strumenti processuali. Al riguardo si fa riferimento nel caso del regolamento preventivo di giurisdizione utilizzato al fine prevalente o esclusivo di ottenere la sospensione del processo di merito piuttosto che una decisione giurisdizionale; ex multis Cassazione n°15476 del 11.6.2008 e Cassazione n°13791 del 27.5.2008.
Mentre per il giudice l’uso deviato dello strumento processuale è sempre atto illecito, per il difensore, il quale non ha funzione pubblica, l’uso deviato degli strumenti processuali costituisce un comportamento deontologicamente contrario alla lealtà e probità prevista all’art. 6 del Codice forense.
Autorevole dottrina ha ravvisato l’ipotesi di abuso del processo dinanzi al comportamento sorretto della parte, come nel caso dell’uso indiretto dello strumento processuale qualora risulti un’attività reticente, dilatoria o comunque in contrasto allo standard di diligenza media del professionista. A tal proposito, però, non susiste un dovere di completezza o di verità per il difensore secondo la miglior dottrina, Scarselli, lealtà e probità degli atti processuali, Riv. Trim. dir. proc. civ., 1998 e Calamandrei, “Parere dell’Università di Firenze al Ministro di Grazia e Giustizia sul Progetto preliminare del co. proc. civ.”, FI, 1937) in quanto un tale obbligo non è prospettabile perchè in contrasto con lo stesso concetto di parte, snaturandone funzione e ruolo.
Infine anche il giudice discrezionalmente può ravvisare un comportamento di abuso del processo, come ipotesi residuale e di chiusura prevista dall’art. 96 c.p.c., 3° co.
Con tale norma sembrerebbe che il legislatore abbia inteso agevolare la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte che ha posto in essere una lite temeraria, senza voler introdurre nel sistema un nuovo istituto che stabilisse il quantum del danno subito da lite temeraria. Il giudice comunque può procedere d’ufficio e liquidare il danno in via equitativa, ladove sussista, appunto, una lite temeraria, un danno esistente nell’an ed il relativo nesso di causalità.
In conclusione si può affermare che l’abuso del diritto e quello del processo sembrano sovrapporsi e de iure condendo si potrebbe introdurre una norma che sanzioni specificatamente l’abuso del processo, rimettendo direttamente la sanzione ed i danni al difensore che ha commesso l’illecito processuale, ex artt. 88, 89 e 96 c.p.c., anzichè alle parti che per rivalersi, atut’oggi, devono agire con separato giudizio contro il proprio difensore.
Si segnala che recentemente è stato approvato il D.L: n° 90 del 24.6.2014 ” Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e l’efficienza degli uffici giudiziari”, che all’art 41 rubricato ” Misure per il contrasto dell’abuso del diritto” apporta modifiche all’art. 26 del codice del processo amministrativo, sottolineando l’attenzione del legislatore riguardo quello che è stato definito “elelmento dinamico del processo evolutivo del diritto” dall’elaborazione giurisprudenziale.
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