L’addebito delle separazione (alla luce delle ultime pronuncie giurisprudenziali)

Il testo dell’art 151 cod civ, nella formulazione pregressa, anteriore alla riforma del 1975, ammetteva la separazione personale dei coniugi soltanto per colpa e per altre cause tassativamente indicate ed identificate nell’adulterio, nel volontario abbandono,  sevizie, eccessi, minacce o ingiurie gravi, condanna penale e nonchè  nella non fissata residenza.
Alla luce della precedente normativa, separazione e colpa costituivano, difatti, un connubio quasi indissolubile.
 Una volta svincolata, con la riforma del diritto di famiglia del 1975, la separazione dal concetto di colpa, a cui, per ragioni di ordine sociale e culturale, veniva irrimediabilmente associata, vennero poste le basi per delineare il nuovo istituto “dell’addebito della separazione”.
 
Quale effetto di tale novella legislativa, l’attuale formulazione dell’art 151 cod civ distingue la domanda di separazione personale dei coniugi, che trova la sua disciplina al primo comma di tale norma, dalla domanda di addebito prevista al secondo comma.
Scelta del legislatore della riforma, condivisibile, sotto molteplici e rilevanti profili.
Se, difatti, la dichiarazione personale dei coniugi presuppone l’accertamento di fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della vita coniugale o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole, e ciò, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi (Cass 00/8106), condicio sine qua non, ai fini della dichiarazione di addebito, è, invece, il comportamento posto in essere da uno dei due coniugi in contrasto con i doveri che derivano dal matrimonio.
Nonostante la responsabilità dei nubendi non costituisca più un presupposto indefettibile della pronuncia di separazione giudiziale, il suo accertamento,ad oggi, è necessario, invece, per la declaratoria di addebitabilità  dal momento che“ il giudice , pronunciando  la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.”(art 151 comma 2 cod.civ.).
In termini sostanziali ciò significa affermare l’esistenza di un rapporto di accessorietà dell’addebito alla pronuncia di separazione dei coniugi.
In termini processuali ciò significa, come ha avuto modo di chiarire la stessa Corte di Cassazione, con una recente pronuncia,  che la domanda di addebito deve essere riconosciuta come autonomae che“l’iniziativa di un coniuge di richiedere la dichiarazione di addebitabilità della separazione all’altro coniuge..non è mera deduzione difensiva o semplice sviluppo logico della contesa instaurata con la domanda di separazione, tanto che, se presa dalla parte attrice deve essere inserita nell’atto introduttivo del giudizio, esorbitando dalla stessa “emendatio belli” consentita in corso di causa, e, se presa dalla parte convenuta, è soggetta ai tempi e modi delle riconvenzionale.” (Cass n 2818, 8 febbraio 2006).
 
“L’istituto dell’addebito di separazione”si pone, per unanime di giurisprudenza e dottrina, dunque, come una mera variante dell’accertamento dell’improseguibilità della convivenza, alla stregua di una modalità accessoria ed eventuale, accertabile ove ne ricorrano le circostanze: essa presuppone l’espressa domanda di parte (Cass. 6 settembre 1985 n. 4639) e il riscontro da parte del giudice di  “un comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”.
Tali doveri sono, in primis, quelli indicati all’art 143 cod civ, il quale espressamente afferma che dal matrimonio derivano gli obblighi di fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia e coabitazione, nonché, il medesimo dato normativo pone, come fonte di doveri, il concetto di parità dei coniugi, di cui all’art 29 della Costituzione.
L’elencazione ivi contenuta non è da considerarsi, tuttavia, come  tassativa: ulteriori doveri, la cui violazione rileva ai fini dell’addebito, possono trarsi da altre norme del sistema, senza considerare, che, quale settore vivo del diritto, le pronunce della giurisprudenza più recenti se, da un lato, hanno assecondato le mutevoli esigenze che la delicatezza della materia pone, dall’altro, hanno sciolto emblematici dubbi circa l’estensione dell’applicazione dell’istituto de quo.
 
Non ogni inadempienza, alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali, difatti, causa l’addebito della separazione; occorrono piuttosto violazioni di un certo peso e rilievo.
La condotta del nubendo che viola i propri doveri coniugali rileva solo che assuma una certa gravità ed osservato, in ogni caso, il requisito della imputabilità inteso quale immediata riferibilità al comportamento volontario e cosciente di una persona capace di intendere e volere.
Rilevante a tal proposito la Sentenza della Cassazione n 3168 del 30 marzo del 1994 laddove dispone che “ correttamente viene pronunziata separazione senza addebito allorchè non sia raggiunta la prova che da parte di uno o di entrambi i coniugi sia tenuto un comportamento volontario e consapevole contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, ovvero che la condotta posta in essere dall’uno o dall’altro, per la sua gravità, abbia determinato o contribuito a determinare una situazione di intollerabilità dell’ulteriore convivenza”.
Il giudice è pertanto chiamato a valutare il comportamento di entrambi i coniugi per il tramite di una valutazione globale e comparativa delle rispettive condotte “onde verificare se il comportamento dell’uno non possa trovare piena giustificazione nelle provocazioni insite in quello dell’altro” (Cass 21 agosto 1997 n. 78179).
Tuttavia, a tal proposito, si deve rilevare come la stessa giurisprudenza abbia individuato, di recente, un limite insuperabile a tale valutazione comparativa che ricorre in tutti quei casi in cui la reazione costituisca una trasgressione di precise norme di carattere imperativo inerenti l’ordine familiare, non suscettibili di deroghe, in quanto poste a tutela di beni e di diritti fondamentali della persona del coniuge.
La questione è di centrale importanza ed è stata oggetto di una recente pronuncia del 27 maggio 2008, n. 13827 ai sensi della quale ".. ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili – traducendosi nell’aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l’incolumità e l’integrità fisica, morale e sociale dell’altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner – essi sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest’ultimo, e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l’addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere".
 
Si rileva, inoltre, come molte pronunce di addebito nella giurisprudenza meno recente trovassero fondamento nella violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale.
Il concetto di fedeltà, infatti, anche se talvolta inteso in maniera restrittiva, come mero dovere di astensione da atti sessuali con persona diversa dal coniuge, fu concepito, dopo la riforma del 1975, come l’obbligo coniugale di più largo spettro, perché profondamente ancorato, nell’impegno solennemente assunto, con le nozze, dai nubendi di non tradire la fiducia reciproca.
 Tale ricostruzione deve ritenersi, alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali, ormai  anacronistica, avendo la Cassazione, da ultimo con sentenza del 19 marzo 2009, affermato il principio secondo cui la separazione non può essere addebitata al coniuge infedele, qualora l’incidenza del tradimento sulla relazione  coniugale non abbia spiegato effetti negativi sull’unità familiare e qualora la relazione  sia giunta alla rottura per  il concorrere di altri motivi, come avviene allorquando “il giudice accerti la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente in atto, dovuta al comportamento dell’altro coniuge – il suo tacere in merito alla sua impotentia generandi – ovvero ad altre ragioni e comunque del tutto autonoma ed indipendente dalla successiva violazione de dovere di fedeltà”.
Oggi, pertanto, si deve rilevare come l’infedeltà non sia presupposto sufficiente per ottenere la pronuncia di addebito, essendo parimenti necessario che essa sia stata causa della fine dell’unione tra i coniugi secondo un rapporto di causalità stringente e diretto tra infedeltà ed intolleranza della convivenza.
 
Con riguardo all’estensione della copertura temporale delle condotte rilevanti ai fini dell’addebito, la giurisprudenza degli ultimi anni si è resa responsabile di un ampliamento importante di tale ambito disponendo che "il comportamento tenuto dal coniuge successivamente al venir meno della convivenza, ma in tempi immediatamente prossimi a detta cessazione, sebbene privo, in sè, di efficacia autonoma nel determinare l’intollerabilità della convivenza stessa, può nondimeno rilevare ai fini della dichiarazione di addebito della separazione allorché costituisca una conferma del passato e concorra ad illuminare sulla condotta pregressa". (Cass., n. 17710 del 2005).
 
 
Dott.ssa Erika Pigliapoco (Studio Legale Santini)

Santini Matteo – Pigliapoco Erika

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