COME DIFENDERSI NEL CONTENZIOSO
CONDOMINIALE DOPO LA RIFORMA
Maggioli Editore – Novità Gennaio 2013
Tratto dal libro “Come difendersi nel contenzioso condominiale dopo la riforma” scritto dall’Avvocato e ********************************
Sul punto deve preliminarmente essere evidenziato che la riforma considera la mediazione in materia di condominio come obbligatoria. In realtà, dopo il parere della Commissione “Affari Costituzionali” del 13 novembre 2012, relativo all’art. 25 del testo del DDL che – inserendo l’art. 71 quater disp. att. c.c. nel codice civile – provvede ad integrare le norme sulla mediazione in modo da renderle applicabili al condominio, la Commissione Giustizia del Senato ha deciso di non apportare le necessarie modifiche nonostante la Corte Costituzionale il 23.10.2012 abbia dichiarato la illegittimità costituzionale (per eccesso di delega legislativa, del D.Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, nella parte in cui ha previsto l’obbligatorietà). Infatti, l’adeguamento alla pronuncia della Consulta avrebbe comportato un ulteriore passaggio alla Camera con il rischio di dover aspettare la prossima legislatura per l’approvazione definitiva. Quindi, a meno che non vi sia una reintroduzione legislativa della mediazione obbligatoria – e vi sono diversi progetti di legge tendenti a ciò – si deve ritenere che la disciplina della mediazione in materia condominiale possa essere applicata solo come mediazione facoltativa o delegata dal magistrato adìto. A ciò si aggiunga che, comunque, sino alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della decisione della Corte Costituzionale la normativa sulla mediazione, anche in ambito condominiale, resta sempre obbligatoria con l’onere per la parte istante di dover, quindi, comunque, presentare una istanza di mediazione prima di poter adìre la magistratura civile.
Con tale premessa deve essere analizzata la norma tenendo comunque presente che il testo – per le ragioni di cui sopra – prevede la mediazione in materia condominiale come obbligatoria.
Sul punto deve essere evidenziato che, prima della riforma, la dottrina era divisa sulla facoltà dell’amministratore di poter decidere se intervenire ad una procedura di mediazione.
Ed infatti, prima della riforma, non si poteva considerare automatica la legittimazione dell’amministratore in materia di mediazione.
All’uopo non soccorreva nemmeno la norma “punitiva” in materia di mediazione (art. articolo 8, comma 5 decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28) che, dispone che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio, ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile”.
A ciò si aggiungeva che la giurisprudenza di merito si stava orientando nel senso di una interpretazione rigorosa della normativa sulla mediazione (cfr. Tribunale Termini Imerese, sez. civile, ordinanza 09.05.2012, che ha statuito che “rilevato che la difesa dei convenuti ha giustificato la mancata partecipazione al tentativo obbligatorio di mediazione affermandone la inutilità in ragione del fatto che tale tentativo era stato espletato dopo la proposizione del giudizio ed affermando l’impossibilità di una rinuncia anche parziale alle contrapposte ragioni delle parti “anche in ragione della acclarata ed atavica litigiosità tra le suddette” (cf. fax dell’11/04/2012 inviato all’organismo di mediazione, prodotto in giudizio dalla difesa della parte convenuta);” e che “ ritenuto che le giustificazioni addotte non possono in alcun modo ritenersi valide, in considerazione del fatto che l’espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione anche successivamente alla proposizione della controversia è espressamente contemplato dall’art. 5 del decreto legislativo n. 28/2010, ed in considerazione altresì del fatto che la sussistenza di una situazione di litigiosità tra le parti non può di per se sola giustificare il rifiuto di partecipare al procedimento di mediazione, giacché tale procedimento è precipuamente volto ad attenuare la litigiosità, tentando una composizione della lite basata su categorie concettuali del tutto differenti rispetto a quelle invocate in giudizio e che prescindono dalla attribuzione di torti e di ragioni, mirando al perseguimento di un armonico contemperamento dei contrapposti interessi delle parti “ … “P.Q.M. visto l’articolo 8, comma 5, del decreto legislativo n. 28/2010 condanna i convenuti al versamento in favore dell’Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio in virtù della ingiustificata mancata partecipazione al procedimento obbligatorio di mediazione”.).
Tutto ciò non faceva che acuire le eventuali responsabilità dell’amministratore.
E, d’altra parte, i termini necessariamente ristretti che intercorrono tra la convocazione e la prima seduta di mediazione (e l’informativa spesso lacunosa dell’oggetto della mediazione) spesso impedivano la preventiva convocazione di un’assemblea di condominio, per fornire all’amministratore le necessarie indicazioni su come comportarsi rispetto al procedimento di mediazione.
La posizione dell’amministratore era perciò assolutamente “scomoda”.
Ed infatti, la mediazione ha, da subito, posto all’amministratore un ristretto ventaglio di possibili scelte, nessuna delle quali era sicura e/o corretta.
Mentre, da un lato, era consolidato l’orientamento che riteneva che rientrasse nell’ambito delle facoltà dell’amministratore quella di sottoscrivere l’informativa relativa alla possibilità di avvalersi della mediazione, non altrettanto chiara e concorde era la dottrina, prima della riforma, sulla possibilità dell’amministratore di essere parte del procedimento di mediazione senza il preventivo assenso dell’assemblea condominiale.
Per quel che concerne la procedura di mediazione, pertanto, prima della riforma, qualsiasi scelta operata dall’amministratore, sebbene in buona fede e nell’esclusivo interesse del condominio, poteva – in astratto – essere oggetto di critica da parte del condominio (o di alcuni condomini).
A titolo meramente esemplificativo, se vi era una comunicazione di un invito in mediazione per una richiesta di risarcimento danni da infiltrazioni l’amministratore poteva:
1) non aderire
2) aderire ed andare da solo in mediazione
3) aderire ed andare accompagnato da un legale
4) aderire ed andare accompagnato da un legale e con l’ausilio di un perito (es. ingegnere).
Qualsiasi di queste scelte avrebbe comportato una assunzione di responsabilità in quanto:
– da una parte chiedere l’ausilio di un consulente (legale e tecnico) impone un onere economico;
– dall’altra parte il non andare, o l’andare senza consulente, può produrre effetti negativi (processuali o sull’esito della mediazione).
E, prima della riforma, la dottrina si chiedeva se l’amministratore potesse decidere autonomamente (ossia senza il preventivo consenso assembleare) di intervenire ad un procedimento di mediazione.
Il punto l’ha parzialmente chiarito l’art. 71 quater disp. att. c.c. che ha precisato che “Al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice.”.
Ma tale normativa pecca di ottimismo posto che, non di rado, le assemblee condominiali non deliberano (es. per mancanza di quorum).
La norma tenta di porre rimedio stabilendo che “Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione.”.
Ma tale lodevole intento non risolve il problema posto che anche una proroga non garantisce la certezza del deliberato.
E quindi, onde evitare di scegliere autonomamente, l’amministratore, in caso di ricevimento di un invito al procedimento in mediazione, può inviare una comunicazione all’ente di conciliazione per richiedere di posticipare il primo incontro in modo da avere il tempo di convocare l’assemblea; però il problema potrebbe anche non essere risolto posto che l’assemblea potrebbe anche non deliberare (es. andare “deserta”).
Onde evitare l’inconveniente segnalato, sarebbe quindi opportuno che, ancor prima che giungano gli “inviti” per le procedure di mediazione, venga convocata dall’amministratore una assemblea di Condominio con uno specifico punto all’o.d.g. che metta l’assemblea nelle condizioni di scegliere, preventivamente, come indirizzare l’operato dell’amministratore.
Uno schema base del capo da inserire in un punto all’ordine del giorno potrebbe essere il seguente: “Mediazione (art. 71 quater disp. att. c.c.). Eventuali delibere in merito alla preventiva autorizzazione all’amministratore pro tempore del condominio a partecipare al procedimento di mediazione. Eventuale delibera di autorizzazione preventiva all’amministratore a conferire mandato ad un avvocato per l’assistenza e la consulenza in sede di mediazione ed anche eventualmente in sede giudiziaria in caso di mancata conciliazione. Eventuale delibera di autorizzazione preventiva all’amministratore per conferire l’incarico ad un perito/tecnico per l’assistenza e la consulenza in sede di mediazione ove la materia lo richieda.”.
La delibera dovrebbe poi dare istruzioni anche in riferimento alle varie possibili ipotesi di argomenti oggetto della mediazione (nell’esempio del danno da infiltrazioni deve essere chiarito se l’amministratore deve aderire alla mediazione e se deve essere assistito da un legale e da un perito).
E’ comunque utile tale discussione preventiva in seno all’assemblea anche se poi, chiaramente, ove, in sede di mediazione, si prospetti una concreta ipotesi di conciliazione, l’amministratore dovrà comunque convocare nuovamente l’assemblea ponendo all’o.d.g. i termini precisi della eventuale proposta; in questo caso, se l’assemblea deliberasse di accettare la proposta, tale proposta dovrà essere integralmente recepita – ossia negli stessi termini della delibera condominiale – nel verbale di conciliazione (“La proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.”, e, realisticamente, il legislatore, sempre all’art. 71 quater disp. att. c.c., ha anche messo una norma di chiusura prevedendo che “Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.”).
Anche in questo caso si ripropone, quindi, il problema della tempistica in funzione della necessità di dover convocare l’assemblea ed il legislatore ha quindi previsto che “Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità per l’amministratore di munirsi della delibera assembleare”.
E’, quindi, chiaro che l’amministratore – come per la transazione – non può sottoscrivere alcun verbale conciliativo se non autorizzato da specifica delibera condominiale che recepisca preventivamente ed integralmente il contenuto della mediazione.
La norma prevede quindi espressamente il quorum deliberativo per l’accettazione della proposta di mediazione (“La proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice.”).
Sul punto deve comunque essere precisato che, secondo altro orientamento (preferibile anche se minoritario), posto che l’accordo non è relativo solo al caso oggetto di mediazione, ma – sebbene indirettamente e/o di riflesso – produce effetti anche sull’eventuale futura lite tra le parti, è comunque necessario valutare gli aspetti processuali.
In altre parole, la transazione scaturente da un accordo transattivo trasfuso nel verbale di conciliazione riguarderà o una rinunzia ad un giudizio già instaurato (cfr. artt. 306 e 209 c.p.c.) o una rinunzia all’azione.
Ma tale scelta abdicativa produce effetti sui diritti personali e particolari di ogni singolo condomino, posto che – per giurisprudenza pacifica – il singolo condomino può sempre intervenire, in ogni stato e grado, nei giudizi che vedano parte il condominio, anche se il condominio è già rappresentato da legale a cui ha conferito mandato l’amministratore.
In tale prospettiva l’accordo transattivo trasfuso nel verbale di conciliazione nella mediazione impedirebbe al singolo condomino di intervenire nel giudizio o di impugnare l’esito del giudizio stesso.
Ma può essere consentito all’assemblea di limitare i diritti processuali del singolo condomino ?
Tale soluzione comprimerebbe non solo le facoltà processuali del singolo condomino, ma anche i diritti alla difesa ed al contraddittorio costituzionalmente garantiti (art. 3, 24 e 111 della Costituzione).
Problema ulteriore si porrebbe nel caso in cui la proposta fosse dall’assemblea deliberata, ma con quorum insufficienti.
In caso di mancata impugnazione, l’amministratore dovrebbe comunque procedere a sottoscrivere il verbale di conciliazione.
Più problematica sarebbe la posizione dell’amministratore in caso di impugnativa posto che, fino all’eventuale sospensione e/o annullamento, l’amministratore sarebbe comunque tenuto ad eseguire il deliberato, ma le conseguenza giuridiche – a lungo termine posti i tempi della giustizia – dell’eventuale annullamento del deliberato sarebbero difficilmente riproducibili in un verbale di conciliazione; il tutto con la prevedibile conseguenza che l’altra parte del procedimento sarebbe quindi poco motivata a concludere positivamente la mediazione.
Per la competenza territoriale il legislatore, nella riforma (articolo 71 quater disp. att.c.c.), ha previsto che “La domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato.”.
Il legislatore ha tendenzialmente ampliato la mediazione a tutto quanto concerne il condominio: “per controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice.” (articolo 71 quater disp. att.c.c.).
Oggetto di mediazione sono sicuramente le impugnative di deliberazioni assembleari condominiali ed anche le azioni tese alla formazione o alla revisione delle tabelle millesimali.
Va chiarito che in materia di impugnazione di delibere resta, chiaramente, sospeso il termine (di 30 giorni) per l’impugnazione stessa per il periodo necessario ad esperire il tentativo di conciliazione (quattro mesi).
Il problema si pone se il condomino impugnante vuole anche ottenere la sospensione dell’esecutività della delibera poiché chiaramente né il mediatore né l’organismo di mediazione hanno tale potere e, quindi, in tal caso potrebbe essere utile azionare contemporaneamente sia la procedura di mediazione che spiegare l’azione di impugnativa del deliberato (con richiesta di sospensione dello stesso).
Non sono oggetto di mediazione obbligatoria i procedimenti di cui all’art. 1104 del c.c..
Sono pure esclusi dal procedimento di mediazione obbligatoria i giudizi cautelari, le vertenze possessorie, i procedimenti per convalida di licenza o sfratto (di locali condominiali) fino al mutamento del rito, i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi comunque a esecuzione forzata.
Inutile soggiungere che nemmeno sono soggette alla mediazione obbligatoria le costituzioni di parte civile nel processo penale.
Una problematica a parte riguarda i procedimenti in cui sarebbero parti sia un condomino che il condominio per le questioni attinenti ai conflitti di interessi ed ai quorum assembleari (soggetti alla cd. prova di resistenza).
Per la casistica assicurativa in materia di condominio si deve distinguere:
– tra quella relativa alla richiesta di indennizzi sulla base della polizza globale fabbricati che è comunque materia di mediazione obbligatoria perché la vertenza si basa su un contratto assicurativo;
– e quella in cui il condominio è parte invitata alla mediazione ma è opportuno che richieda che sia invitata alla mediazione anche la compagnia assicurativa per essere eventualmente manlevato (proprio per la polizza globale fabbricati).
Chiarito ciò si evidenzia che per le mediazioni concernenti la rinunzia ai diritti reali su parti comuni (a favore di un condomino o di un terzo) e/o comunque atti di alienazione di parti comuni o di costituzione su di esse di diritti reali o per le locazioni ultranovennali è richiesto il consenso della totalità dei condomini. E ciò perché in tali atti rileva il diritto dei condomini uti singuli e non come partecipanti al condominio (ed infatti in tali casi è improprio anche parlare di delibera totalitaria o all’unanimità) e quindi tali atti non sono di specifica competenza delle assemblee condominiali (indipendentemente dalle maggioranze), ma devono essere posti in essere dai singoli condomini nelle forme e nei modi di legge.
Chiaramente in cause che coinvolgono i singoli condomini contro il condominio dovrebbero essere verificati i quorum per i possibili conflitti di interessi e quindi con particolare riferimento degli stessi quorum alla cd. prova di resistenza.
Già concettualmente la mediazione tramite amministratore di condominio è fortemente “depotenziata” rispetto a quella tradizionale, posto che la partecipazione dell’amministratore alla conciliazione postula, come necessario presupposto, l’assenza dei condomini (che sono la parte interessata in quanto titolari dei diritti oggetto del futuro eventuale processo, dato che il condominio è comunque un ente di gestione).
Il mediatore ha, infatti, tra le varie funzioni, quella di chiarire alle parti quali possano essere le eventuali possibili soluzioni e ciò anche indipendentemente dall’eventuale esito processuale o dalle ragioni giuridiche delle parti.
Ma i soggetti “interessati” ossia i condomini non partecipano direttamente alla mediazione: partecipano solo tramite l’amministratore.
Una ipotesi particolare e di difficile soluzione è quella relativa alle possibili vertenze tra l’amministratore ancora in carica ed il condominio posto che l’amministratore è l’unico rappresentante legale – sebbene pro tempore – del condominio.
In questo caso l’assemblea dovrebbe assolutamente delegare un terzo soggetto a rappresentare il condominio in fase di mediazione per ovviare al conflitto di interessi.
In pratica, anche in questo aspetto del condominio, come sempre, le future pronunzie della giurisprudenza colmeranno i vuoti legislativi … quasi a voler riaffermare che effettivamente la materia condominiale è regolata da una sorta di non meglio precisato “common low” … .
Avv. **********************
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