L’ amministrazione della comunione nel diritto di famiglia

 

Premessa

 L’attuale pandemia nell’accelerare i cambiamenti in atto ha anche evidenziato i punti di forza e le debolezze del sistema Nazione.

Il tentativo di superare il blocco delle relazioni fisiche con l’uso massiccio dell’informatica ha comportato l’accrescere di questa anche nel settore commerciale, risultato ultimo è stato per il momento la chiusura di molti dei negozi di prossimità e la riduzione qualitativa dell’offerta di lavoro.

La reazione è l’organizzazione di molti negozi in rete al fine di offrire servizi e merci in prossimità, questo in contrasto con la grande rete, a parte i problemi di un mancato coordinamento centrale del sistema non solamente formale.

Questo si affianca ad una forte delocalizzazione delle attività produttive già in atto da alcuni decenni, tutte circostanze che hanno avuto un forte impatto anche sulle gestioni patrimoniali delle famiglie, le quali d’altra parte sono mutate nell’organizzazione interna e nelle proprie finalità, entrando in crisi secondo il modello tradizionale, sostituito dalle unioni di fatto, a questo si aggiunge la forte pressione fiscale  che si è creata sui patrimoni immobiliari, beni di rifugio delle famiglie, con conseguente ulteriore impoverimento economico delle famiglie.

Volume consigliato

Dottrina

            Il primo problema è costituito dalla delimitazione del concetto di amministrazione, al riguardo è preliminare l’osservazione che il coniuge conserva la propria autonomia di volontà e quindi la propria libertà di contrattare e obbligare sé oppure la comunione, solo entro certi limiti, anche se vive in regime di comunione legale.

Pacifica è la rientranza nell’attività amministrativa di tutti quegli atti che incidono su beni già esistenti nella massa comune, Schlesinger sembra, peraltro, ammettere implicitamente in questa categoria anche gli atti di acquisto, quando si chiede “se regola dell’amministrazione congiuntiva vada applicata pure al compimento di atti di acquisto che eccedano l’ordinaria amministrazione” (1).

Più espliciti sono Comporti e Navarra, i quali Autori includono gli acquisti tra gli atti di amministrazione, seppure circostanziandoli a quelli di straordinaria  amministrazione” (2) (3).

Considerano senz’altro questi atti rientranti in amministrazione ai sensi del 2° comma dell’art. 180 Cian e Villani, secondo i quali non può valere il criterio fissato per l’impresa dall’art. 2208 cc., non essendo possibile l’individuazione degli atti amministrativi in base alla loro natura ed oggetto.

Da queste premesse gli autori traggono la conclusione che l’atto di amministrazione della comunione può essere individuato solo in quell’atto “posto in essere in nome e per conto della comunione: con la precisazione, [….], che il medesimo viene compiuto per i due coniugi in quanto viventi in comunione” (4), diversamente saranno i coniugi singolarmente ad essere parte del rapporto.

La spendita del nome potrà avvenire singolarmente, nei limiti dei poteri conferiti dagli artt. 180-183, oppure congiuntamente dai due coniugi, quello che conta è che vi sia riferimento alla comunione   che potrà essere implicito oppure esplicito, in altre parole non necessiterà l’impiego di formule solenni ma l’indicazione  che si agisce per la comunione potrà risultare dallo stesso contesto della negoziazione.

Tuttavia la necessità della spendita del nome della comunione non è del tutto pacifica, infatti Schlesinger (5) osserva che “vi sia stato o meno tale spendita, entrambi i coniugi congiuntamente risponderanno con l’intero loro patrimonio.

Analogamente i Finocchiaro (6) negano tale necessità per determinare obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia e precisamente: a) per il mantenimento della famiglia; b) per l’istruzione e l’educazione dei figli; c) nell’interesse della famiglia in generale.

Sono gli stessi Cian e Villani che al fine si preoccupano di circostanziare i limiti della loro tesi precisando che la mancata spendita del nome della comunione non implica che in capo ad essa non sorga alcuna obbligazione, questa avrà una propria responsabilità qualora l’obbligo sia tale da rientrare nelle categorie previste dall’art. 186 (7).

Dopo questa breve digressione, dovuta all’esposizione della teoria degli Autori citati, ritorniamo al problema originario della delimitazione della categoria degli atti amministrativi.

            L’acquisizione a questa categoria degli atti di acquisto dei beni immobili o mobili registrati è contestata dai Finocchiaro (8) che pervengono ad affermare l’estraneità dell’art. 180, che disciplina l’amministrazione dei beni della comunione, da tali atti rientrando questi in una fase anteriore, disciplinata dagli artt. 177 e 178, in cui i beni fanno ingresso nella comunione.

Sebbene gli autori dai beni immobili o mobili registrati, la conclusione a cui giungono si attaglia perfettamente anche ai beni mobili in generale.

In una analoga posizione è Atlante (9) che definisce l’atto di acquisto come un possibile atto di straordinaria amministrazione, ma solo relativamente al denaro che si impiega nell’acquisto e non con riferimento al bene acquistato.

Più espliciti sono De Paola e Macrì (10) i quali escludono categoricamente dall’ambito dell’amministrazione gli atti qui considerati.

Questa categoria è riconosciuta anche da Corsi ma con alcune sfumature e precisazioni.

La prima è data dalla negazione di un tale problema con riferimento agli “acquisti che rientrano tra i carichi dell’amministrazione o tra le spese per il mantenimento della famiglia (articolo 186, lett. b e c)”, al contrario degli “acquisti che sono suscettibili di rappresentare un duraturo incremento di ricchezza” (Corsi – 11).

La seconda è costituita dall’eccezione dell’ipotesi in cui il denaro utilizzato per l’acquisto sia comune, “In questa ipotesi, se l’acquisto integri gli estremi dell’atto eccedente l’ordinaria amministrazione, il consenso dell’altro coniuge sarebbe necessario” (Corsi – 12).

Norma fondamentale in materia amministrativa è l’art. 180 nel quale si stabilisce l’amministrazione disgiunta dei coniugi per gli atti ordinari e la relativa rappresentanza in giudizio, mentre per gli atti straordinari, nonché per i contratti riguardanti i diritti personali di godimento, oltre naturalmente la relativa rappresentanza in giudizio, l’amministrazione spetta congiuntamente ad entrambi i coniugi.

            E’ stato sostenuto da più parti che il secondo comma della norma in questione costituisce la regola generale, mentre il primo comma, che prevede l’amministrazione disgiuntiva, è una deroga al principio generale, con la conseguenza che, estendendo analogamente tale principio all’art. 177, lett. a, l’acquisto compiuto “separatamente”, come indicato nella norma, sarebbe “solo l’acquisto di bene mobile che rientri nell’ambito dell’ordinaria amministrazione” (Acquaderni, Bignossi, Bonoli, Candito, Ferioli, Iosa, Montanari, Nicoletti – 13).

Coordina l’art. 180 con l’art. 186, lett. c , Falzea, limitando il potere di amministrazione disgiuntiva agli atti riguardanti il mantenimento della famiglia, l’istruzione e l’educazione dei figli, nonché l’adempimento di ogni obbligazione contratta dai coniugi nell’interesse della famiglia.

            Inoltre la soddisfazione delle obbligazioni familiari potrà avvenire mediante l’utilizzo dei beni comuni e dei frutti derivanti da essi senza che questo comporti alcun atto straordinario. “Queste regole discendono dal regime di contribuzione nel suo specifico atteggiamento in presenza della comunione” (Falzea – 14).

In contrasto con tale posizione sembra porsi l’art. 181, che offre al coniuge la possibilità di superare il rifiuto di consenso dell’altro coniuge mediante l’autorizzazione del giudice. Ritiene l’autore di superare l’ostacolo applicando anche a questa norma i concetti di interesse della famiglia e dovere di contribuzione, ma con riferimento alla loro proiezione futura nella vita familiare.

In realtà la difficoltà non è tanto nell’art. 181 quanto nel tenore letterale dello stesso art. 180, da cui si deduce chiaramente che è regola ordinaria l’amministrazione disgiuntiva.

Lo stesso Schlesinger afferma a chiare lettere che “il potere di disposizione accordato ai coniugi non è stato in alcun modo condizionato alla ricorrenza di interessi della famiglia” (15), come pretende Falzea, e a controprova di questo richiama l’art. 186, lett. d in cui i coniugi, purché d’accordo tra loro, possono assumere liberamente, anche per motivi puramente egoistici o capricciosi, qualunque tipo di obbligazione a carico della comunione.

Comunque il motivo più diffusamente addotto a sostegno della riduzione dell’amministrazione disgiuntiva a regola speciale è che tale interpretazione è un espediente tendente ad evitare lo scardinamento dell’attuale sistema di pubblicità immobiliare, dovuto ai pressoché impossibili accertamenti.

            Questo se si considera la conseguente estensione per analogia di tale principio agli acquisti previsti nell’art. 177, lett. a .

Replica Busnelli (16) che l’aumento del numero degli accertamenti da eseguirsi da parte dei terzi acquirenti non vuol dire che tali accertamenti siano impossibili, in quanto l’unico punto certo è che l’acquirente, oltre al normale controllo sulla iscrizione e trascrizione dell’atto a carico dell’alienante, dovrà accertare quale era lo stato civile dell’alienante quando il bene fu da lui acquistato. Deve quindi concludersi che l’art. 180, comma 1°, ha  valore di regola generale, mentre il 2° comma è una pura deroga.

La norma non chiarisce se al singolo coniuge sia concesso o meno la facoltà di disposizione sulla quota di sua spettanza.

Schlesinger motiva la risposta negativa con la necessità di coinvolgere anche l’altro coniuge “nell’assunzione dei rispettivi obblighi in modo da estendere la garanzia del creditore anche ai beni comuni (art. 186, lett. d)” (17).

Ad una analoga conclusione perviene Busnelli estendendo alla comunione legale le regole di “indisponibilità, non ipotecabilità ed inespropriabilità” proprie delle quote delle società di persone, che costituiscono “il riflesso del principio di tendenziale autonomia del patrimonio sociale nonché del vincolo di destinazione che ad esso inerisce” (18).

Oltre a questi motivi non bisogna dimenticare che in regime di comunione legale il patrimonio della famiglia è un patrimonio comune e come tale dovrà essere amministrato.

            Non sussistendo vincolo alcuno a carico dei coniugi nell’interesse della famiglia Schlesinger li ritiene “pienamente liberi di comportarsi come normali compratori, salvo il rischio di violare i doveri verso la prole”.

Di diverso avviso è Busnelli per cui, in analogia con l’art. 2256, l’uso dei beni comuni non può avvenire per motivi estranei a quelli familiari se non vi è consenso dell’altro coniuge.

Giusta l’impostazione deve tuttavia tenersi conto che tale applicazione può avvenire con buoni risultati solo su beni mobili registrati o immobili, mentre per quanto riguarda i beni mobili in generale, tranne qualcuno di particolare valore, è impossibile ottenere risultati soddisfacenti.

            I criteri in base ai quali deve essere valutata l’amministrazione ordinaria e quindi disgiuntiva di ciascuno dei coniugi sono tanto da Busnelli che da Alpa, Bessone, D’Angelo, Ferrando individuati nella regola stabilita dall’art. 2260, comma 1°, che rinvia alle norme sui mandati.

Consegue che il coniuge dovrà agire con la “diligenza del buon padre di famiglia”; dovrà rendere conto al partner del suo operato, “anche se con modalità sufficientemente elastiche al fine di non trasformare i coniugi in contabili” (Busnelli – 19); non potrà sostituire altri a sé nell’amministrazione.

Rifacendosi alla normativa in materia societaria, in analogia all’art. 2257 può porsi il problema della possibilità di un diritto reciproco di veto, ma questa possibilità appare del tutto inattuabile se si tiene presente la giusta osservazione di Corsi per cui il diritto di veto presuppone una apposita procedura, presente nell’art. 2257 ma di cui non vi è traccia nell’art. 180.

Volume consigliato

Note

  • Schlesinger, Commentari alla riforma del diritto di famiglia, Padova, pag. 413 vol. I;
  • Comporti, Gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale (Riv. Del Not., 1979), pag. 46 nota 16;
  • Navarra, L’intervento dell’altro coniuge negli acquisti di beni personali immobili e mobili registrati (Riv. Del Not. 1977), pag. 1061 e segg.;
  • Cian e Villani, Comunione dei beni tra coniugi (Nuova Dig.) pag. 166-167;
  • Finocchiaro – M. Finocchiaro, Riforma del diritto di famiglia, Milano pag. 171 vol. III;
  • Schlesinger, cit. pag. 430, vol. I;
  • Cian e Villani, cit., pag. 167;
  • Finocchiaro – M. Finocchiaro, cit., pag. 529 e segg. Vol. III;
  • Atlante, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia alla luce della prima esperienza professionale notarile, Riv. del Not. 1976, pag. 9;
  • De Paola e Macrì, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, pag. 163;
  • Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, (Tratt. Di Dir. Civ. e Comm. ), pag. 125;
  • Corsi , cit., pag. 125;
  • VV., L’applicazione pratica delle nuove norme sul diritto di famiglia da parte dei notai ( Il Nuovo Diritto di Fam., 1975), pag. 194;
  • Falzea, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia ( Riv. di Dir. Civ., 1977 ), pag. 630;
  • Schlesinger, citato, pag. 410 Vol.I;
  • Busnelli, La comunione legale nel diritto di famiglia riformato ( Riv. del Not. 1976), pag. 44;
  • Schlesinger, cit., pag. 410 Vol. I;
  • Busnelli, cit., pag. 42;
  • Busnelli, cit., pag. 49.

 

 

 

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento