Quali sono le condizioni ed i parametri di cui il Giudice tiene conto per il riconoscimento e la determinazione dell’assegno di mantenimento a favore di un coniuge allorché il rapporto matrimoniale entra in irreversibile crisi ed i coniugi si rivolgono al Tribunale per ottenere la separazione?
È questa una delle principali domande che viene posta da chi ha deciso di separarsi nel momento in cui deve intraprendere il relativo giudizio affidandosi all’assistenza di un avvocato.
È facile immaginare quanto la problematica sia avvertita nell’attuale momento storico in cui l’Istituto matrimoniale è entrato profondamente in crisi, secondo i sociologi, anche, ma non solo, in ragione di una minore propensione della persona a correre il rischio del fallimento di un legame affettivo formale che comporterebbe obblighi e doveri soprattutto di natura economica, diversamente da quanto accadrebbe in sua assenza.
Meglio, quindi, una unione di fatto la cui cessazione comporterebbe meno problemi in tal senso , rispetto all’eventuale scioglimento di un matrimonio.
È importante quindi chiarire a cosa va incontro la persona che ha deciso di separarsi per poi divorziare allorché è venuta meno ed è irrecuperabile la comunione spirituale e materiale tra coniugi.
Ancorché si sia tentato di elaborare delle tabelle che fissano degli importi compresi in una forchetta, tra un minimo e massimo individuato sulla base del reddito goduto da ciascuno dei coniugi (vedasi in particolare quelle dei Tribunali di Monza, Firenze e Palermo), trattasi di una mera indicazione essendo la valutazione comunque rimessa al prudente apprezzamento del Giudice, alla luce del caso concreto sottoposto al suo scrutinio.
Dunque, l’assegno di mantenimento a seguito di separazione è disciplinato dall’art. 156 CC, il quale recita testualmente che “il Giudice pronunziando la separazione stabilisce a carico del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia redditi propri”.
La ratio della disposizione è comunemente individuata nella tutela del coniuge più debole e nell’obbligo del coniuge economicamente più dotato di assicurare, laddove consentito dai suoi redditi, la conservazione del medesimo tenore di vita goduto prima della separazione.
Non addebitabilità della separazione al coniuge titolare dell’assegno, la mancanza da parte del beneficiario di adeguati redditi propri, la sussistenza di una disparità economica tra i due coniugi, sono i tre presupposti per ottenere il mantenimento, dovendosi precisare che con il termine di “reddito” il legislatore ha voluto riferirsi non solo al denaro ma anche ad ogni altra diversa utilità, purché economicamente valutabili (v. ex multis Cass. 4543/1998; Cass. 19291/2005; Cass. 6769/2007; Cass. 2445/2015).
Così il Giudice dovrà tenere conto anche dei beni immobili posseduti, sia per quanto attiene al valore implicito che essi hanno, sia con riguardo all’eventualità di un ricavato conseguente alla locazione o alla vendita.
Costituiscono reddito, ai fini suddetti, i crediti esigibili di cui il coniuge obbligato sia titolare, i risparmi investiti o produttivi, le partecipazioni in società, il possesso di titoli di credito.
Particolarmente dibattuta è la questione relativa al possesso della casa familiare assegnata ad uno dei coniugi da parte del Giudice della separazione.
Essa merita approfondimento in quanto sulla tematica si registrano variegati orientamenti che costituiscono un corollario, per così dire, al principio affermato costantemente dalla giurisprudenza di merito e legittimità secondo cui può farsi luogo all’assegnazione della casa coniugale – che ha natura di diritto personale di godimento, come precisato da Cass. 4719/2006 – solo in presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti affidati al coniuge assegnatario, tanto nel procedimento di separazione quanto in quello di divorzio.
In assenza di tale presupposto, la casa in comproprietà non può essere assegnata dal Giudice in sostituzione o quale componente dell’assegno di mantenimento (di separazione o di divorzio) e resta soggetta alle norme sulla comunione, in ordine all’uso ed alla eventuale divisione (cfr ax multis Cass. 9079/2011; Cass. 6979/2007; Cass. 16398/2007; Cass. 3934/2008; Cass. 387/2012; Cass. 18440/2013; Cass. 12346/2014).
In altro senso, l’assegnazione della casa coniugale non costituisce una misura assistenziale a favore del coniuge economicamente più debole, essendo solo funzionale, a mente dei previgenti art. 155 e 155 quater CC I° comma (quest’ultimo introdotto dalla L. 08/02/2006 n° 54) e dall’attuale art. 337 sexies, comma 1 CC (introdotto dal D.Lgs. 28/12/2013 n° 154), a tutela del prioritario interesse dei figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti conviventi con i genitori: tale ratio protettiva, che tutela gli interessi dei figli a permanere nell’ambiente domestico, in cui sono cresciuti, appare l’unica soluzione compatibile con l’esigenza di tutela del diritto dominicale del coniuge estromesso in quanto espressione della stessa funzione sociale della proprietà di cui all’art. 42 Cost. (cfr ex multis 14553/2011; Cass. 18440/2013; Cass. 18076/2014; Tribunale di Milano 12263/2012 in Red. Giuffré 2012; Tribunale di Salerno 1415/2015 in Red. Giuffré 2015).
Essa, al contrario, non è configurabile in presenza di figli economicamente autosufficienti, ancorché ancora conviventi verso cui non esiste alcuna esigenza di speciale protezione (v. Cass. 21334/2013; Cass. 28001/2013; Cass. 18440/2013; Cass. 18076/2014).
I superiori approcci interpretativi sulla funzione protettiva della prole, identificabili nel provvedimento di assegnazione della casa familiare, a favore del coniuge affidatario, non escluderebbero il potere del Giudice di valutare il valore economico della casa coniugale rimasta ad uno dei coniugi con il quale convivono i figli minorenni e quelli maggiorenni economicamente non autosufficienti, ai fini della concreta determinazione dell’assegno di mantenimento per costoro.
In buona sostanza, nel calcolo dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge e dei figli, rientrerebbe anche la casa coniugale ancorché non integri un componente dell’assegno stesso: valore economico quantificabile sulla base del canone di locazione determinato dalla legge sull’equo canone. In questo senso si è espressa la Cassazione in più di una decisione, citandosi tra le altre Cass. 4203/2006; Cass. 25420/2015; nella giurisprudenza di merito si segnala Corte di Appello di Perugia 525/2011 in red. Giuffré 2011).
Il ragionamento seguito da detta giurisprudenza viene sviluppato sulla base della considerazione che la casa, una volta adibita ad abitazione familiare, costituisce, per chi tra i coniugi è stato preferito nel provvedimento di assegnazione, ed ivi vive, una fonte di reddito, una posta attiva in quanto lo esonera dal fissare la residenza altrove, dove altrimenti dovrebbe pagare un canone di locazione.
Mette conto di rilevare, a tale ultimo riguardo, che non sempre lo svantaggio economico del coniuge rimasto privo di casa deve essere comunque direttamente proporzionale al canone di mercato dell’immobile rilasciato dal coniuge non assegnatario dello stesso, potendo ipotizzarsi una diversa sistemazione in abitazione eventualmente più modesta ma decorosa (v. Cass. 15272/2015).
Se, in linea di principio, non si porrebbe una questione di incidenza della assegnazione della casa nella misura dell’assegno di mantenimento, laddove disposta per la presenza di minorenni o maggiorenni non autosufficienti, è stato chiarito che la revoca di detto provvedimento, in quanto suscettibile di modificare l’equilibrio originariamente stabilito dalle parti, venendo a mancare una posta attiva di un coniuge, legittimerebbe il Giudice a verificare se sia ancora congrua la misura dell’assegno di mantenimento originariamente disposto (v. Cass. 9079/2011).
Chiarito, dunque, cosa si intende per reddito e ricordato che l’addebito della separazione ( notoriamente riconducibile ad ogni comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio ed in presenza del nesso di causalità tra detto comportamento ed il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza, così ex multis Cass. 13747/2003, Cass. 12383/2005; Cass. 13592/2006), è in grado di escludere il diritto all’assegno di mantenimento anche se il coniuge responsabile risulti privo di mezzi di sostentamento (v. Cass. 3797/2008), va sottolineato che nella determinazione dell’assegno suddetto, richiesto in sede di separazione, occorre muovere dalla disamina delle condizioni reddituali e patrimoniali di entrambi i coniugi, tenendo conto del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Questa è almeno l’impostazione che maggiormente si segue.
Per molto tempo si è ritenuto che il fondamento per l’erogazione dell’assegno di mantenimento fosse la necessità di assicurare al coniuge beneficiario un tenore di vita pari o almeno simile a quello goduto dai coniugi in costanza di matrimonio.
Tale impostazione, in tempi più recenti, è stata sottoposta a critica perché non è sempre facile, a seguito della separazione, conservare detto tenore per la pratica ragione che le spese di ciascun coniuge per il menage familiare, possono essere maggiori laddove non possono più essere divise tra i membri della coppia separatasi, entrambi percettori di redditi propri che, cumulati in costanza del matrimonio, permettevano di svolgere una vita più agiata.
Il coniuge separato, inoltre, potrebbe vedersi aumentate le spese per la locazione di un immobile dove andare ad abitare, qualora la casa coniugale fosse assegnata all’altro coniuge affidatario( collocatario) di figli minorenni.
Una situazione del genere penalizzerebbe il soggetto obbligato dovendosi anche considerare le ipotesi che durante il matrimonio i coniugi conducevano una vita al di sopra delle proprie possibilità economiche, ovvero, al contrario, al di sotto (penalizzando, in questo senso il soggetto beneficiario dell’assegno di mantenimento) perché magari erano stati investiti dei denari o fatti risparmi.
Quindi, in tempi più recenti, è stato ritenuto dalla giurisprudenza più corretto elaborare un diverso parametro di riferimento: “il giudice del merito deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio per poi verificare se i mezzi a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo, indipendentemente dalla percezione di detto assegno, ed in caso di esito negativo di tale esame, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione (v. Cass. 3974/2002; Cass. 4800/2002; Cass. 13592/2006).
In tale contesto, è stato ritenuto indice del tenore di vita, alla cui conservazione deve tendere l’assegno di mantenimento de quo, può essere l’attuale disparità di posizioni economiche tra i coniugi (v. Cass. 2156/2010; Cass. 21979 e 23734/2012; Cass. 2961/2015).
Con riguardo alla valutazione comparativa delle condizioni economiche della coppia che si separa, il riferimento dell’art. 156, II comma CC “alle circostanze ed ai redditi dell’obbligato” permette al Giudice di mettere sotto la lente di ingrandimento non soltanto le dichiarazioni ufficiali di natura fiscale (es. IRPEF), ma anche atri elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’obbligato, suscettibili di incidere sulle condizioni economiche delle parti (v. Cass. 17199/2013; Cass. 2445/2015).
Tali circostanze, che il Giudice dovrà tenere presente, possono riguardare, ad esempio, la concreta ed effettiva possibilità di svolgere un lavoro rapportata all’età ed alle condizioni di mercato del luogo in cui vive il coniuge beneficiario, nonché alla sua pregressa esperienza lavorativa o professionale, alle sue condizioni di salute e grado di istruzione: esse potranno, nel caso concreto, incidere sulla quantificazione dell’assegno (v. Cass. 3975/2002; Cass. 12121/2004; Cass. 15806/2008; Cass. 22752/2012; Cass. 3502/2013).
Possono essere oggetto di valutazione economica per i fini suddetti, i beni acquisiti per successione ereditaria dopo la separazione ancorché non incidenti sul tenore di vita in costanza di matrimonio perché intervenuti dopo (Cass. 2542/2014). Lo stesso dicasi con riguardo alla rendita INAIL (per fare un altro esempio) che, pur essendo un bene personale, concorre con altri redditi e con il patrimonio a determinare la situazione economica dell’obbligato (v. Cass. 9718/2010).
Per continuare negli esempi che ben rappresentano i suesposti principi, si segnala che sono del tutto irrilevanti le elargizioni a titolo di liberalità provenienti dai genitori o terzi ricevute dal coniuge obbligato ma anche dal coniuge titolare dell’assegno di mantenimento, in quanto il loro carattere impedisce di considerarle come reddito (Cass. 10380/2012).
Sotto altro profilo è stato invece deciso (Cass. 13026/2014) che l’utilizzo costante di aiuti economici da parte dei genitori della coppia nel corso del matrimonio, può essere idoneo (come deciso nella specie) a produrre oggettivamente un tenore di vita che deve essere preso in considerazione ai fini della valutazione richiesta dall’art. 156 CC.
La stessa possibilità che uno dei coniugi abbia di andare a vivere presso una abitazione altrui, ove è accolto a titolo di ospitalità gratuita, costituisce una circostanza rilevante ai fini della valutazione dell’entità dell’assegno (v. Cass. 2187/2013).
Ed ancora, la durata del matrimonio ed il contributo apportato da un coniuge alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge, sono elementi valutabili al fine di stabilire l’importo dell’assegno dei mantenimento (Cass. 25618/2007).
A questo punto va rammentato che non si richiede una valutazione aritmetica dei redditi, ma una analisi volta ad accertarne l’ammontare complessivo approssimativo, una attendibile ricostruzione delle situazioni patrimoniali di entrambi i coniugi (Cass. 9878/2006; Cass. 3974/2002).
E’ oggi prassi, in quanto richiesto dal Presidente del Tribunale, depositare anticipatamente alla prima udienza, un atto notorio contenente le necessarie informazioni sul patrimonio della parti da cui ricavare elementi utili per la determinazione dell’assegno di mantenimento. In caso di contestazioni, l’Autorità Giudiziaria può sempre disporre le opportune indagini di polizia tributaria dovendosi applicare anche al procedimento di separazione, in via analogica, la norma dell’art. 5 co. 9 L. 898/1970 così come modificato dall’art. 10 L. 74/1987 (v. Cass. 14081/2009; Cass. 26423/2013).
Se da tali indagini dovesse risultare un tenore di vita dell’obbligato elevato rispetto alle emergenze della documentazione formale fiscale, quest’ultime non potrebbero (giustamente) essere prese in considerazione e la misura dell’assegno dovrà esser parametrata non alle condizioni economiche quali risultanti dalle allegate dichiarazioni dei redditi, ma sulla base del reale tenore di vita del soggetto sul quale grava l’assegno di mantenimento.
Così ha stabilito una recente sentenza della Cassazione 16/09/2015 n° 18196, in un caso in cui un uomo denunciava il mutamento delle proprie condizioni economiche come risultanti dalla allegate dichiarazioni IRPEF, per effetto della costituzione, dopo la separazione, di un nuovo nucleo familiare.
Ebbene gli Ermellini respingevano il ricorso opinando che, al di là della dichiarazione dei redditi posseduti, occorreva aver riguardo all’alto tenore di vita del richiedente la revisione dell’assegno di mantenimento nei confronti della moglie separata, rappresentato da un potere di acquisto rilevante.
In simili casi, dunque, il Giudice della separazione non è vincolato, ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento, dalle dichiarazioni dei redditi dell’obbligato, che, rivestendo funzione tipicamente fiscale, possono essere disattese in una controversia estranea al sistema tributario, in luogo della adozione di altre risultanze probatorie.
Come si vede, molteplici sono gli elementi che possono concorrere nel complesso compito, demandato al Giudice, di determinazione dell’assegno di mantenimento in questione e, quindi, appare di problematica applicazione quel sistema tabellare, congegnato da alcuni Tribunali, sulla base di calcoli statistici e matematici difficilmente in grado di sostituire colui che, dovendo decidere complicate questioni, è chiamato ad esprimersi con prudente e motivato apprezzamento.
Marzo 2016- Avv. Antonio Arseni
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