L’assicuratore manleva l’assicurato oltre il massimale, se il ritardo del risarcimento ha lievitato il danno

Il fatto.

Un assicurato convenne in giudizio il proprio assicuratore per essere manlevato, anche oltre il limite del massimale, dalle pretese risarcitorie avanzate dalle persone che l’avevano convenuto in altro giudizio pendente, deducendo che l’assicuratore si era  reso inadempiente agli obblighi contrattuali. La Corte di appello, confermando la sentenza di primo grado, manlevò l’assicurato solo per gli interessi e la rivalutazione e non per le ulteriori somme extra massimale. L’assicurato ricorreva in Cassazione.  

 

La decisione.

La lente è l’art. 1176 comma 2 c.c. L’assicuratore della responsabilità civile (di ogni tipo) ha l’obbligo di tenere indenne l’assicurato delle conseguenze pregiudizievoli di un fatto da lui commesso durante il tempo per il quale è stata stipulata l’assicurazione (art. 1917 c.c.). Tale obbligo sorge nel momento in cui l’assicurato (ovvero il terzo danneggiato quando la legge glielo consente, come nell’assicurazione della r.c.a.: art. 22 1. 24.12.1969 n. 990, applicabile ratione temporis al nostro caso), richiede all’assicuratore il pagamento dell’indennizzo (ovvero risarcimento del danno). A partire da tale momento, l’assicuratore ha l’obbligo nei confronti dell’assicurato di attivarsi con la diligenza da lui esigibile ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., per accertare le responsabilità, stimare il danno, formulare l’offerta, pagare l’indennizzo. La violazione di tali obblighi costituisce un inadempimento del contratto di assicurazione. Dall’inadempimento del contratto di assicurazione discende, come da quello di qualsiasi altro contratto, l’obbligo dell’inadempiente di risarcire il danno (art. 1218 c.c.). Ebbene, il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento dell’assicuratore della r.c.a. dell’obbligo di liquidare sollecitamente il danno patito dal terzo danneggiato non sempre si esaurisce con il pagamento del massimale maggiorato degli interessi. Infatti, il Supremo Collegio offre uno schema distinto in tre  ipotesi. In una prima eventualità, la mala gestio che sublima in un massimale capiente è priva di effetti, tranne la sanzioni amministrative previste dall’art. 315 cod. ass.. In una seconda eventualità, può accadere che  il massimale sia capiente all’epoca dell’illecito e diventi incapiente al momento del pagamento, vuoi per effetto del deprezzamento del denaro, vuoi per effetto della variazione dei criteri di liquidazione del danno: in tal caso, se l’assicuratore avesse tempestivamente indennizzato il terzo, nulla avrebbe dovuto sborsare di tasca propria, e sarebbe rimasto indenne dalle conseguenze civili del proprio illecito; di conseguenza, nel caso di mala gestio, l’assicurato potrà pretendere dall’assicuratore la manleva  integrale, senza riguardo alcuno al limite del massimale, giacché l’assicuratore dovrà in tale ipotesi risarcire non il fatto dell’assicurato (per il quale vige il limite del massimale), ma il fatto proprio, e cioè il pregiudizio patito dall’assicurato e derivato dal colposo ritardo nell’adempimento. La terza eventualità sussiste quando il massimale già all’epoca del sinistro fosse incapiente; in tal caso, quand’anche l’assicuratore avesse tempestivamente pagato l’indennizzo, l’assicurato non avrebbe mai potuto ottenere una copertura integrale da parte dell’assicuratore e se l’assicuratore fosse incorso in mala gestio, sarebbe stato tenuto a pagare all’assicurato gli interessi legali (ed eventualmente il maggior danno, ex art. 1224, comma 2, c.c.), sul massimale.

In questi casi inoltre, costituendo il debito dell’assicuratore una obbligazione di valuta, non è possibile cumulare la rivalutazione del massimale e gli interessi, ma delle due l’una: o il danneggiato dimostra di avere patito un “maggior danno”, cioè un pregiudizio causato dal ritardo nell’adempimento non assorbito dagli interessi legali, ed allora avrà diritto al risarcimento di quest’ultimo; ovvero nulla dimostra a tal riguardo, ed allora gli spetteranno i soli interessi legali (Cass. Civ. Sez. III n. 13537 del 13/06/2014).

Non osta alla manleva la circostanza che l’assicurato “non ha dimostrato di avere pagato al terzo danneggiato alcuna somma”, perchè, diversamente, violerebbe gli artt. 1917 c.c. e 112 c.p.c.. Viola il primo, perché l’assicuratore della r.c. ha l’obbligo di manlevare il proprio assicurato; e se esiste un obbligo, anche futuro  condizionale o sottoposto a termine, il creditore può chiedere quomodolibet la condanna del debitore all’adempimento. Viola il secondo, perché, afferma il Relatore, Dott. Marco Rossetti, “da tempo (da un secolo e mezzo, per l’esattezza) la dottrina e questa Corte ammettono la pronuncia di sentenze di condanna condizionate, quanto alla loro efficacia, al verificarsi di un determinato evento futuro ed incerto, alla scadenza di un termine prestabilito o ad una controprestazione specifica, quale appunto l’avvenuto pagamento di una somma di denaro da parte dell’assicurato (in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 16135 del 09/07/2009 … Sez. 3, Sentenza n. 2026 del 14/10/1970)”.

Sentenza collegata

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Lattarulo Carmine

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