La tutela della salute, intesa quale integrità psichica e fisica, del lavoratore dipendente sul luogodi lavoro è senz’altro necessaria affinché egli possa svolgere le proprie mansioni in piena efficienza, preservando, nel contempo, detta integrità.
La salute, d’altro lato, è un «fondamentale diritto dell’individuo», nonché un «interesse della collettività» (art. 32, co. 1, Cost.), sicché essa dovrebbe essere sempre salvaguardata.
Purtroppo la realtà talora è ben diversa, cosicché taluni lavoratori svolgono le proprie mansioni senza che tale diritto sia adeguatamente tutelato.
In relazione, appunto, alla tutela della sicurezza del lavoratore, può segnalarsi una recente sentenza della Cassazione riguardante una controversia tra la società Autostrade Concessioni S.p.a. ed un suo lavoratore dipendente.
Questi (secondo quanto risulta dalla sentenza 7 novembre 2005, n. 21479 della Cassazione) ha convenuto in giudizio, mediante un ricorso depositato in data 9 marzo 2001, la suddetta società, chiedendo che fosse dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimatogli con lettera del 30 novembre 2000.
Il lavoratore dipendente, che svolgeva le mansioni di esattore presso un casello autostradale, ha precisato, nel ricorso predetto, di aver subito, nel periodo intercorso tra giugno e luglio del 2000, tre rapine a mano armata durante il turno notturno e di aver chiesto invano, alla società datrice di lavoro, l’adozione di misure di sicurezza volte a tutelare la sicurezza dei lavoratori addetti al casello.
Egli, inoltre, dopo aver inutilmente diffidato la società, aveva comunicato a questa che intendeva astenersi dal lavoro con diritto alla retribuzione a decorrere dal 15 ottobre del 2000.
La società datrice di lavoro, a sua volta, aveva contestato l’assenza ingiustificata al lavoratore, indi aveva licenziato quest’ultimo.
Il giudice del lavoro presso il Tribunale di Verbania, con sentenza emessa in data 19 settembre 2001, ha rigettato la domanda del lavoratore dipendente.
La Corte d’appello di Torino ha, parimenti, rigettato l’appello proposto dal lavoratore medesimo. Secondo quanto rilevato dalla Corte anzidetta, non era necessario accertare se le misure di sicurezza affettivamente adottate dalla società datrice di lavoro garantissero o meno la sicurezza dei lavoratori ovvero se fossero individuabili altre misure di sicurezza più efficaci, giacché, quand’anche fosse stato acclarato un parziale inadempimento del datore di lavoro agli obblighi derivanti dall’art. 2087 cod.civ., sarebbe comunque mancata la proporzionalità necessaria per applicare l’art. 1460 cod.civ. e ritenere giustificata, di conseguenza, l’astensione del dipendente dall’attività lavorativa.
Difatti, (sempre secondo la Corte d’appello di Torino) se anche la società datrice di lavoro non avesse adempiuto, in parte, agli obblighi derivanti dall’art. 2087 cod.civ., essa avrebbe posto in essere pur sempre un inadempimento parziale e, pertanto, il rifiuto totale della prestazione lavorativa, da parte del dipendente, non sarebbe stato in ogni caso proporzionato al parziale (e cronologicamente precedente) inadempimento della società suindicata. Conseguentemente, la Corte d’appello di Torino ha ritenuto che l’eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 cod. civ. non fosse applicabile nel caso di specie.
Per comprendere l’itinerario logico seguito dalla Corte d’appello di Torino, occorre tener presenti gli artt. 1460 e 2087 cod.civ.
Il primo articolo prevede quanto segue: «nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto.
Tuttavia non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede».
Inoltre, secondo il disposto dell’art. 2087 cod.civ., «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
La Cassazione, ricostruendo il caso in esame e riferendosi precisamente all’appello, ha effettuato una precisazione ulteriore: «la Corte territoriale aggiungeva […] che anche a volere ritenere fondato l’addebito mosso dal lavoratore alla società Autostrade di non avere adeguatamente provveduto a tutelare la sicurezza dei propri dipendenti per i rischi extralavorativi in violazione dell’art. 2087 c.c., tale inadempimento non avrebbe potuto essere considerato grave sia perché si trattava di un inadempimento relativo a uno solo dei profili di tutela della sicurezza dei lavoratori e sia perché non poteva essere addebitata alla società Autostrade la totale assenza di misure di sicurezza ma, eventualmente, soltanto la mancata adozione di misure di sicurezza più idonee e non facilmente individuabili» [Cass. sent. n. 21479/2005].
La Corte di Cassazione, nel caso di specie, ha statuito quanto segue: «nei contratti a prestazioni corrispettive, quando una delle parti giustifica il proprio inadempimento con l’inadempimento dell’altra, occorre procedere alla valutazione comparativa del comportamento dei contraenti non soltanto in riferimento all’elemento cronologico delle rispettive inadempienze, ma anche in relazione ai rapporti di causalità e di proporzionalità di tali inadempienze rispetto alla funzione economico-sociale del contratto al fine di stabilire se effettivamente il comportamento di una parte giustifichi il rifiuto dell’altra di eseguire la prestazione dovuta, tenendo presente che va, in primo luogo, accertata la sussistenza della gravità dell’inadempimento cronologicamente anteriore, perché quando questo non è grave, il rifiuto dell’altra parte di non adempiere non è di buona fede e, quindi, non è giustificato (v. pronunce di questa Corte 4743/1998; 10668/1999; 699/2000; 8880/2000 ecc.). Va inoltre aggiunto che il requisito della buona fede previsto dall’art. 1460 c.c. per la proposizione dell’eccezione inadimplenti non est adimplendum sussiste quando, nella comparazione tra inadempimento cronologicamente anteriore e prestazione corrispettiva rifiutata, il rifiuto sia stato determinato non solo da un inadempimento grave, ma anche da motivi corrispondenti agli obblighi di correttezza che l’art. 1175 impone alle parti in relazione alla natura del contratto e alle finalità da questo perseguite (v. pronuncia di questa corte 4743/1998)» [Cass. sent. n. 21479/2005].
La Corte Suprema ha altresì puntualizzato: «In particolare con riferimento al contratto di lavoro l’ipotesi del sopravvenuto venir meno in modo totale o parziale della prestazione lavorativa tale da giustificare il licenziamento ex art. 18 l. 300/1970 per giusta causa o per giustificato motivo ai sensi dell’art. 3 l. 604/1996 non è ravvisabile se il mancato o non completo adempimento del lavoratore trova giustificazione nella mancata adozione da parte del datore di lavoro delle misure di sicurezza che, pur in mancanza di norme specifiche, il datore è tenuto ad osservare a tutela dell’integrità fisica e psichica del prestatore di lavoro e se quest’ultimo prima dell’inadempimento secondo gli obblighi di correttezza informa il datore di lavoro circa le misure necessarie da adottare a tutela dell’integrità fisica e psichica del lavoratore, sempre che tale necessità sia evidente o, comunque, accertabile o accertata» [Cass. sent. n. 21479/2005].
Pertanto, in virtù di tale pronunzia, si può asserire che l’inadempimento (anche completo) dellaprestazione lavorativa, posto in essere dal lavoratore dipendente, è giustificato (e non può costituire motivo di licenziamento per giusta causa) quando il datore di lavoro non abbia adottato, pur in mancanza di norme specifiche, tutte le misure di sicurezza necessarie al fine di preservare l’integrità fisica e psichica del dipendente e costui abbia, conformemente agli obblighi di correttezza, informato tempestivamente, vale a dire prima di porre in essere l’inadempimento (derivante dall’astensione del dipendente dall’attività lavorativa), il datore di lavoro circa le misure necessarie da adottare per tutelare l’integrità predetta. E’ altresì essenziale che la necessità delle misure di sicurezza sia evidente o, comunque, accertabile o accertata.
Altre precisazioni della Corte di Cassazioni meritano di essere segnalate. Anzitutto, riguardo al rischio denunciato dal lavoratore, la Corte suddetta ha chiarito: “[…] Va, intanto, osservato che è erronea l’affermazione della corte territoriale, secondo la quale l’obbligo del datore di lavoro di assicurare al lavoratore misure di sicurezza idonee a garantirgli la integrità fisica e morale nell’adempimento della prestazione lavorativa avrebbe avuto ad oggetto un rischio di natura extra-lavorativa. Il rischio denunciato dal lavoratore, invece, era lavorativo, posto che trovava occasione nell’adempimento della sua prestazione” [Cass. sent. n. 21479/2005].
In secondo luogo, la Corte di Cassazione ha enucleato l’iter logico che deve orientare l’applicazione dell’art. 1460 cod.civ.: “[…] Nella specie, invece, la Corte d’appello di Torino ha esaminato la comparazione delle inadempienze in base al criterio quantitativo e non già a quello qualitativo ossia ha comparato i due contrapposti inadempimenti non già in riferimento alla loro natura e gravità, bensì alla totale o parziale mancata esecuzione delle fondamentali prestazioni corrispettive del contratto di lavoro. In riferimento alla scriminante di cui all’art. 1460 c.c. andava invece valutata la natura della complessiva obbligazione incombente sul datore di lavoro e comprendente anche l’obbligo di adozione di tutte le misure di sicurezza idonee ad assicurare la tutela dell’integrità fisica del lavoratore in relazione all’organizzazione dell’azienda. Una volta accertata l’inosservanza di tale obbligo di adozione delle misure di sicurezza, avrebbe dovuto esser cura del giudice di merito accertare, a sua volta, previo libero apprezzamento delle risultanze di tutte le circostanze evidenziate dai testi o da ritenere acquisibili al processo se non come fatti notori (successive rapine allo stesso casello in occasione delle quali sono stati feriti esattori ivi addetti e successiva adozione delle misure di sicurezza già richieste dal M.) quanto meno se e come fatti non contestati, se fosse stata o no giustificata secondo correttezza e buona fede la risposta di inadempimento del lavoratore. Pertanto, in accoglimento del proposto ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Genova, la quale si uniformerà, nella definizione della controversia, ai principi di diritto sopra sottolineati e sorreggerà la decisione con motivazione esauriente e immune dai vizi logici e giuridici in cui è incorsa la Corte d’appello di Torino e sopra evidenziati” [Cass. sent. n. 21479/2005].
La Cassazione dunque, nella sentenza poc’anzi citata, precisa che il raffronto tra i due inadempimenti (cioè, nel caso di specie, quello del datore di lavoro e quello del dipendente) deve essere, in relazione all’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 cod.civ., di carattere qualitativo e non già quantitativo, ossia il giudice deve stabilire se l’inadempimento cronologicamente successivo si può giustificare come, per così dire, risposta all’inadempimento cronologicamente anteriore secondo correttezza e buona fede. Tale giudizio (che comporta la valutazione della natura e della gravità dei due inadempimenti) deve orientare la decisione del giudice in ordine all’applicazione dell’art. 1460 cod.civ., e giammai il riferimento, di carattere quantitativo, alla totale o parziale mancata esecuzione delle fondamentali prestazioni corrispettive del contratto di lavoro.
Angelo Ippoliti
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