Riferimenti normativi:
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Decreto Legge 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 bis
Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana 30 agosto 1993, n. 203;
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Legge 08/05/1998 n. 146, art.10. – Modalità di utilizzazione degli studi di settore in sede di accertamento;
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Decreto Ministeriale del 23/12/2013, pubblicato nel S.S. della G.U. n. 304 del 30.12.2013;
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Corte di Cassazione SS. UU. con Sentenza n. 26635 del 18.12.2009
Uno dei metodi di accertamento di cui si avvale il Fisco Italiano, per verificare la giusta partecipazione alla spesa pubblica dei contribuenti è lo studio di settore.
Regolato dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 bis, lo strumento– mediante analisi economiche e tecniche statistico-matematiche – rileva parametri fondamentali relativi al reddito e, di conseguenza, al probabile gettito fiscale da versare all’erario di liberi professionisti, lavoratori autonomi e imprese. L’obiettivo è combattere l’evasione fiscale.
Nel corso degli anni, questo strumento si è informatizzato grazie all’ausilio del software Ge.Ri.Co. e ha provocato notevoli problematiche, soprattutto a causa della crisi economica che ha reso assolutamente imprevedibili i mercati e destabilizzato i ruoli imprenditoriali anche da un punto di vista reddituale.
Diversamente dal redditometro che incrocia le spese con i contributi, gli studi di settore raccolgono sistematicamente i dati che caratterizzano l’attività e il contesto economico in cui opera l’impresa (al solo scopo di valutare la sua reale capacità di produrre reddito) e sono impiegati per l’accertamento induttivo di esercenti, arti, professioni e imprese.
La norma di cui all’art. 62 bi del D.L. 331/93, infatti, prevede:“1. Gli uffici del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze, sentite le associazioni professionali e di categoria, elaborano, entro il 31 dicembre 1995, in relazione ai vari settori economici, appositi studi di settore al fine di rendere più efficace l’azione accertatrice e di consentire una più articolata determinazione dei coefficienti presuntivi di cui all’ articolo 11 del decreto legge 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154 e successive modificazioni. A tal fine gli stessi uffici identificano campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori da sottoporre a controllo allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l’attività esercitata. Gli studi di settore sono approvati con decreti del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 1995, possono essere soggetti a revisione ed hanno validità ai fini dell’accertamento a decorrere dal periodo di imposta 1995.”.
Gli accertamenti da studi di settore sono stati oggetto di numerose pronunce nell’anno 2013 presso le sezioni tributarie della Corte di Cassazione; da molte di esse è ormai palese e consolidato l’orientamento che affida un ruolo fondamentale al contraddittorio preventivo.
Seguendo l’orientamento delle Sezioni Unite – sentenza n. 26635 del 18.12.2009 – , in cui si afferma che: “La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito ai contraddittori da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento”, si continua a ribadire l’importanza del contraddittorio anche in relazione all’illegittimità dell’operato dell’ufficio che non ha tenuto conto o non ha giustificato le ragioni per le quali ha disatteso le argomentazioni addotte dal contribuente in sede di contraddittorio preventivo.
Come dire, se c’è stato un calo del lavoro, una crisi economica, per il fisco, l’imprenditore guadagna comunque quanto calcolerà il software.
Naturalmente, vi sono delle situazioni – cosiddette “anomalie” – che costituiscono i casi particolari d’ inapplicabilità dello studio di settore; ad esempio le zone terremotate, o le zone svantaggiate o situazioni di gravi impedimenti allo svolgimento della professione.
Ed appunto questi casi sono attualmente comunicati dai contribuenti al Fisco, che ne deve (ed in molti casi, almeno dovrebbe) tenere conto.
A tal proposito, la sentenza della Corte di Cassazione del 10.04.2013, n. 8706, ribadisce che “se nel contraddittorio l’impresa dimostra la situazione di crisi nella quale si trova che l’ha costretta a licenziare due dipendenti, ed il dissidio che sussisteva fra i soci che rischiava di far vacillare l’intera attività, l’ufficio non può non tenerne conto.”.
Attualmente tutta la categoria imprenditoriale nazionale sta subendo un grave aggravio dei costi di giustizia, che provoca l’inevitabile calo della produttività.
La marcia su Roma del 20 febbraio 2014 ha dato un grande segnale di emergenza per la categoria degli avvocati.
L’operazione di “rottamazione della giustizia” provoca notevoli impedimenti agli interpreti forensi, che nella zona di Lecce ed in Sardegna hanno attuato un’astensione giudiziale ad oltranza.
In particolare, dopo gli appuntamenti designati dall’OUA, la città di Lecce, benchè invitata a desistere sia dalla Commissione di Vigilanza che dall’Anm, si è data appuntamento al 24 marzo per fare il punto della situazione.
La magistratura ha evidenziato notevoli disagi in relazione alla molte di cause rinviate e pendenti; addirittura, con una delibera dell’Associazione nazionale magistrati divulgata in tutte le aule di tribunale, ha rinnovato l’invito a desistere, invocando un presunto mancato preavviso nei casi d’astensione.
Ma invece, gli avvocati salentini, attraverso lo stesso codice di autoregolamento delle astensioni dalle udienze degli avvocati, si affidano all’art. 2 comma7 della Legge n. 146 del 12 giugno 1990, modificata dalla n. 83 dell’11 aprile 2000, secondo cui “il preavviso minimo e l’indicazione della durata non si applicano nei casi di astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale.”.
Ed evidentemente le violazioni in atto sono tali e tante da ledere una intera categoria professionale.
In questo clima, sarà necessario – oltre che consolidato anche alla luce delle recenti pronunce di legittimità – tenere conto di questo stato di “non voluta inattività”, anche ai fini degli accertamenti che saranno effettuati nei confronti degli avvocati che hanno aderito all’astensione ancora in atto.
Ai fini degli studi di settore, sarà opportuno che tale anomalia giudiziaria sia tenuta in considerazione dagli organi preposti ai controlli fiscali relativi all’anno 2014, nei confronti degli avvocati tutti.
Bisognerà predisporre delle adeguate comunicazioni che dovranno essere portate all’attenzione di tutti gli uffici dell’Agenzia delle Entrate – a livello locale e nazionale -, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, della Guardia di Finanza e di tutti gli ordini professionali locali e nazionali.
In tal senso, al fine di evitare il perpetrarsi di accertamenti da studi di settore nei confronti degli avvocati, sarebbe auspicabile un urgente intervento legislativo che, in relazione all’anno 2014, valuti con attenzione la situazione di agitazione professionale provocata dalla normativa restrittiva e invasiva applicata alla categoria e renda inapplicabile lo strumento accertativo, stante la situazione di non produttività forzata.
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