Anche questo approfondimento prende le mosse da un quesito pervenuto nei giorni scorsi, che ha permesso di fare il punto sull’attività istruttoria che deve precedere l’eventuale rilascio dell’attestato di soggiorno permanente a favore dei cittadini U.E..
In proposito si registrano comportamenti variegati da parte degli Ufficiale di anagrafe, in parte giustificati dalla complessa normativa nazionale e comunitaria in materia.
Come noto, il diritto dello straniero comunitario di soggiornare in modo legale nello Stato membro ospitante, in base a un autonomo titolo di soggiorno, è consentita solo in presenza di certe condizioni, che variano a seconda del periodo di tempo dal quale lo straniero si trova nel territorio dello Stato ospitante.
Tanto doverosamente premesso, ricordiamo che il diritto di soggiorno permanente e il conseguente rilascio del relativo attestato spettano, di norma, al cittadino U.E. che dimostri all’Ufficiale di anagrafe di avere soggiornato “legalmente e continuativamente” in Italia per almeno cinque anni (art. 14 D. Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30).
Sul punto non può non essere richiamata la fondamentale sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – Grande Sezione del 21 dicembre 2011 (cause C-424/10 e 425/10), la quale ha chiarito quanto segue: “L’art. 16, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri […], deve essere interpretato nel senso che non si può ritenere che il cittadino dell’Unione che abbia compiuto un soggiorno di più di cinque anni sul territorio dello Stato membro ospitante sulla sola base del diritto nazionale di tale Stato [n.d.r.: iscrizione in anagrafe] abbia acquisito il diritto al soggiorno permanente in conformità a tale disposizione se, durante tale soggiorno, egli non soddisfaceva le condizioni di cui all’art. 7, n. 1, della stessa direttiva” [n.d.r.: perdurante possesso dei requisiti di cui all’art. 7 D. Lgs. 6 febrbaio 2007, n. 30].
In altri termini, per ritenere dimostrato il requisito del soggiorno “legale” nel territorio dello Stato per almeno cinque anni, non ci si può limitare a verificare la durata dell’iscrizione anagrafica, la quale rappresenta una condizione necessaria ma non ancora sufficiente per ritenere pienamente dimostrata la “legalità” del soggiorno del cittadino U.E. nel territorio dello Stato ospitante.
Lo straniero comunitario residente potrebbe, infatti, avere perso, successivamente all’iscrizione anagrafica e/o al rilascio dell’attestato di regolarità di soggiorno tout court, il possesso dei requisiti che gli consentono di essere considerato regolarmente soggiornante ed essere diventato uno straniero residente ma irregolarmente soggiornante.
Per evitare che anche gli stranieri che si trovano in quest’ultima situazione possano ottenere l’attestato di soggiorno permanente, coloro i quali aspirano ad ottenere tale attestato sono tenuti a dimostrare all’Ufficiale di anagrafe di avere avuto mantenuto il possesso dei requisiti per essere considerati regolarmente soggiornanti durante tutto il quinquennio utile ai fini del rilascio dell’attestato di soggiorno permanente.
Analogamente a quanto previsto per i cittadini U.E. che chiedono l’iscrizione in anagrafe con provenienza dall’estero [cfr. allegato B alla circolare del Ministero dell’Interno n. 9 del 27 aprile 2012 nonché il punto n. 4) intitolato “Diritto di soggiorno per motivi di lavoro” della Circolare del Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, n. 45 recante data 8 agosto 200], gli interessati devono esibire direttamente la documentazione dalla quale desumere il perdurante possesso dei requisiti della regolarità del soggiorno per il periodo minimo prescritto dalla legge, non potendosi ritenere sufficiente ai fini della prova del perdurante possesso dei requisiti l’autodichiarazione del mantenimento degli stessi per il periodo prescritto.
Non appare fuori luogo segnalare come la sentenza sopra richiamata ha altresì stabilito che i periodi di soggiorno del cittadino U.E. di uno Stato terzo sul territorio di uno Stato membro, compiuti prima dell’adesione di detto Stato terzo all’Unione europea, devono, in assenza di disposizioni specifiche contenute nell’atto di adesione, essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente a norma dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38, purché siano stati compiuti in conformità alle condizioni di cui all’art. 7, n. 1, della stessa direttiva.
In altri termini, ai fini del calcolo dei cinque anni per il rilascio dell’attestato di soggiorno permanente, vanno considerati i periodi di soggiorno regolare precedenti sia all’adesione dello Stato all’U.E. (cfr. circolare Ministero dell’Interno n. 39 del 18 luglio 2007).
Ad esempio, con specifico riguardo alla Repubblica di Croazia, ricordiamo che essa è diventata Stato membro dell’Unione europea dal 1° luglio 2013, in quanto da tale data è in vigore il Trattato del 9 dicembre 2011 relativo alla sua adesione all’Unione (Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 24 aprile 2012, n. L112 e Legge di ratifica del 29 febbraio 2012, n. 17, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 52 del 2 marzo 2012, Supplemento Ordinario n. 42).
Ai fini del calcolo dei cinque anni per il rilascio dell’attestato di soggiorno permanente, vanno altresì considerati i periodi di soggiorno regolare precedenti all’entrata in vigore del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30.
In quest’ultima evenienza, la data di decorrenza coincide con la data d’inizio di validità del titolo di soggiorno (permesso o carta di soggiorno), già in possesso dall’interessato.
Il caso di specie si riferiva a dei cittadini marito e moglie croati, iscritti in anagrafe come cittadini extracomuntiari (e, quindi, sulla base di un regolare permesso di soggiorno) dal 20/12/1998 con l’ultimo permesso scaduto il 31/12/2012, sicché era possibile affermare che essi avevano soggiornato legalmente in Italia per almeno un quinquennio utile ai fini del rilascio dell’attestato di soggiorno permanente, essendo essi nel frattempo divenuti cittadini U.E..
Tuttavia i cittadini stranieri non erano in grado di dimostrare, al momento della richiesta dell’attestato di soggiorno permanente, di essere in possesso di uno dei requisiti (art. 7, comma 1°, del D. Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30) per essere considerati regolarmente soggiornanti come cittadini U.E..
Tale circostanza deve essere considerata irrilevante ai fini dell’attestato di soggiorno permanente.
Per ottenere il rilascio di tale attestato NON è, infatti, richiesto di dimostrare ANCHE il possesso di uno dei requisiti (art. 7, comma 1°, D. Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30) per ottenere la prima iscrizione anagrafica e/o l’attestato di regolarità di soggiorno tout court da parte del cittadino U.E., bensì SOLO la legalità e continuità del soggiorno in Italia per almeno cinque anni (art. 14, D. Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30).
Stando così le cose, marito e moglie cittadini croati sono stati ritenuti in possesso dei requisiti per ottenere l’attestato di soggiorno permanente.
Se, invece, in capo a tali cittadini U.E. non fosse stato riconosciuto il possesso dei requisiti necessari per l’attestato di soggiorno permanente, allora il fatto che essi, al momento della richiesta, non fossero, in grado di dimostrare il possesso di uno dei requisiti di cui all’art. 7, comma 1°, D. Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 avrebbe assunto rilevanza.
Agli stessi avrebbe dovuto essere contestato, tramite l’avvio di apposito procedimento, lo status di residenti ma irregolarmente soggiornanti [sul punto sia consentito rinviare a PAOLO RICHTER, L’iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri terza parte), in «Lo Stato Civile Italiano», n. 7/2013, Sepel Editrice, pagg. 42 e ss. e, dello stesso autore, il nuovissimo e-book IL PROCEDIMENTO DI ISCRIZIONE ANAGRAFICA “IN TEMPO REALE” DEI CITTADINI COMUNITARI edito da Sepel, disponibile dal 12 novembre 2013].
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