La Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con sentenza n. 11715/14, depositata il 26 maggio 2014, chiarisce che il giustificato motivo oggettivo del licenziamento di un lavoratore tossicodipendente è supportato non dalla sussistenza dello stato di tossicodipendenza in sé, ma dall’incertezza circa il consumo o meno di stupefacenti e la concreta impossibilità di adibire il lavoratore stesso a mansioni equivalenti
Il caso in esame vede opposti l’azienda A. s.p.a., quale datore di lavoro e la controparte G.G., in qualità di dipendente assunto presso la stessa società con qualifica di autista (inquadrato nel IV livello del CCNL FEDERAMBIENTE) di mezzi pesanti dediti alla raccolta dei rifiuti. Il lavoratore subiva, con Sentenza della Corte d’Appello di Roma del 28 giugno 2006, una condanna per il reato di detenzione illegale di sostanze stupefacenti. Nel mese di luglio 2006, il Sig. G.G. chiedeva di essere riammesso in servizio avendo espiato la pena prevista (arresti domiciliari e obbligo di firma). Nel settembre 2006 l’azienda convocava il lavoratore a colloquio insieme ad un assistente sociale della cooperativa sociale M. per far intraprendere allo stesso un percorso riabilitativo; questi, rifiutava di iniziare il percorso di sostegno affermando di aver pienamente superato la fase di tossicodipendente. Quattro mesi più tardi, in data 07 febbraio 2007, il datore di lavoro intimava al dipendente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per due motivazioni di fondo: in primis, ritenendo il Sig. G.G. non idoneo allo svolgimento delle mansioni previste dal contratto, in secondo luogo, per oggettiva impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti.
La Corte d’Appello di Roma, uniformandosi al giudizio del Tribunale di primo grado, dichiarava la nullità del licenziamento e disponeva il reintegro del dipendente, nonché la corresponsione di un’indennità equivalente alla retribuzione non percepita dal giorno del licenziamento fino alla data del reintegro.
Stando a quanto sostenuto in un primo momento dal Giudice d’appello, il licenziamento veniva intimato per i seguenti motivi:
- consumo di sostanze stupefacenti da parte del lavoratore, accertato con sentenza penale di condanna;
- rifiuto del lavoratore di intraprendere un percorso riabilitativo;
- inidoneità allo svolgimento delle mansioni di autista di mezzi pesanti circolanti su pubblica via;
- impossibilità di impiegare il lavoratore con mansioni equivalenti.
La Corte territoriale, ha successivamente abbandonato tale (corretta) ricostruzione, sostenuto che il giustificato motivo oggettivo del licenziamento era costituito dalla sussistenza dello stato di tossicodipendenza del lavoratore. Pertanto, secondo il Giudice d’appello, la tesi sostenuta della società A. è viziata per mancanza dell’elemento probatorio. Difatti, l’attore avrebbe dovuto far sottoporre il dipendente ad esami medici specifici, secondo quanto previsto dagli artt. 16 e 17 D.lgs. n. 626 del 1994, al fine di dimostrare in modo inequivocabile l’esistenza o meno dello stato di tossicodipendenza. Solo la positività all’esame tossicologico avrebbe costituito un valido elemento atto a supportare la tesi del licenziamento intimato per le ragioni sopracitate. Tuttavia, prosegue la Corte territoriale: “anche volendo aderire alla tesi interpretativa dell’A. sarebbe stato onere della società stessa di dimostrare di avere tentato di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle cui era addetto, mentre l’A. ha sottolineato di non aver effettuato alcuna ricerca in tal senso”.
Alla luce della pronuncia della Corte d’Appello, la A. s.p.a. proponeva ricorso in Cassazione.
Secondo la Cassazione “la Corte d’Appello – al pari del giudice di primo grado – ha ravvisato il giustificato motivo oggettivo del licenziamento nello stato di tossicodipendenza del lavoratore, così incorrendo in un errore di diritto”; diversamente il giudice di ultima istanza ravvisa la sussistenza del giustificato motivo oggettivo nell’impossibilità di adibire il dipendente alla guida di mezzi pesanti circolanti su strade pubbliche, allo scopo di salvaguardare l’incolumità fisica di terzi.
Appare inoltre inesatta la tesi promossa della Corte d’Appello, ovvero il rimprovero impartito al datore di lavoro per non aver sottoposto il dipendente ad adeguata visita medica, come previsto dal D.p.r. n. 309 del 1990 e nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, in modo da accertare lo stato di tossicodipendenza, poiché, all’epoca dei fatti in esame, solo il personale medico appartenente a strutture pubbliche avrebbe potuto effettuare gli esami richiesti dal caso, non essendo stata emanata la normativa di attuazione dei commi 1 e 2 dell’articolo 125 del Decreto sopracitato.
L’azienda, alla luce dei fatti, non avendo prove tangibili, come esami tossicologici ad hoc, tali da dimostrare l’avvenuto recupero psico-fisico del dipendente e non potendo adibire lo stesso allo svolgimento di mansioni equivalenti, procedeva con la risoluzione del rapporto di lavoro. Inoltre, il Sig. G.G. si dimostrava indisponibile nell’intraprendere un percorso riabilitativo, oltre che a svolgere mansioni diverse e/o inferiori.
Il Giudice d’appello non ha, inoltre, dato giustificazioni in merito all’irrilevanza, data durante il processo, alla richiesta fatta dalla parte A. s.p.a., di far esibire al dipendente le denunce dei redditi relative al periodo intercorso tra la data di cessazione del rapporto e la data di reintegro, con lo scopo di quantificare con esattezza il risarcimento, decurtando dallo stesso la retribuzione che il lavoratore avrebbe eventualmente percepito da altri datori di lavoro in detto periodo (aliunde perceptum).
Nel caso di specie, il datore di lavoro era tenuto a valutare non lo stato di tossicodipendenza, bensì l’oggettiva assenza di consumo di stupefacenti e/o psicotrope. Infatti, come previsto dalla legge del 29 luglio 2010, n. 120, nonché dall’articolo 187 del codice della strada (di cui al d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285), ad integrare il reato di guida non è necessaria l’attestazione di uno stato di tossicodipendenza del guidatore, poiché è sufficiente la sola assunzione di sostanze stupefacenti e/o psicotrope che generino nell’individuo alterazioni psico-fisiche. Si concreta, pertanto, anche una responsabilità datoriale (ex articolo 2049 cod. civ.), qualora il dipendente, alla guida di un automezzo e in stato psico-fisico alterato, cagioni danni a terzi.
Incombe, inoltre, sullo stesso lavoratore, l’onere della prova, attraverso la produzione dell’esito di esami tossicologici ad hoc, attestanti il pieno recupero psico-fisico; l’ipotesi contraria, legittima il datore di lavoro a procedere con il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
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