L’azione cautelare nel processo amministrativo: Natura e presupposti

Maesano Mario 16/06/11

1. Brevi cenni introduttivi e storici sull’evoluzione della tutela cautelare nel processo amministrativo.

Il libro secondo del codice del processo amministrativo, introdotto dal D.lgs., 2 luglio 2010, n. 104, contempla al titolo II il procedimento cautelare. Attraverso tali misure si realizza la c.d. tutela processuale cautelare, ovvero una forma di tutela mediata (detta anche strumentale) diretta ad assicurare l’efficace risoluzione della controversia.

Il carattere strumentale attribuisce alle misure cautelari la connotazione dell’interinalità: esse non sono mai definitive e irreversibili, ma si collocano in una posizione servente rispetto alla pronuncia definitiva (1).

L’istituto in commento costituisce uno dei più importanti strumenti tecnici mediante i quali l’ordinamento garantisce l’effettività della tutela (vedi art. 1 c.p.a.). Tale esigenza trova il proprio fondamento già nella prima parte della Costituzione all’art. 24 e nella seconda parte all’art. 113. Il codice, dal canto suo, pur facendo riferimento ai predetti principi volge la propria attenzione altresì al diritto europeo, adeguando l’intera codificazione all’ordinamento multilivello e quindi al modo di intendere detto principio nell’ordinamento comunitario e in quello internazionale (con particolare riguardo nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) (2).

Parimenti, le misure cautelari attuano quel principio chiovendiano per cui il tempo necessario per celebrare un processo non deve ricadere in termini pregiudizievoli sulla sfera giuridica della parte che, in conclusione di giudizio, risulterà vittoriosa. Il soggetto, infatti, deve ottenere la tutela del suo diritto negli stessi termini di effettività in cui l’avrebbe ottenuta se l’accertamento – avente in conclusione di giudizio ricadute positive – della sua pretesa fosse stato effettuato il giorno in cui è stata proposta domanda giudiziale (3).

Il processo amministrativo, sulla falsariga del processo civile, conosce una vasta gamma di misure cautelari che spaziano da: la sospensione del provvedimento impugnato e l’ingiunzione al pagamento di somme, passando attraverso il sequestro conservativo e le misure urgenti ex art. 700 c.p.c.

La disciplina della tutela cautelare costituisce, dunque, un profilo assolutamente primario nel quadro generale del processo amministrativo, integrando un elemento imprescindibile per la garanzia dell’interesse – pubblico generale – alla tutela effettiva avverso il cattivo esercizio del potere pubblico.

L’istituto della tutela cautelare assume, quindi, particolari peculiarità nel giudizio amministrativo. Questo sorge con la stessa istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato. L’art. 12 della legge 31 marzo 1889, n. 5992, pur sancendo l’inidoneità del ricorso contenzioso a sospendere l’efficacia dell’atto o del provvedimento impugnato, non mancava di prevedere che l’esecuzione di quest’ultimo potesse essere sospesa «per gravi ragioni, con decreto motivato della Quarta sezione previa istanza del ricorrente».

Le regole procedurali da seguire vennero, in seguito, dettate dall’art. 21 del r.d. 17 ottobre 1889, la cui impostazione sarebbe stata ripresa dall’art. 36 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642 (regolamento per la procedura del giudizio davanti al Consiglio di Stato) (4).

L’art. 21, ultimo comma, della legge Tar, confermava, anche per il primo grado di giudizio, il regime della tutela cautelare vigente in precedenza innanzi il Consiglio di Stato.

La legge 205 del 2000, dal canto suo, ha sostanzialmente modificato l’art. 21, comma 7, della legge TAR, attribuendo al giudice amministrativo, sia nell’ambito della sua giurisdizione di legittimità che in quella esclusiva, un potere cautelare a contenuto generico e atipico.

A tal proposito si è sostenuto come, tale atto normativo abbia avuto il merito di recepire e codificare i principi già consolidati in sede giurisprudenziale amministrativa, costituzionale e comunitaria (5). Il legislatore ha pertanto sancito che «Se il ricorrente, allegando un pregiudizio grave e irreparabile derivante dall’esecuzione dell’atto impugnato, ovvero dal comportamento inerte dell’amministrazione, durante il tempo necessario a giungere ad una decisione sul ricorso, chiede l’emanazione di misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interamente gli effetti della decisione del ricorso, il tribunale amministrativo regionale si pronuncia sull’istanza con ordinanza emessa in camera di consiglio» (6).

Prima della legge n. 205 del 2000 nella prassi emergevano varie tipologie di provvedimenti cautelari, utilizzati dal giudice amministrativo in sede di legittimità: provvedimenti di sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato, esplicitamente previsti dall’art. 21 legge TAR nella sua versione originale; provvedimenti a contenuto misto a fronte di atti negativi dell’amministrazione, contenti, oltre alla sospensione dell’efficacia dell’atto, un ordine rivolto all’amministrazione che questa è tenuta ad osservare (7).

Così la giurisprudenza aveva dato attuazione agli artt. 24 e 113 Cost. in funzione di una tutela piena degli interessi legittimi, trasformando la tutela cautelare amministrativa «non più volta, come nell’originaria idea del legislatore, a svolgere un ruolo di mera conservazione dello stato esistente prima dell’emanazione del provvedimento impugnato, bensì ad assicurare le misure (…) idonee a far fronte a ritardi che potrebbero rivelarsi irrimediabili, in specie anticipando i contenuti non solo della decisione definitiva, ma anche della successiva attività rinnovatoria della pubblica amministrazione ovvero quelli dell’eventuale giudizio di ottemperanza» (8).

Il d.lgs. 104 del 2010, sul riordino del processo amministrativo, conferma la scelta e l’art. 55, 1° comma ricalca la disposizione contenuta al citato art. 21 della legge TAR, così come modificato dalla legge n. 205 del 2000. Quindi, il Codice del 2010 ha recepito l’esistente.

Restano, pertanto, i dubbi sui limiti del potere cautelare del giudice amministrativo, sia in ordine al principio della separazione dei poteri sia in ordine all’esigenza di mantenere le possibili conseguenze della misura cautelare nei limiti della sua funzione strumentale e sull’ammissibilità delle c.d. ordinanze propulsive.

Invero, se le perplessità del Consiglio di Stato stanno, non tanto nel bene della vita da attribuire in via cautelare quanto, piuttosto, nelle modalità mediante le quali far avere all’interessato quello stesso bene della vita, mi sembra il problema sia di poco momento.

 

2. Presupposti della tutela cautelare e profili funzionali scaturenti dalla novella del Codice.

L’ordinamento prevede che lo strumento dell’azione cautelare sia strumentale rispetto a quello di merito. Esso, si conclude con una ordinanza a carattere provvisorio, proprio perché la tutela cautelare è volta a porre rimedio ai rischi che derivano dalla durata del processo.

Il titolo II disciplina in modo unitario il procedimento cautelare, lasciando fuori solo i riti abbreviati (di cui agli artt. 119 e 125 del c.p.a.) dettando una disciplina abbastanza organica, la cui ratio ispiratrice si rinviene nella relazione introduttiva al codice. In essa si desume come l’obiettivo di fondo sia quello «garantire una posizione di equilibrio tra le parti, rafforzando dunque la garanzia del contraddittorio e, al contempo, salvaguardando le esigenze di tempestività».

L’art. 55, nel regolare il procedimento cautelare (che può essere definito, ordinario, ossia diretto a chiedere tutela cautelare al Collegio), contiene i presupposti per la concessione della misura cautelare. Questi sono identificati, rispettivamente, nel periculum in mora e nel fumus boni iuris ai sensi dell’art. 55, commi 1 e 9.

Il primo presupposto è riferito all’esistenza di un pregiudizio grave e irreparabile a carico del ricorrente. Ne consegue che il ricorrente, sin dalla riforma della l. 205/2000, in sede si proposizione dell’istanza cautelare non deve più allegare i danni gravi ed irreparabili bensì il pregiudizio, che dovrà essere correlato non più solo all’esecuzione del provvedimento bensì anche all’inerzia dell’amministrazione.

Pertanto, il ricorrente potrà richiedere al collegio l’emanazione delle «misure cautelari che appaiono secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso».

Quanto al secondo presupposto, vale a dire il fumus, era opinione diffusa che la sospensiva (unica misura cautelare tipica) avrebbe dovuto essere adottata sulla scorta di una valutazione sommaria dei fatti di giudizio.

Nel regime antecedente al codice e alla l. 205/2000 il fumus era rimesso all’apprezzamento del giudice. Nel novellato regime il giudice cautelare è chiamato, in sede di adozione dell’ordinanza, a dare seguito ad un esame più approfondito e motivato rispetto al passato.

Sicché, l’ordinanza dovrà contenere una motivazione approfondita in ordine al pregiudizio e indicare in maniera chiara i profili che, ad un esame sommario, inducono a ritenere in termini previsionali l’esito del ricorso.

Una previsione di tal fatta consente di evitare un utilizzo scelerato delle misure cautelari che risultano dunque attivabili esclusivamente con riferimento ai provvedimenti che, in maniera manifesta, non risultino suscettibile di essere annullati in sede di decisione di merito.

«L’ordinanza cautelare motiva in ordine alla valutazione del pregiudizio allegato e indica i profili che, ad un sommario esame, inducono ad una ragionevole previsione sull’esito del ricorso» (art. 55 comma 9) (9).

Pertanto, tale elemento deve intendersi quale indice di non manifesta infondatezza della domanda cautelare.

Accanto alla vicenda sei presupposti che restano inalterati, il codice del processo amplia il termine dilatorio per la fissazione dell’udienza cautelare.

La stessa viene fissata alla prima Camera di consiglio successiva al 20 giorno dalla notifica del ricorso con l’istanza cautelare (e ciò per meglio tutelare la possibilità di difesa della p.a.) e altresì al decimo giorno dal deposito dello stesso (e ciò per tutelare la possibilità di esame da parte del giudice).

In sostanza il tempo in cui la parte potrà avere esaminata e decisa la sua istanza è di circa un mese dalla notifica del ricorso.

Tempo breve, se si considera che può essere lo stesso di definizione della controversia, ove si adotti la decisione in forma semplificata.

L’emanazione di un’ordinanza cautelare di accoglimento o di rigetto, in sede di sospensiva, non è infatti l’unica evenienza possibile, potendosi verificare tre distinte ipotesi:

Quanto alla prima, il collegio non emana un’ordinanza cautelare, ma fissa l’udienza di merito per la sollecita definizione del ricorso (art. 55, comma 10), ritenendo che le esigenze del ricorrente siano «apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente» in tal modo. Nelle specifiche materie sottoposte a rito abbreviato dall’art. 119, poi, il Tar se ritiene «la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso» fissa con ordinanza la data di discussione del merito del ricorso in tempi assai brevi (prima udienza successiva alla scadenza del termine di 30 giorni dal deposito dell’ordinanza). In tali materie, l’emanazione di un’eventuale ordinanza cautelare è subordinata ai casi di “estrema gravità e urgenza”.

Nella seconda ipotesi il collegio emana un’ordinanza cautelare: di rigetto o accoglimento. In quest’ultimo caso fissa la data di discussione del merito del ricorso.

Il codice riduce i tempi per l’appello dell’ordinanza: trenta giorni dalla sua notificazione o 60 dalla sua pubblicazione.

Da ultimo, in terza ipotesi, il collegio emana una sentenza in forma semplificata, “sentite sul punto le parti costituite” (art. 60), con ciò definendo il giudizio ove ravvisi la manifesta fondatezza o infondatezza, improcedibilità o inammissibilità del ricorso (art. 74) (10).


1 L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano, F.A. Roversi Monaco, F.G. Scoca, Diritto Amministrativo, Monduzzi Editore, Bologna, 2001.

2 Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea i tratti distintivi del principio di effettività della tutela giurisdizionale sono costituiti dalla completezza della tutela; dalla pienezza della tutela ; e l’accesso effettivo alla giustizia, ivi compresa la ragionevole durata del processo e un costo ragionevole del medesimo.

L’applicazione del principio comporta che le singole disposizioni normative del codice debbono essere interpretate in modo da realizzare questo principio (c.d. interpretazione conforme, o costituzionalmente orientata).

3 Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1932.

4 La trattazione in camera di consiglio dell’istanza di sospensione venne prevista dall’art. 2 del D.lgs., 5 maggio 1948, n. 642, che individuò nell’ordinanza, in luogo del decreto, la forma di adozione della decisione cautelare.

L’art. 10 della l. 21 dicembre 1950, n. 1018, in senso contrario alla disciplina di cui al citato d.lgs. n. 642 che prevedeva l’ascolto dei difensori delle parti solo qualora il giudice lo avesse ritenuto necessario – dispose che i difensori che ne avessero fatto richiesta – richiesta proponibile nella stessa istanza di sospensione – dovessero, in ogni caso, essere sentiti in camera di consiglio.

Cfr. Eugenio Picozza, Codice del processo amministrativo, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010.

5 In tal senso venivano recepiti gli orientamenti dell’Adunanza Plenaria, ed in particolare della giurisprudenza comunitaria, allora basata sulla disciplina contenuta negli artt. 185 e 186 del Trattato e delle direttive, tra le quali deve annoverarsi la direttiva ricorsi n. 665 del 1989 e la n. 13del 1992, per mezzo delle quali è stato introdotto il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale. Vedi G. Pittalis, Natura e presupposti dell’azione cautelare (relazione al Seminario di studio su “Aspetti problematici nella riforma del processo amministrativo”, Bologna, 23 novembre 2000), in www.giustizia-amministrativa.it.

6 P. Virga, Diritto amministrativo, atti e ricorsi, Giuffrè Editore, Milano 2011.

7 E. Follieri, La fase cautelare in Giustizia amministrativa, a cura di S.G. Scoca, G. Giappichelli editore, Torino 2011. Cfr. R. Garofali, La Tutela cautelare degli interessi negative. Le tecniche del remand e dell’ordinanza a contenuto positivo alla luce del rinnovato quadro normativo, in Dir. Proc. Amm., 2002.

8 S. Raimondi. Profili processuali ed effetti sostanziali della tutela cautelare tra giudizio di merito e giudizio di ottemperanza, in Dir. Proc, Amm, Cedam Editore 2007. Cfr. R. Garofali, La Tutela cautelare degli interessi negative. Le tecniche del remand e dell’ordinanza a contenuto positivo alla luce del rinnovato quadro normativo, in Dir. Proc. Amm., 2002.

9 P. M. Zerman. La tutela cautelare nel codice del processo amministrativo, giustizia.it, novembre 2010. Si veda, altresì, E. Casetta, Manuale di Diritto Amministrativo, Giuffrè Editore, Milano, 2010.

10 Cfr. M. Clarich, ”Il processo amministrativo a rito ordinario”, in Rivista di Diritto Processuale Amministrativo, 2002, n. 4. M. Protto, “Tutela cautelare, monitoria e sommaria nel nuovo processo amministrativo”, Milano, 2010.

Maesano Mario

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