L’azione di ingiustificato arricchimento contro la P.A. e i debiti fuori bilancio

L’istituto dell’arricchimento senza causa è disciplinato dagli articoli 2041 e 2042 c.c.

Ai sensi dell’art. 2041 c.c., chi si è arricchito a danno di un’altra persona senza giusta causa è tenuto ad indennizzarla della correlativa diminuzione patrimoniale, nei limiti dell’arricchimento. Nel caso in cui l’arricchimento abbia ad oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda.

All’art. 2042 c.c. il legislatore precisa, poi, il carattere sussidiario dell’azione di arricchimento, prevedendone la non proponibilità quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito.

L’art. 2041 c.c. è inteso come norma di chiusura dell’ordinamento, diretta ad impedire che, pur nell’ambito di fatti o atti di per sé pienamente leciti, i patrimoni di due soggetti possano modificarsi l’uno in pregiudizio dell’altro, in quanto gli spostamenti patrimoniali, di regola, devono rispondere ad una giustificazione obiettiva in termini di meritevolezza.

Dunque, i presupposti per l’esercizio dell’azione di cui all’art. 2041 c.c. sono essenzialmente tre: 1) l’arricchimento ingiustificato, che può consistere sia in un incremento patrimoniale sia in un risparmio di spesa; 2) un impoverimento del danneggiato; 3) il rapporto di causalità tra l’arricchimento e il depauperamento, cioè il secondo deve essere una rigorosa conseguenza del primo; essi devono avere carattere patrimoniale e devono essere effettivi, non meramente eventuali.

Quando l’azione di arricchimento senza causa viene esercitata nei confronti della pubblica amministrazione, accanto ai tre presupposti suddetti, ne è richiesto uno ulteriore, stante la peculiarità del soggetto nei cui confronti si agisce ed il suo modus agendi, volto a perseguire interessi pubblici nel rispetto delle fondamentali regole di imparzialità, efficacia ed efficienza.

Tale requisito è il previo riconoscimento, da parte della P.A., dell’utilità dell’opera o della prestazione eseguita in suo favore.

La ratio di questo presupposto ulteriore, che differenzia l’ordinaria azione ex art. 2041 c.c. da quella contro la P.A., risiede nella necessità di tutelare quest’ultima da richieste di indennizzo da parte di privati che agiscono senza autorizzazione delle autorità competenti, e quindi deliberatamente, al solo scopo di trarne vantaggio economico mediane lo strumento dell’azione di arricchimento senza causa.

Dunque, ne deriva che il diritto economico per l’attività svolta sorge in capo al privato solo nei limiti in cui vi sia il relativo riconoscimento dell’utilità da parte della stessa pubblica amministrazione. Il riconoscimento può essere formale, cioè avvenire mediante un atto espresso, oppure informale, ossia attraverso un comportamento concludente che esprima la volontà di utilizzare a proprio beneficio il vantaggio acquisito.

E’ indubbio poi che il riconoscimento dell’utilità ricevuta, sia esplicito che implicito, avvenga ad opera di un organo competente e qualifica appartenente alla stessa P.A.

Va inoltre precisato che la valutazione riguardante l’utilità ricevuta è di competenza esclusiva della P.A.: il giudice ordinario può solo accertare se e in quale misura l’opera o la prestazione del terzo siano state effettivamente utilizzate, ma non potrà mai entrare nel merito della valutazione dell’attività, in quanto così facendo risulterebbe violato il principio della separazione dei poteri.

Il ricorso all’azione di arricchimento senza causa nei confronti della P.A., soprattutto nei confronti degli enti locali, negli anni è stato molto frequente, al punto da indurre il legislatore ad intervenire adottando norme specifiche, dirette a tutelare le risorse finanziarie degli enti.

A tal proposito, viene in rilievo, in primo luogo, l’art. 191 del D.lgs. 267/2000 (T.U. Enti Locali), il quale fissa le regole per l’assunzione di impegni e per l’effettuazione di spese da parte degli enti locali. Precisamente, al comma 1 l’articolo in questione stabilisce che gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l’impegno contabile registrato sul competente intervento o capitolo del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria. Al comma 4 il legislatore prevede poi che, nel caso in cui vi sia stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi stabiliti dallo stesso art. 191 (commi 1, 2 e 3), il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’art. 194 comma 1 lettera e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura, e per le esecuzioni reiterate o continuative, questo effetto si estende a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni.

Dunque, in sostanza, si è in presenza di due rapporti: da un lato sorge l’obbligo del debitore di porre in essere la prestazione nei confronti della P.A., dall’altro sorge l’obbligo del pagamento dell’obbligazione in capo a chi ha ordinato la prestazione. In tal modo, il legislatore mira a tutelare l’equilibrio economico finanziario degli enti locali, molto spesso condannati al pagamento di denaro non regolarmente contabilizzato, che dava vita ad ingenti debiti fuori bilancio.

Circa la disciplina di questi ultimi, l’art.162 del TUEL stabilisce che gli enti locali deliberano annualmente il bilancio di previsione finanziario redatto in termini di competenza, per l’anno successivo, osservando i principi di unità, annualità, universalità ed integrità, veridicità, pareggio finanziario e pubblicità. In particolare, al comma 4 l’art. 162 prevede che tutte le entrate e le spese siano iscritte in bilancio e che la gestione di quelle non iscritte è vietata.

I debiti fuori bilancio sono sostanzialmente spese occulte che emergono improvvisamente, con possibile compromissione dell’equilibrio economico finanziario dell’ente, in quanto la P.A. ordina una prestazione in assenza della relativa copertura finanziaria. Quindi, allo scopo di evitare che a seguito di ciò le finanze pubbliche subiscano ingenti esborsi di denaro non contabilizzato, il legislatore ha previsto che il beneficiario della prestazione è l’ente pubblico ed il soggetto debitore è chi ha ordinato la prestazione. In tal modo il terzo non può agire direttamente contro la P.A.

La ratio sottesa al rapporto tra azione di arricchimento senza causa contro la P.A. e la disciplina dei debiti fuori bilancio poggia sulla volontà di tutelare l’equilibrio economico finanziario degli enti pubblici, che altrimenti potrebbe essere compromesso a causa di spese occulte non programmate e in violazione dei principi di universalità ex art. 162 comma 4 TUEL, in base al quale tutte le entrate e le uscite devono preventivamente figurare in bilancio.

Peraltro, in tal modo, gli organi di gestione sono indotti ad una responsabilizzazione maggiore, in quanto saranno chiamati a rispondere direttamente dell’obbligazione pecuniaria in luogo della P.A. beneficiaria della prestazione posta in essere dal terzo. Anche i terzi, d’altro canto, nel momento in cui instaurano un rapporto con la P.A., sono spinti nella medesima direzione, tenuto conto delle conseguenze negative derivanti dall’aver eseguito una prestazione richiesta in assenza del relativo impegno contabile.

Infatti, l’art. 191 TUEL sul punto dispone che il responsabile del servizio, conseguita l’esecutività del provvedimento di spesa, comunica al terzo interessato l’impegno e la copertura finanziaria, contestualmente all’ordinazione della prestazione, con l’avvertenza che la successiva fattura deve essere completa con gli estremi della suddetta comunicazione, e il terzo, in mancanza della comunicazione, ha facoltà di non eseguire la prestazione sino a quando i dati non gli vengono comunicati. Ne consegue che se il terzo esegue la prestazione senza previa comunicazione formale circa la copertura finanziaria, non potrà eccepire l’esimente dell’errore scusabile, in quanto la norma è formulata in maniera chiara e precisa.

Va sottolineato che nel caso in cui vi è stata acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191 TUEL, il rapporto obbligatorio, ai fini della controprestazione, intercorre tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura “per la parte non riconoscibile”. Infatti, l’art. 194 TUEL disciplina il riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio, stabilendo che gli enti locali periodicamente operano detto riconoscimento per i debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive, procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità, nonché tra le altre tassativamente indicate, per i debiti fuori bilancio derivanti dall’acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi suddetti, “nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”.

Pertanto l’ente deve prendere atto, anzitutto, che l’obbligazione si riferisce a funzioni e servizi di propria competenza, per poi dichiarare l’effettiva utilità ricevuta dalla prestazione in termini di arricchimento.

Fuori da questi casi, diretto responsabile è il soggetto della P.A. che ha consentito la prestazione nei cui confronti il terzo fornitore potrà esperire l’azione di arricchimento.

Tuttavia, in proposito occorre evidenziare che la Corte costituzionale con le sentenze n. 446 del 24 ottobre 1995 e 30 luglio 1997 n. 295 ha precisato che l’amministratore, funzionario o dipendente che ha consentito la fornitura può esercitare l’azione di cui all’art. 2041 c.c. verso l’ente nei limiti dell’arricchimento da questo conseguito. Il contraente privato, invece, è legittimato ad agire contro la P.A. in via surrogatoria ex art. 2900 c.c. al fine di assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni quando il patrimonio dell’amministratore, funzionario o dipendente suo debitore non offra adeguata garanzia.

Celentano Giusy Fabiola

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