L’efficacia obbligatoria del preavviso

Lodi Luca 19/07/07

Il principio di diritto affermato da Cass., sez. lav., 21 maggio 2007, n. 1174

L’obbligo di dare il preavviso non ha efficacia reale ma soltanto obbligatoria perché il recedente è titolare di un diritto potestativo di sostituire al preavviso la relativa indennità” (Cass., sez. lav., 21 maggio 2007, n. 11740)
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Il presente volume intende affrontare le diverse sfaccettature del lavoro nero, cercando di guidare il professionista nelle problematiche, di carattere non solo nazionale ma altresì transfrontaliero, che lo caratterizzano. Infatti, il fenomeno è assai complesso e può presentarsi sotto molteplici forme ed aspetti, ponendosi sempre come vulnus di diritti individuali, sociali ed economici: il lavoro non dichiarato ha gravi implicazioni per i lavoratori interessati che si trovano spesso a dovere accettare condizioni di lavoro assai precarie, con retribuzioni inferiori rispetto a quelle contrattual-collettive, con violazioni dei diritti individuali e ridotta tutela in materia di sicurezza sul lavoro, a non avere opportunità di sviluppo delle proprie competenze. Il lavoro nero determina quindi danni sia al lavoratore, sia a tutta la società, per il minor gettito fiscale e dei contributi e all’intera economia per l’evidente distorsione che determina alla concorrenza.Il testo non è una mera ricognizione di commento a disposizioni di legge, ma ha in sé il valore aggiunto di avere sempre sullo sfondo il valore del lavoro e della persona. Michele Di Lecce Magistrato, dal giugno 2003 a febbraio 2012 é stato Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Alessandria. Dal febbraio 2012 al dicembre 2015 é stato Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova e ha assunto anche l’incarico di Procuratore Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo per il distretto di Genova. E’ stato professore a contratto di Diritto Giurisprudenziale del Lavoro presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Pavia, nonché docente di Diritto Penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Piemonte Orientale. Ha fatto parte di commissioni ministeriali per la riforma del sistema sanzionatorio penale e del diritto penale del lavoro. Fa parte di Comitati Scientifici di riviste giuridiche e tecniche. È stato di recente nominato Garante di Ateneo dall’Università degli studi di Genova per gli anni accademici 2017-2021.Corrado Marvasi, Avvocato, attualmente si dedica alla ricerca in campo giuridico, cercando di coniugare l’esperienza maturata in tanti anni di professione con l’approfondimento del diritto nei suoi vari settori. Autore di diverse monografie in tema di diritti reali, di espropriazione per pubblica utilità, di mandato e di carattere processualistico.

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La Suprema Corte, con la recente sentenza sopra citata, ha cambiato il proprio orientamento in merito alla efficacia del preavviso in ipotesi di recesso ad nutum di cui all’art. 2118 Cod. civ. La tesi dell’efficacia obbligatoria, sostenuta da questi giudici, va in senso opposto ai precedenti giudizi della stessa Corte, nei quali sovente si leggeva della c.d. efficacia reale del preavviso.

L’interpretazione dell’art. 2118 Cod. civ. offerta dalla Cassazione

Ai sensi dell’art. 2118 Cod. civ. “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti [dalle norme corporative] [1], dagli usi o secondo equità” (inserendo, nel sistema delle fonti, anzitutto le previsioni dei contratti collettivi di lavoro).
Orbene, la cessazione del rapporto di lavoro subordinato può essere determinata da diverse situazioni, come la giusta causa e il giustificato motivo, la volontà di recedere dando il preavviso se previsto, il mutuo consenso delle parti, la scadenza del termine. Se l’iniziativa risolutiva è imputabile alla persona del datore di lavoro, si parlerà di licenziamento, mentre, se del lavoratore, si avranno le dimissioni – come nel caso di specie della sentenza in epigrafe – che constano in un atto volontario unilaterale e recettizio che non deve essere viziato nella sua formazione. In via generale le dimissioni non hanno obblighi di forma, pertanto possono essere comunicate anche oralmente, ma nella prassi e secondo molteplici contratti collettivi la preferenza è accordata alla forma scritta [2]. L’efficacia del recesso è prodotta nel momento in cui vengono a conoscenza della controparte non recedente, in quanto modificano l’obbligazione assunta e interessano le parti senza interagire con diritti di terzi. Per questo motivo la loro efficacia è obbligatoria, quantomeno a parer di chi scrive e dei giudici di legittimità del 21 maggio u.s.
Per contro, il preavviso non per forza segue lo stesso regime giuridico dell’atto delle dimissioni. “Nella residuale area di libera recedibilità del datore di lavoro dal rapporto subordinato è sempre possibile il licenziamento ad nutum con preavviso” (Cass., 10 aprile 1990, n. 3034 [3]). Salvo nelle ipotesi di giusta causa ex art. 2119 Cod. civ. e di risoluzione consensuale ex art. 1372, c. 1, Cod. civ., il preavviso è necessario per limitare i danni al contraente nei cui confronti il recesso è esercitato, ma la norma codicistica dell’art. 2118 non ne pone un obbligo inderogabile in quanto prevede che l’unica sanzione per il mancato preavviso sia il risarcimento pecuniario con la c.d. indennità sostitutiva del preavviso, indennità avente natura retributiva secondo la S.C. (Cass., s.u., 29 settembre 1956, n. 2841).
Invero, l’efficacia reale (l’immediata modifica della situazione giuridica) è riscontrabile “nella ipotesi in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, senza preavviso” con la conseguenza che “il rapporto di risolve immediatamente, non facendo riferimento l’art. 2118 Cod. civ. alla necessità del consenso della parte non recedente per addivenire alla cessazione del rapporto, ma stabilendo solo l’obbligo della parte cedente di corrispondere in favore dell’altra indennità sostitutiva del preavviso” [4].
Nella sentenza in esame “la ricorrente denunzia violazione dell’art. 2118 c.c. deducendo che (…) l’obbligo di dare il preavviso non ha efficacia reale ma soltanto obbligatoria perché il recedente è titolare di un diritto potestativo di sostituire al preavviso la relativa indennità facendo cessare immediatamente gli effetti del contratto indipendentemente quindi dall’eventuale consenso della controparte”. In precedenza, però, buona parte della giurisprudenza affermava l’efficacia reale del preavviso: con sentenza del 2004 [5], la S.C. scriveva che “il principio secondo cui, stante l’efficacia reale del preavviso, il rapporto prosegue, salvo che le parti convengano, anche tacitamente, la risoluzione immediata del rapporto stesso, trova applicazione anche nel caso di dimissioni”. Ed il preavviso può non essere accettato dal datore, il quale avrà l’onere del pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso. D’altronde, come ci ricorda l’avv. Giuseppe Salvi (del Foro di Firenze) nel suo ottimo commento apparso sull’Osservatorio giuridico La Previdenza.it, “il rapporto di lavoro deve considerarsi cessato al momento della ricezione – e non dell’accettazione – dell’atto unilaterale di recesso”. Si parla, infatti, di atto volontario unilaterale recettizio che, come spiegavamo all’inizio, produce i suoi effetti (obbligatori, sull’obbligazione tra le parti) dal momento in cui giunge a conoscenza della controparte non recedente [6].
Così, in coda all’avv. Salvi, anche il sottoscritto ritiene che la tesi della c.d. efficacia obbligatoria del preavviso rispecchi maggiormente l’interpretazione letterale dell’art. 2118 Cod. civ. che non richiede alcun consenso per il perfezionamento del recesso ad nutum. Semmai si potrebbe desumere un’efficacia reale dal recesso immediato e privo di preavviso, producendo effetti dal momento stesso dell’emanazione della volontà risolutiva, non già dal momento in cui giunga a conoscenza del soggetto non recedente o costui l’accetti. Ma nelle restanti ipotesi, trovandoci in un’obbligazione tra datore e prestatore di lavoro, il naturale perfezionamento della risoluzione unilaterale pare essere legato alla efficacia obbligatoria conseguente alla dichiarazione di recesso.
              
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[1] Riferimento da intendersi abrogato con la soppressione del periodo corporativo.
[2] Secondo la Cass., 25 febbraio 1998, n. 2048 (in Lav. giur. 1998, 980), la forma scritta ad substantiam richiesta dal contratto collettivo ha lo scopo di tutelare il lavoratore e l’inosservanza di tale forma può comportare l’invalidità dell’atto delle dimissioni. Sul requisito della forma scritta previsto dal contratto collettivo cfr. anche Cass., 12 giugno 1998, n. 5922.
[3] In Dir. e pratica del lavoro, 1990, 2145; in senso conforme: Cass., 27 marzo 1985, n. 2165, in Giust. civ., 1985, I, 3108; Cass., 6 gennaio 1984, n. 66, in Foro it., 1984, I, 2196.
[4] Cass., 19 gennaio 2004, n. 741, in Mass. giur. lav., 2004, 601.
[5] Cass., 23 luglio 2004, n. 13883, in Mass. giur. lav., 2004, 827.
[6] Già in senso conforme, ovviamente, si possono trovare cenni in giurisprudenza: ad es. nella sentenza della S.C. del 19 aprile 1990, n. 3217, secondo cui “le dimissioni costituiscono un negozio unilaterale recettizio, idoneo, indipendentemente dall’accettazione del datore di lavoro, a determinare la risoluzione del rapporto” (in Dir. e pratica del lavoro, 1990, 1685).
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Lodi Luca

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