La qualifica di pubblico riveste notevole importanza per un ente, in ragione del particolare regime cui è sottoposto e dei poteri di cui dispone.
Ai fini del riconoscimento di un ente come pubblico, l’ipotesi più semplice è rappresentata, ovviamente, dall’esplicita previsione normativa.
In assenza di esplicita previsione normativa
In assenza di un’espressa previsione normativa, in passato, ed in particolare prima della legge 70/1975 che ha sancito all’articolo 4 il principio secondo il quale “nessun ente pubblico può essere riconosciuto o istituito se non per legge”, sono stati elaborati dalla dottrina diversi indici sintomatici della pubblicità dell’ente, tra i quali ricordiamo, il fine pubblico perseguito, la presenza di poteri pubblici, il godimento di una posizione di supremazia (costituito dal potere normativo, tributario etc.) rispetto ad altri soggetti.
Secondo una certa interpretazione (Cerulli Irelli, Bardusco, Virga, Sandulli) l’unico decisivo indice di pubblicità di un ente è dato dal regime giuridico, inteso come complesso di norme e di principi che ne regolano l’esistenza e l’attività nonché all’inserimento nella struttura della pubblica amministrazione cui lo stesso ente è sottoposto. La citata dottrina ha così individuato i seguenti indici di riconoscimento della natura pubblica di un ente;
a) un sistema di controlli pubblici;
b) ingerenza di un pubblico potere nella nomina e revoca dei dirigenti e nell’amministrazione dell’ente;
c) partecipazione dello Stato o di altra P.A., alle spese di gestione;
d) potere di direttiva dello Stato;
e) finanziamento pubblico istituzionale;
f) costituzione ad iniziativa pubblica.
Il recente dibattito
Fin qui l’assetto tradizionale del problema, sennonché da qualche anno a questa parte si è proceduto con il riconoscimento in capo a soggetti aventi personalità giuridica privata della titolarità di attività aventi spiccata rilevanza pubblica. E’ sorto così un ampio e acceso dibattito in ordine alla configurabilità di enti pubblici aventi struttura societaria.
Nel prosieguo del parere verranno illustrate le posizioni assunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza sulla dedotta questione.
Il problema si pone in particolare per quegli enti che hanno natura giuridica privata societaria e nel contempo sono sottoposti a penetranti legami con enti pubblici e svolgono altresì un’attività strumentale rispetto alle perseguimento di finalità pubbliche.
a) le posizioni della dottrina
In dottrina, la posizione di coloro che affermano la netta incompatibilità tra il modello societario e l’ente pubblico ha perso negli ultimi anni progressivamente terreno a favore della posizione opposta, ormai maggioritaria, che afferma, partendo dalla neutralità della forma societaria rispetto al perseguimento di fini pubblici, l’astratta compatibilità tra il modello societario e il paradigma dell’ente pubblico.
E’ stato per esempio affermato che “hanno natura di enti pubblici le società per azioni istituite con atto legislativo che ne determina quanto meno la denominazione, lo scopo e la necessaria pertinenza ad un soggetto pubblico per una quota almeno maggioritaria, perché in tal caso l’esistenza e la destinazione funzionale della figura soggettiva è predeterminata con atto normativo e resta indisponibile alla volontà dei propri organi deliberativi “ (G.P. Rossi, L’evoluzione del sistema elettrico).
Dall’adesione alla dottrina maggioritaria, qui sopra riferita, consegue che il problema non è tanto quello dell’astratta compatibilità tra il modello societario e l’ente pubblico, quanto piuttosto quello di verificare in concreto in quale misura la deviazione impressa ad un organismo societario, rispetto la disciplina codicistica delle società, è tale da ricondurre quest’ultimo nell’alveo del paradigma pubblicistico.
Recentemente è stato osservato in dottrina (Caringella, in corso di Diritto Amministrativo Giuffrè Ed.) che l’esame concreto deve essere diretto a verificare se il regime giuridico cui la singola società è sottoposta si caratterizzi per la previsione di regole di organizzazione e di funzionamento che, oltre a costituire una consistente alterazione del modello societario tipico, rivelino, al tempo stesso, la completa attrazione nell’orbita pubblicistica dell’ente societario. Secondo altra dottrina (R. Garofoli, Le privatizzazioni degli enti dell’economia. Profili giuridici, Milano, 1998) occorre in particolare far riferimento, all’attribuzione in capo ai soggetti pubblici diversi da quelli che rivestono all’interno della struttura societaria la qualità di soci, di potestà il cui esercizio è destinato inevitabilmente a produrre effetti sulle fondamentali determinazioni degli organi societari.
Sintetizzando, secondo la dottrina recente non vi è incompatibilità tra il modello societario e lo schema dell’ente pubblico, in ragione del fatto che la forma societaria ha una valenza neutra relativamente alla qualifica di un ente come pubblico. Indispensabile è, tuttavia, la verifica del caso concreto, diretta ad accertare una ragguardevole deviazione del regime giuridico cui è sottoposto l’organismo societario che si esamina rispetto alla disciplina codicistica delle società. Aderendo infine alla dottrina da ultimo segnalata occorre verificare altresì la sussistenza, in capo a soggetti pubblici diversi da quelli interessati nella compagine societaria dell’organismo esaminato, di poteri che si riflettono sulle determinazioni della società.
b) le posizioni della giurisprudenza
Per quanto riguarda le posizioni assunte dalla giurisprudenza, va detto che anche prima del recente dibattito avviato dopo il segnalato crescente ricorso al modello societario per il perseguimento di finalità pubbliche, non sono mancate significative e contrastanti pronunce, come quelle adottate all’indomani della costituzione di importanti organismi societari cui sono stati affidati rilevanti compiti pubblici (si veda il caso dell’Agip, dapprima qualificato dalla giurisprudenza amministrativo ente pubblico e successivamente dalla giurisprudenza di legittimità ente privato).
Nella recente giurisprudenza è emersa la tendenza a riconoscere carattere pubblico a quelle società assoggettate ad una disciplina legislativa volta, da un lato, ad imporre loro il perseguimento di un determinato fine, dall’altro, ad introdurre deroghe in senso pubblicistico al regime tipico delle società per azioni.
Il Consiglio di Stato intervenuto recentemente sulla questione, e precisamente sul caso della Sea S.p.a., sentenza n. 1885 del 1/04/2000 ha avuto modo di affermare che “Dal momento che la Sea Aeroporti s.p.a. è partecipata per il 99% dal comune e dalla provincia di Milano, essa va considerata a tutti gli effetti "impresa pubblica". Va esclusa, infatti, la natura privatistica della s.p.a. a partecipazione pubblica, ancorchè non assoggettata ad alcun regime speciale, dal momento che la veste "formale" va ritenuta recessiva rispetto all’agire "funzionalizzato" degli enti pubblici. In altri termini, la forma societaria è neutra, stante l’affermazione di una nozione sostanziale di organismo di diritto pubblico, desumibile, fra l’altro, dalla disciplina nazionale delle gare d’appalto, dai controlli esercitati dalla Corte dei conti e, infine, ma non ultimo, dal diritto comunitario”.
I principi contenuti nella massima qui sopra riprodotta sono stati ribaditi più recentemente dal massimo consesso della Giurisprudenza Amministrativa il quale, con sentenza n. 1206 del 2 /03/01 ha avuto modo di evidenziare che; “Ai fini della qualificazione della natura di Poste Italiane s.p.a. deve farsi ricorso al criterio della pubblicità sostanziale, fondato sul dato sostanziale relativo, sul piano strutturale, all’esercizio da parte dei poteri pubblici di un’influenza dominante sulla proprietà e, sul piano funzionale, al fine della gestione di un servizio pubblico; a conferma della natura pubblica di Poste Italiane s.p.a. possono anche essere utilizzati i principi affermati dalla giurisprudenza interna e comunitaria in tema di organismo di diritto pubblico, sebbene tale nozione non sia richiamata dalla normativa interna relativa alle pubbliche forniture "sotto soglia" e non sia quindi direttamente applicabile a tale fattispecie. Sotto il profilo soggettivo Poste Italiane s.p.a. è equiparabile ad un’amministrazione pubblica e quindi gli atti posti in essere per la scelta del contraente per una fornitura inferiore alla soglia comunitaria sono da considerare atti di natura amministrativa, espressione di un potere pubblicistico e sono impugnabili davanti al giudice amministrativo. Poste italiane s.p.a., pur avendo assunto la forma societaria, ha continuato ad essere sottoposta ad una disciplina derogatoria rispetto a quella codicistica e sintomatica della strumentalità rispetto al conseguimento di finalità pubblicistiche al punto tale da essere qualificata organismo di diritto pubblico; e, pertanto, in sede di appalto di fornitura le Poste italiane s.p.a. è astretta dall’osservanza della disciplina pubblicistica di settore, anche per gli appalti inferiori alla c.d. soglia comunitaria.
L’organismo di diritto pubblico
La nozione di organismo di diritto pubblico nasce in ambito comunitario ed è riferita in particolare al settore degli appalti pubblici.
Nel contesto comunitario non è stata elaborata una nozione unitaria di pubblica amministrazione, è stata invece seguita la strada della multiformità della nozione stessa in funzione dei diversi obiettivi che, nei vari settori di incidenza della nozione, si è inteso perseguire. Preme tuttavia segnalare che nelle varie elaborazioni giurisprudenziali e normative si è sempre più seguito un approccio “sostanziale” diretto in particolare ad individuare la “dominanza” pubblica sull’organismo.
Uno dei settori in cui l’incidenza della nozione di pubblica amministrazione è stata ritenuta di particolare rilevanza è, come è noto, quello degli appalti.
L’obiettivo a livello comunitario perseguito in questo ultimo settore, elaborando una nozione di organismo pubblico, è quello di “snidare” la pubblicità reale, sostanziale, degli enti operanti in ambito nazionale, al fine di estendere l’ambito soggettivo di applicazione della normativa in materia di appalti pubblici.
A mente dell’art. 1 par. 9, della direttiva 2004/18 del 31 marzo 2004 si considerano amministrazioni aggiudicatici, oltre allo Stato e agli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico”, ossia quei soggetti giuridici “istituiti per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale e commerciale, dotati di personalità giuridica e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è sottoposta a controllo di questi ultimi, oppure i cui organismi di amministrazione, di direzione o di vigilanza sono costituiti da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico.
In particolare, secondo la giurisprudenza amministrativa nazionale, sono riconducibili alla nozione di organismo di diritto pubblico gli enti aventi personalità giuridica, posti sotto l’influenza dominante dello Stato, degli enti locali o di altri organismi di diritto pubblico, e la cui attività si diretta al soddisfacimento di bisogni generali, purché non suscettibili di essere soddisfatti mediante la produzione di beni ovvero fornendo direttamente servizi in regime di concorrenza commerciale.
La mera sottoposizione all’influenza dominante dell’ente pubblico non è sufficiente ai fini della qualifica di organismo di diritto pubblico, occorre altresì la personalità giuridica, uno stretto collegamento con l’organizzazione amministrativa pubblica, e soprattutto che la persona giuridica sia istituita per soddisfare bisogni di interesse generale non industriale o commerciale.
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Considerazioni conclusive
Le argomentazioni sopra svolte, sono estendibili alla verifica della natura giuridica delle società deputate alla gestione dei servizi pubblici locali. Anche per queste ultime il nucleo fondamentale della problematica è costituito dalla verifica circa la sussistenza di “deviazioni” di disciplina rispetto il modello codicistico che comportano una compressione, in favore dell’ente pubblico, della autonomia funzionale e statutaria degli organismi societari tali da attrarre nell’orbita dell’ente locale l’”ente societario”.
Addestrati a ragionare curando di distinguere ciò che è privato da ciò che è pubblico, tenendo ben presente la speciale disciplina predisposta dall’ordinamento per il secondo, dobbiamo fare oggi conti con tendenza normative e interpretativa, alimentate in particolare dell’influenza del diritto comunitario, volte a ridurre drasticamente le distanze tra i due universi, quello pubblico e quello privato.
Le pubbliche amministrazioni sono sempre più incentivate a far ricorso al diritto privato, mentre alcuni soggetti privati, di converso, in ragione delle attività di pubblico interesse che svolgono, sono sottoposti alla disciplina pubblicistica delle pubbliche amministrazione.
La novellata 241/90, con alcune significative norme, conferma significativamente la citata tendenza, laddove stabilisce ad esempio che “la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”, (art. 1), laddove incentiva il ricorso all’istituto dell’accordo di natura privatistica, tra pubblica amministrazione e privato per sostituire un provvedimento amministrativo (art. 11), ed in ultimo, ma non per importanza, laddove sancisce nel nuovo articolo 22 che s’intendono per «pubblica amministrazione», tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.
BIBLIOGRAFIA
Francesco Caringella, Corso di diritto Amministrativo, Giuffrè Editore, Milano
Francesco Caringella, L.Delfino, F. del Giudice, Diritto Amministrativo, Simone Editore, Napoli;
Francesca Trimarchi Banfi, Il diritto privato dell’Amministrazione pubblica, in Diritto Amministrativo 4/2004, Giuffrè Editore Milano.
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