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L’ esecuzione del giudicato del giudice del lavoro innanzi al giudice amministrativo.
Commento alla sentenza TAR Marche 19 settembre 2003 n. 997
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§. 1 Elementi di fatto e svolgimento del giudizio
Il ricorrente, dipendente pubblico presso il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, si rivolgeva al TAR delle Marche, allo scopo di ottenere mediante il giudizio di ottemperanza, ed in particolare, chiedendo che venisse ordinato all’Amministrazione intimata di dare corretta esecuzione alla sentenza 24 ottobre 2002, n. 1115, emessa dal Tribunale Civile di Ancona, in funzione di Giudice del Lavoro, con la quale si dichiarava il diritto del pubblico dipendente al passaggio dal profilo di operatore professionale amministrativo ad operatore professionale tecnico, in ragione delle mansioni di fatto svolte.
L‘Amministrazione intimata non si costituiva.
Con la sentenza n. 997 del 19 settembre 2003, il TAR Marche dichiarava inammissibile il ricorso per ottemperanza per difetto di interesse, avendo già, il ricorrente, conseguito il “bene della vita” oggetto della domanda, a seguito del decreto 14 gennaio 2003 n. 9638, con cui il Direttore Generale dell’Amministrazione intimata, in dichiarata esecuzione della citata sentenza di primo grado, aveva disposto l’inquadramento del ricorrente nel profilo di operatore professionale tecnico in soprannumero.
§. 2 L’Ammissibilità del ricorso per ottemperanza in materia di pubblico impiego
La sentenza in epigrafe pone il problema della esecuzione dei provvedimenti adottati dal Giudice Civile, in materia di rapporti di lavoro pubblico “privatizzato”, con specifico riguardo per quelli che hanno per oggetto una pronuncia di condanna ad una prestazione di “facere” infungibile.
Doverosa risulta una preliminare puntualizzazione sui limiti alla giurisdizione ordinaria derivante dal fatto che la vertenza possa inerire ad atti amministrativi.
Dato che il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni é stato privatizzato, ne consegue che gli atti della pubblica amministrazione, che ineriscono direttamente a tali rapporti, sono atti di diritto privato, atti negoziali e non atti amministrativi. Pertanto, quando trattasi di vicende del rapporto di lavoro, non dovrebbe essere posto alcun limite ai poteri decisori del Giudice Civile, il quale, pertanto può adottare nei confronti della p.a. “tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna richiesti dalla natura dei diritti tutelati” ex art. 29 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, che sostituisce l’art. 68 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29.
I provvedimenti amministrativi possono configurarsi solo in una fase antecedente rispetto a quella in cui vengono adottati atti di gestione del rapporto di lavoro, e quindi possono incidere solo indirettamente sulla posizione del dipendente (ad esempio la chiusura di un reparto ospedaliero che comporta il trasferimento dei lavoratori in altra sede).
Si tratta di “atti presupposti” che, per la loro rilevanza indiretta, non sono idonei ad estinguere posizioni di diritto soggettivo (quali quelle che caratterizzano il rapporto di lavoro). La dottrina non esclude tuttavia la possibilità che alcuni atti amministrativi possano incidere direttamente sul rapporto di lavoro[1].
L’identificazione dei provvedimenti amministrativi, ancora configurabili come tali, in presenza di un rapporto di lavoro privatizzato, ha già impiegato la giurisprudenza dei Giudici del Lavoro, che li ha individuati in tutti quei casi in cui l’Amministrazione manifesta, con l’atto amministrativo, la propria discrezionalità, e, quindi, i propri poteri di scelta[2].
Tra i provvedimernti amministrativi presupposti, che costituiscono esercizio di un potere pubblico, vanno annoverati gli atti di organizzazione. Essi definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi, determinano le dotazioni organiche. Nei confronti degli atti amministrativi presupposti, il giudice ordinario, può procedere solo alla loro disapplicazione, e non all’annullamento.
L’atto amministrativo presupposto può essere disapplicato, proprio perché può avere solo una incidenza indiretta sul rapporto contrattuale, e nello stesso tempo, può essere autonomamente impugnato davanti al giudice amministrativo secondo le regole generali.
I provvedimenti amministrativi di organizzazione possono risultare autonomamente lesivi della sfera giuridica propria del dipendente. In tal caso resta ferma la giurisdizione amministrativa ed il criterio tradizionale di riparto.
La giurisprudenza è, comunque, concorde nel ritenere che i poteri del giudice del lavoro siano gli stessi, tanto nel caso di rapporto di lavoro pubblico privatizzato, quanto nel caso di rapporto di lavoro privato. Infatti, nell’ipotesi in cui la p.a. agisca “iure privatorum”, non si tratta più di atti amministrativi, ma di semplici atti negoziali, nei riguardi dei quali non opera più il limite dei cui all’art.4 della legge 2248/1865, allegato E.
I provvedimenti di condanna del G.O., pertanto, potranno avere ad oggetto un dare, un facere, un non facere, e perfino un facere infungibile.
Non bisogna, infatti, confondere il piano della cognizione, e della connessa possibilità per il giudice di pronunciare sentenza di condanna ad un facere infungibile, con quello dell’esecuzione di siffatta sentenza[3].
La giurisprudenza è concorde sulla possibilità di utilizzare tecniche esecutive civilistiche ex art. 612 ed art 700 c.p.c. [4], quando si tratti di garantire l’esecuzione, da parte della p.a., di una condanna pecuniaria o per consegna o rilascio, quando cioè l’oggetto della prestazione sia costituito da una dare, fare o non fare che abbia natura fungibile.
Occorre invece domandarsi se il giudice del lavoro possa disporre l’attuazione coattiva degli ordini non ottemperati dalla p.a., quando questi siano connessi a comportamenti infungibili del datore di lavoro.
La giurisprudenza, formata in merito, è ancora scarsa e discorde.
Un primo orientamento negativo, espresso dal G.O., afferma che non possono essere eseguiti in forma specifica gli ordini del giudice qualora siano attinenti a prestazioni di “facere” infungibili.
Ad esempio, l’ordine di reintegrazione di un pubblico dipendente nelle precedenti mansioni implicherebbe un indispensabile ed insostituibile comportamento attivo del datore di lavoro, tale da non potersi ridurre ad un mero “pati”, anche qualora ci si trovi di fronte ad una P.A., pienamente assimilabile al datore di lavoro privato, la quale, nella gestione dei rapporti di lavoro, procede “con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro” (Cfr. Tribunale di Benevento, ordinanza 22/3/2001)[5].
La menzionata giurisprudenza ritiene, pertanto, che l’ordine di reintegrazione, emesso in sede cautelare, sia incoercibile, quindi, non siano determinabili ex art. 669 duodecies c.p.c.[6] le modalità di attuative del provvedimento d’urgenza emanato; e nemmeno sia ammissibile la nomina di un commissario ad acta; reputa, inoltre, inutile ed inidonea allo scopo la nomina di un ufficiale giudiziario, che assista e verbalizzi le operazioni di reintegra, facenti capo al datore di lavoro, in considerazione dell’ infungibilità della prestazione, non coercibile per la sua stessa natura; infine, ritiene non configurabile, in quel caso di specie, il reato di cui all’art.388 c.p., né quello della contravvenzione ex art. 650 c.p., attinenti all’inosservanza di provvedimenti dell’autorità giudiziaria, proprio per l’assenza, in materia di pubblico impiego, di poteri autoritativi in capo alla p.a.
Sempre in tal senso, vi è chi ritiene che la domanda cautelare tendente ad ottenere una prestazione infungibile (nella fattispecie la reintegrazione del dipendente pubblico nelle precedenti funzioni), non possa essere accolta “non essendo un ordine del genere suscettibile di esecuzione in forma specifica” (Cfr. Tribunale di Palermo, ordinanza 22 aprile 2003)[7].
Secondo tale Giudice, il “proprium” di ogni provvedimento giurisdizionale risiede nella sua coattività, vale a dire nella sua attitudine ad essere portato ad esecuzione anche contro la volontà dell’obbligato.
Se tale possibilità fa giuridicamente difetto, nel senso che l’opposizione del destinatario è sufficiente a vanificare la tutela reale che il provvedimento intende assicurare, deve concludersi che la normatività concreta di quel provvedimento (il suo effettivo contenuto precettivo) è limitato alla possibilità di ottenere ristoro solo per equivalente, e, quindi, non possa costituire “ periculum in mora” : presupposto del provvedimento ex art.700 c.p.c.
La decisione che respinge la domanda cautelare, per quanto attiene al periculum in mora, si basa sulla considerazione della inutilità di una sentenza di condanna che non possa essere eseguita e che il provvedimento che ne anticipa gli effetti sarebbe dato inutilmente. Pertanto, non potrebbe essere accordato un provvedimento di condanna che non sia suscettibile di essere attuato nella forma della esecuzione forzata.
Tale orientamento muove dal presupposto per cui non può esservi interesse giuridicamente rilevante ad ottenere forme di tutela giuridicamente inutili, o di condanna che non possano essere coattivamente eseguite.
Tentativi dottrinali di recupero della funzione del provvedimento di condanna ritengono, tuttavia, che lo stesso provvedimento possa costituire presupposto per forme di autotutela del lavoratore, dato che fonderebbe la legittimità di un rifiuto ad adempiere, ed offrirebbe strumenti per resistere ad eventuali sanzioni disciplinari.
L’impossibilità diretta o indiretta della esecuzione della pronuncia cautelare non solo ne condizionerebbe l’operatività in concreto, ma verrebbe a compromettere la sua stessa ammissibilità
(Cfr. Tribunale di Vicenza, sentenza 23 agosto 1999; nonché Tribunale di Gorizia, ordinanza 2 agosto 2000)[8].
Un secondo orientamento positivo, espresso dal G.O., si basa sulla diversa considerazione della fungibilità degli atti di gestione del rapporto, ed ammette la possibilità di esecuzione coattiva degli ordini del giudice in forma specifica (Cfr. Tribunale di Trani, Sez.Appello Lavoro, ordinanza 21 novembre 2000)[9].
In particolare, viene ammessa la eseguibilità coattiva degli ordini del giudice in materia di pubblico impiego privatizzato ex art. 612 c.p.c., sul presupposto che il concetto di fungibilità/ infungibillità della prestazione non possa essere applicato alla P.A.. La distinzione, pertanto, sarebbe valida solo per le prestazioni dovute di privati, dato che si riferisce alle loro posizioni di libertà ed esclusivamente alla loro sfera personale; sarebbe, invece, incompatibile per le attività dei soggetti pubblici tenuti a svolgere una attività funzionalizzata.
Tale Giudice ordina all’autorità amministrativa di reimmettere un pubblico dipendente nel pieno possesso del proprio ufficio con tutti i poteri, diritti ed obblighi conseguenti entro un termine prestabilito, e dispone, in caso di inottemperanza nel termine fissato, l’intervento di un ufficiale giudiziario, che con l’assistenza della forza pubblica provveda a reimmettere il funzionario nel possesso materiale del proprio ufficio.
Sempre in tal senso, vi é chi ritiene che il giudice possa avvalersi dei poteri di cui all’art.669 duodecies c.p.c. ed ordinare la reintegrazione del pubblico funzionario, sotto il controllo dell’ufficiale giudiziario (Tribunale di Catania, ordinanza 13 ottobre 2000)[10].
Un terzo orientamento giurisprudenziale, espresso dal Giudice Amministrativa si esprime per l’ esperibilità del giudizio di ottemperanza al fine di dare esecuzione alle sentenze, passate in giudicato, emesse dal giudice ordinario del lavoro nei confronti della pubblica amministrazione.
A fronte della necessità di favorire un efficace sistema di attuazione dei provvedimenti del G.O., nei casi di condanna della p.a. ad una prestazione di fare ritenuta infungibile, è stata rinvenuta una soluzione nella possibilità, per il dipendente pubblico, di ricorrere al giudizio di ottemperanza davanti al giudice amministrativo.
Negare la possibilità di ricorrere al giudizio di ottemperanza, significherebbe privare il pubblico dipendente di uno strumento esecutivo efficace, del quale poteva disporre prima che il suo rapporto di lavoro venisse assoggettato alle regole del lavoro privato.
Il ricorso al giudizio di ottemperanza viene ritenuto concorrente ed alternativo, a scelta del titolare del diritto, a condizione che il provvedimento su cui si basa abbia assunto la stabilità della cosa giudicata: sentenza passata in giudicato, decreto ingiuntivo non opposto, lodo arbitrale reso esecutivo e non opposto (Cfr. Cons. St.., sez. IV, 16 aprile 1994, n. 527; nonché T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 3 luglio 1998, n.704; nonché T.A.R. Lazio, sez. Latina, 2 dicembre 1999, n. 766; e ancora: T.A.R. Sardegna, 19 aprile 2001, n. 471). Nel caso in cui non si sia formato il giudicato (cioè di sentenza solo esecutiva), potrebbero venire utilizzati solo gli strumenti resi disponibili dal codice di procedura civile.
Consolidata giurisprudenza ha riconosciuto l’esperibilità del giudizio di ottemperanza per l’esecuzione di una sentenza dell’AGO anche in cumulo con l’azione esecutiva ordinaria (Cfr. Corte di Cassazione, S.U., sentenza 9.3.1961, n.1299; nonché Consiglio di Stato, Ad. Plen., sentenza 09.3.1973, n.1).
Tra la procedura esecutiva ordinaria ed il peculiare giudizio di ottemperanza sussiste un rapporto di alternatività concorrente e non esclusiva, dovendosi riconoscere al soggetto interessato la libera facoltà di scelta nonché il cumulo tra le due procedure (Cfr. Tar Sardegna, sentenza 19 aprile 2001 n. 471).
Quanto al paventato pericolo che i due rimedi possano dare luogo ad una doppia esecuzione è sufficiente rilevare che compete alla p.a. evitare che ciò accada, opponendo, al momento opportuno, ove ne ricorrano i presupposti, il già avvenuto adempimento.
L’esclusione della possibilità di fare ricorso ai poteri dell’ottemperanza da parte del G.A. trova, in questo caso, testuale conferma nell’art.669 quarter c.p.c. in base al quale, quando vi è causa pendente per il merito della controversia, la domanda del provvedimento cautelare deve essere proposta al giudice della stessa[11].
L’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare. Nella fattispecie non si ravvisa la possibilità di nomina di un commissario ad acta nella considerazione che si tratta di un istituto tipico ed esclusivo della giurisdizione amministrativa (Cfr. Tribunale di Catania, ordinanza 13.10.2000)[12].
Quanto sopra trova speculare riscontro nella legge 21 luglio 2000 n. 205, che accorda al Giudice Amministrativo la possibilità di fare ricorso ai poteri dell’ottemperanza per accordare misure cautelari intese ad assicurare il buon fine dei provvedimenti della propria giurisdizione.
Il regime della doppia tutela esecutiva prevista per il pubblico dipendente potrebbe far pensare ad un favoritismo di quest’ultimo, da parte dell’ordinamento, a dispetto del lavoratore privato. In realtà non siamo di fronte ad un privilegio, ma ad una attuazione pratica dei principi di cui all’art. 97 Cost., anziché di quelli all’art.41 Cost., data la natura pubblica del datore di lavoro.
I principi di legalità, buona amministrazione ed imparzialità impongono al datore di lavoro pubblico un comportamento, nei confronti del provvedimento giurisdizionale, sicuramente diverso da quello del datore di lavoro privato, poiché il datore di lavoro pubblico, non avendo libertà di iniziativa economica, non può scegliere tra l’azione risarcitoria e l’adempimento del precetto dettato dal giudice. Pertanto, il pubblico impiegato ha diritto di ottenere, da parte del suo datore di lavoro, tutte le prestazioni, anche infungibili, stabilite dal giudice, e per fare questo l’ordinamento gli appresta uno strumento processuale – il giudizio di ottemperanza – capace di apprestare, anche forzosamente, tutti i necessari atti amministrativi[13].
Il Tar delle Marche, con la sentenza n. 997 del 2003, in commento, ha compiuto, in via preliminare, una attenta verifica circa il possesso della necessaria competenza giurisdizionale, ed, a tal fine, ha rivisitato la legislazione che obbliga l’Autorità Amministrativa a conformarsi al giudicato civile[14].
Dopo aver passato in rassegna alle norme con le quali è stata disposta la “privatizzazione” del rapporto di pubblico impiego, ex art.63 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n.165 [15], ha evidenziato la natura contrattuale degli atti di gestione relativi ai rapporti di lavoro privatizzato, e, sempre nell’intento di verificare le condizioni dell’azione, ha appurato se il ricorrente, allo scopo di far valere la propria pretesa, disponesse o meno di altra azione esecutiva, e, soprattutto, se la stessa potesse precludere la via di accesso al giudizio di ottemperanza.
La conclusione tratta è: in base al diritto positivo ed alla sua evoluzione, la ragione d’essere del giudizio di ottemperanza attribuito al giudice amministrativo non è venuta meno per tutte le sentenze del giudice ordinario, e dunque, anche per quelle che emana in materia di pubblico impiego; il giudizio di ottemperanza ritorna alle sue origini, ed è dato per l’esecuzione delle sentenze del giudice ordinario[16].
Tale affermazione suscita la perplessità di chi ritiene che il legislatore, con la riforma del 1998, abbia voluto riservare l’intera materia al G.O., e che, il modello perseguito dal legislatore sarebbe quello del giudice unico, cosa che comporterebbe l’esclusione dell’intervento del G.A. anche nella fase esecutiva.
Una conclusione del genere presuppone che vengano identificate nel processo civile di esecuzione le modalità adeguate per una esecuzione in forma specifica che contempli la possibilità di una piena sostituzione della Amministrazione inadempiente.
La dottrina ritiene[17] che una conclusione favorevole a riservare l’esecuzione al giudice civile si dovrebbe confrontare con l’interpretazione dell’art.612 c.p.c.[18]
Il Tar delle Marche, ritenuto che “la vigenza di norme che prevedono un giudizio di ottemperanza innanzi al G.A., si rivela di sommo interesse con riguardo, in particolare, all’ipotesi di sentenze del giudice civile che impongano all’Amministrazione pubblica una prestazione infungibile e/o l’adozione di atti amministrativi dovuti o necessitati, senza valutazioni discrezionali, per ottemperare ad un non coercibile obbligo ad un facere od un non facere”, esclude che il Giudice Civile della esecuzione, designato un ufficiale giudiziario, od un commissario ad acta, possa, ad esempio, disporre (con effetti costitutivi) la reintegrazione di un dipendente pubblico nel posto di lavoro, né il giudice, per il divieto posto dall’art.4 della legge 2248/1985, all.E, non può sicuramente dettare prescrizioni per l’adozione, la revoca e la modifica degli atti amministrativi che influiscono dall’esterno sul rapporto di lavoro oggetto del giudizio.
Evidenzia, inoltre, il TAR come il Giudice dell’ottemperanza, a sua volta, nella sua attività esecutiva, non possa integrare la sentenza civile, entrando nel merito e ampliando il dictum del G.O., altrimenti sconfinerebbe in un campo di giurisdizione che non gli compete[19].
Il G.A. può adottare statuizioni analoghe a quelle che potrebbero emettersi in un nuovo giudizio di cognizione solo in relazione a questioni devolute alla sua giurisdizione, mentre non può esercitare analoghi poteri di integrazione allorché la sentenza della cui ottemperanza si tratta sia stata resa da un giudice appartenente ad un diverso ordine giurisdizionale e la questione rientri nella giurisdizione di quest’ultimo (Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 7 ottobre 1099, n. 1099).
Se il Giudice dell’ottemperanza, con la sua decisione e con la nomina del commissario ad acta, si attribuisse un potere dispositivo che non trova la sua causa nella precedente decisione di merito, oltre che incidere in concreto su rapporti affidati alla giurisdizione dell’AGO, avrebbe anche quale ulteriore conseguenza quella di attribuire efficacia di giudicato ad un provvedimento amministrativo del tutto nuovo, adottato con la più ampia discrezionalità, ed il cui esame sarebbe sottratto alla stessa giurisdizione amministrativa, non potendo di certo equipararsi il ricorso avverso i provvedimenti del commissario ad acta al normale controllo di legittimità spettante agli organi della giurisdizione amministrativa (Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 15 luglio 1986, n. 4568).
§. 3 I mezzi di esecuzione indiretta: civili e penali.
Il Giudice Ordinario, quando conosce dei rapporti di lavoro ex pubblici, non ha limiti nella emanazione di pronunce costitutive; ha, quindi potere di costituire o ricostituire un rapporto di lavoro.
La p.a., di fronte a provvedimenti di fare infungibili, potrebbe opporre la propria inerzia e non conformarsi ai provvedimenti adottati dal giudice del lavoro.
Tuttavia i dirigenti, responsabili della gestione del rapporto di lavoro, potrebbero essere chiamati, innanzi alla Corte dei Conti, a rispondere dei danni economici arrecati alla Amministrazione, quale conseguenza della propria inottemperanza agli ordini del Giudice, per le retribuzioni corrisposte senza ottenere la corrispondente prestazione lavorativa.
L’inottemperanza ad una decisione giudiziale, protratta oltre un certo limite di tempo, potrebbe dare luogo ad una condotta omissiva penalmente rilevante ex art.328 c.p., concretizzando il contemplato “reato per omissione o ritardo in atti d’ufficio” (Cfr. Corte di Cassazione , sentenza 26 maggio 1999, n.9400).
La possibilità di incorrere in una responsabilità civile e penale allo stesso tempo costituisce un potenziale deterrente nei confronti dei dirigenti responsabili delle decisioni della p.a., tenuti d assicurare il buon andamento ed imparzialità dell’Amministrazione ex art. 97 Cost.[20]
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Francesca Dott.ssa Zarletti
BIBLIOGRAFIA:
G. Albenzio, “L’esecuzione delle sentenze del giudice del lavoro nei confronti della pubblica amministrazione”, in Foro Italiano 1999, I, 3475.
M. Mazzamuto, “Verso la giurisdizione esclusiva del giudice ordinario”, in Giurisprudenza Italiana 5, 1999, p.1123 e ss.
M. E. Schinaia, I poteri del g.a. nella fase dell’esecuzione delle sue decisioni da parte dell’Amministrazione, nel sito www.giustizia-amministrativa.it
P. Sordi “I poteri del giudice ordinario nelle controversie di pubblico impiego”, su Il Corriere Giuridico, 4, 1999, p.508 e ss.
A. Travi, “La giurisdizione civile nelle controversie di lavoro dei dipendenti delle p.a.” – Riv. Dir. Proc. Amm. 2/2000 p. 295 e ss.
ottobre 2002, n. 1115, emessa dal Tribunale Civile di Ancona, in funzione di Giudice del Lavoro, con la quale si dichiarava il diritto del pubblico dipendente al passaggio dal profilo di operatore professionale amministrativo ad operatore professionale tecnico, in ragione delle mansioni di fatto svolte.
Note:
[1] M. Mazzamuto, “Verso la giurisdizione esclusiva del giudice ordinario” in Giurisprudenza Italiana 5, 1999, p.1123 e ss.
[2] P. Sordi “I poteri del giudice ordinario nelle controversie di pubblico impiego”, su Il Corriere Giuridico, 4, 1999, p.508 e ss.
[3] Trib.di Monza, ordinanza 20.1.1999, in Corriere Giuridico 1/2000.
[4] Art. 612: “[I]. Chi intende ottenere l’esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell’esecuzione dell’esecuzione. [II] Il giudice dell’esecuzione provvede sentita la parte obbligata. Nella sua ordinanza designa l’ufficiale giudiziario che deve procedere all’esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell’opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta”.
Art. 700: “[I]. Fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d’urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito”.
[5] Tribunale di Benevento, ordinanza 22/3/2001, su www.giuffré.it/riviste/lpa.
[6] Art. 669-duodecies: “[I]. Salvo quanto disposto dagli articoli 677 e seguenti in ordine ai sequestri, l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro avviene nelle forme degli articoli 491 e seguenti in quanto compatibili, mentre l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. Ogni altra questione] va proposta nel giudizio di merito”.
[7] Tribunale di Palermo, ordinanza 22 aprile 2003, in www.giuffrè.it/riviste/lpa;
[8] Tribunale di Vicenza, sentenza 23 agosto 1999, in Lavoro nella p.a., 2000, 625.
[9] Tribunale di Trani, Sez.Appello Lavoro, ordinanza 21 novembre 2000, in www.mythnet.it/trani.ius.
[10] Tribunale di Catania, ordinanza 13 ottobre 2000, in Foro Italiano, 2000, I, 3620).
[11] Art. 669-quarter c.p.c.: “[I]. Quando vi è causa pendente per il merito la domanda deve essere proposta al giudice della stessa. [II]. Se la causa pende davanti al tribunale la domanda si propone all’istruttore oppure, se questi non è ancora designato o il giudizio è sospeso o interrotto, al presidente, il quale provvede ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 669-ter. [III]. Se la causa pende davanti al giudice di pace, la domanda si propone al tribunale. [IV]. In pendenza dei termini per proporre l’impugnazione la domanda si propone al giudice che ha pronunziato la sentenza. [V]. Se la causa pende davanti al giudice straniero, e il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, si applica il terzo comma dell’articolo 669-ter.[VI] Il terzo comma dell’articolo 669-ter si applica altresì nel caso in cui l’azione civile è stata esercitata o trasferita nel processo penale, salva l’applicazione del comma 2 dell’articolo 316 del codice di procedura penale
[12] Tribunale di Catania, ordinanza 13.10.2000, in Foro Italiano, 2000, I, 3620).
[13] G. Albenzio, “L’esecuzione delle sentenze del giudice del lavoro nei confronti della pubblica amministrazione”, in Foro Italiano 1999, I, 3475.
[14] L’art.4 della legge 20 marzo 1865, n.2248, all. E, stabiliva che “ quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio. L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso”.
L’art.4 della legge 31 marzo 1889, n.5992 , istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato, organo dotato di giurisdizione amministrativa, per rendere effettivo l’obbligo posto in capo alla p.a. di conformarsi al giudicato del giudice ordinario.
Art.27 punto 4 del R.D. 26 giugno 1924, n.1054, T.U.delle leggi sul Consiglio di Stato attribuiva al nuovo giudice competenza relativa ai “ricorsi diretti ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, per quanto riguardava il caso deciso, al giudicato dei tribunali che avessero riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico”.
Nasceva così il giudizio di ottemperanza con cui veniva attribuito al Giudice Amministrativo il potere di intervenire sostituendosi all’Autorità Amministrativa, annullando o riformando in tutto o in parte l’atto amministrativo illegittimo.
L’art.37 della legge 6 dicembre 1971 n.1034 regolava la competenza dei T.A.R. e del Consiglio di Stato nelle ipotesi di ricorso diretto ad ottenere l’adempimento dell’obbligo della A.A. di conformarsi al giudicato del giudice ordinario, che avesse riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico, e nelle ipotesi di ricorso diretto ad ottenere l’esecuzione del giudicato degli organi di giustizia amministrativa: “ I ricorsi diretti ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dell’autorità giudiziaria ordinaria, che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico, sono di competenza dei tribunali amministrativi regionali quando l’autorità amministrativa chiamata a conformarsi sia un ente che eserciti la sua attività esclusivamente nei limiti della circoscrizione del tribunale amministrativo regionale. Resta ferma, negli altri casi, la competenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. Quando i ricorsi siano diretti ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi al giudicato degli organi di giustizia amministrativa, la competenza è di Consiglio di Stato o del tribunale amministrativo regionale territorialmente competente secondo l’organo che ha emesso la decisione, della cui esecuzione si tratta. La competenza è peraltro del tribunale amministrativo regionale anche quando si tratti di decisione di tribunale amministrativo regionale confermata dal Consiglio di Stato in sede di appello”.
L’Assemblea Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 9 marzo 1973 n. 1, ammetteva la possibilità di ricorrere al giudizio di ottemperanza, per ottenere l’adozione di atti od il compimento di operazioni materiali di esecuzione al giudicato relativo a sentenze di condanna.
[15] L’art.63 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n.165 stabilisce che: “Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni…ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti al fine della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L’impugnazione davanti al giudice amministrativo dell’atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo.
Il giudice adotta, nei confronti delle p.a., tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto alla assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro”.
[16] M.E.Schinaia, I poteri del g.a. nella fase dell’esecuzione delle sue decisioni da parte dell’Amministrazione, nel sito www.giustizia-amministrativa.it
[17] Travi Aldo, “La giurisdizione civile nelle controversie di lavoro dei dipendenti delle p.a.” – Riv. Dir. Proc. Amm. 2/2000 p. 295 e ss.
[18] L’art.612 c.p.c. stabilisce che: “Chi intende ottenere l’esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell’esecuzione dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione provvede sentita la parte obbligata. Nella sua ordinanza designa l’ufficiale giudiziario che deve procedere all’esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell’opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta”.
[19] “Il G.A. dell’ottemperanza, a fronte di statuizioni giudiziali precise e determinate ed alla natura di diritto soggettivo delle posizioni azionate, deve svolgere una attività esecutiva ( alla quale non sono del tutto estranei e preclusi i poteri di sostituzione nel merito delle determinazioni, anche negoziali), senza possibilità d’integrare la sentenza civile e senza la facoltà di incidere sulla sfera di discrezionalità della Amministrazione pubblica”. (TAR Marche, sent.997/03, in commento).
[20] Art. 97 Cost.: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.
Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.
Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.
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