In materia di sicurezza e di prevenzione d’infortuni sul lavoro l’art. 7 Dlgs 626/94 (ora art. 26 Dlgs 81/08) ha la funzione d’individuare le ipotesi in cui il committente è corresponsabile con l’appaltatore per la violazione delle norme antinfortunistiche. Infatti la verifica dell’idoneità tecnico-professionale non può essere limitata alle sole capacità tecniche della ditta, ma deve essere estesa anche a queste misure, vista la stretta connessione tra di due campi.
È uno dei due principi di diritto elaborati dalla Cassazione sez. IV penale n.36268 depositata il 27 agosto 2014 (successive e più recenti sentenze della S.C. hanno confermato questa tesi). L’altro sancisce come la riproposizione, totale o parziale, del motivo dell’appello in alcuni casi sia essenziale per adempiere all’onere di autosufficienza del ricorso purchè serva a documentare il vizio del provvedimento impugnato, enunciato e dedotto con autonoma ed esaustiva argomentazione. Nella fattispecie ciò non è avvenuto perciò il ricorso è stato rigettato per inammissibilità.
Il caso. Un operaio di una ditta croata, vincitrice di un appalto in un cantiere navale, per carenza delle dovute norme antinfortunistiche rimenava vittima di un sinistro in cui subiva gravi lesioni personali: amputazione subtotale del polso destro con fratture multiple della mano. Nei precedenti gradi Erano stati condannati il datore ed il responsabile per la sicurezza delegato dal committente. La Cassazione, nell’enunciare i suddetti principi di diritto, ha evidenziato come si sarebbe dovuto rinviare a giudizio anche il responsabile del servizio di prevenzione e protezione. È legittima la condanna dei rei, soprattutto del rappresentante del committente: malgrado il rapporto negativo dell’ispettorato del lavoro e sapendo che la ditta croata non soddisfaceva gli standards di sicurezza imposti dalla nostra legge ne aveva attestato l’idoneità tecnico professionale e consentito di svolgere lavori in appalto, tanto più che era conscio dell’organizzazione approssimativa del lavoro dell’appaltatrice e che questa fosse venuta meno ai suoi doveri non nominando un responsabile sulla prevenzione e non redigendo il documento obbligatorio sulla valutazione dei rischi come imposto dal Dlgs 626/94 vigente all’epoca dei fatti.
L’idoneità tecnico professionale è strettamente connessa alla sicurezza sul lavoro. Infatti il rispetto delle norme antinfortunistiche non può essere desunto solo dall’iscrizione alla Camera di Commercio, ma occorre che il committente sia diligente nel verificare la documentazione sulla sicurezza prodotta dalla appaltatrice: se avesse compiuto queste verifiche, tanto più che il lavoro prevedeva l’uso di macchine pericolose, si sarebbe accorto delle falle sul rispetto della normativa in esame. Le complesse disposizioni comunitarie (tra le molteplici Direttive si ricordino le 89/391, 90/270 e 679, 93/88 e 2004/40) e l’esegesi dell’art. 7 Dlgs 626/94 prevedono che sul datore, quando decide di appaltare particolari lavori da svolgere all’interno dell’azienda (come nella fattispecie), gravano due oneri: verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’appaltatrice, al fine di garantirsi da qualsiasi responsabilità ed un obbligo di informarla sui rischi specifici che questa può incontrare nell’ambiente di lavoro del committente. Dalla lettura di questo decreto (attuativo delle citate Direttive UE) e, soprattutto, del suo Titolo I si desume che la garanzia del datore/committente è finalizzata ad evitare che all’appaltatrice fossero affidate mansioni che il suo singolo lavoratore non sarebbe stato in grado di svolgere senza correre rischi, sì da evitare un aumento di rischi per la sua incolumità. È una norma che implica una regola di diligenza e di prudenza che integra il precetto penale in esame: il datore deve verificare non solo l’idoneità tecnica, ma anche quella professionale che comprende il rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro. È penalmente responsabile in caso di una loro inosservanza, salvo che non dimostri di non aver potuto percepire l’inadeguatezza della ditta (Cass. pen.10608/13, 3563/12 e 8589/08).Questi oneri sono stati violati nel nostro caso, sì che è confermata la condanna del responsabile della sicurezza incaricato dal committente.
Il ricorso in Cassazione non può essere una fotocopia dell’appello. La funzione di questo gravame è quella di criticare, con un’apposita ed autonoma argomentazione, l’appello di cui si contestano i vizi. Ha una duplice specificità: da un lato ex art. 581 cpp si devono criticare ogni punto, indicando le ragioni di diritto e gli elementi di fatto; dall’altro si devono enunciare in modo specifico i vizi ai sensi dell’art. 606 cpp chiarendo come essi abbiano influito sulla decisione del giudice di merito, sì da giungere ad una diversa conclusione. Come detto la riproposizione del motivo d’appello è consentita solo per rafforzare questa diversa argomentazione: se è una pedissequa ripetizione dell’appello il singolo punto sarà ignorato. Perciò il ricorso è stato rigettato.
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